Lo sviluppo tecnologico e i social network sono stati un progresso, talvolta però se ne fa un uso deliberatamente distorto. Il revenge porn ne è un esempio

Importanza di una lettura critica del revenge porn

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Quanto mai attuale è purtroppo il fenomeno, tristemente diffuso, del revenge porn, ovverosia la diffusione non consensuale di immagini o video "hard" o comunque aventi contenuto sessualmente esplicito. La portata e la gravità di questa "prassi" ha reso inevitabile l'intervento del legislatore, che, attraverso l'art 10 della L. 69/2019, ha introdotto nel codice penale una fattispecie incriminatrice ad hoc: l'art. 612 ter.

In questa sede andremo ad analizzare le due distinte ipotesi delineate dal primo e dal secondo comma della predetta disposizione alla luce della Relazione 62/19 ("Relazione su novità normativa") della Corte Suprema di Cassazione, Ufficio del massimario e del ruolo, servizio penale. Una lettura coordinata della norma e di tale relazione sembra necessaria perché, proprio da quest'ultima, si evince una serie di perplessità ed emergono taluni paradossi che impongono una più profonda riflessione.

Per comprendere l'importanza di leggere con maggiore attenzione la normativa in merito, basti pensare al recentissimo episodio della maestra d'asilo di Torino, la quale è stata (ingiustamente) licenziata proprio a seguito della diffusione, senza il suo consenso, di immagini e video intimi da parte di quello che era il suo compagno. Senza la presunzione di avere la piena conoscenza dei fatti di causa, anzi limitandoci a quello che si è appreso ed è stato riportato dai mass media, possiamo rilevare che gli elementi emersi sono che trattasi di video/immagini autoprodotti, che erano stati volontariamente inviati dalla vittima e poi diffusi senza il suo consenso. La domanda che sorge è: ci sono gli elementi fondanti per configurarsi il reato di revenge porn

e quindi il caso di specie è sussumibile nella fattispecie astratta delineata dall'art 612 ter c.p.?

Perplessità sulla collocazione del reato di revenge porn

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Con l'introduzione dell'art 612 ter c.p. finalmente il revenge porn

si configura come una ipotesi di reato, ma prima ancora di analizzare la normativa sembra da non tralasciare le perplessità, già espresse nella suddetta Relazione 62/19, per quanto riguarda la stessa collocazione sistematica. Anzi si cita qui testualmente quanto espresso nella Relazione alle pagine 18 e 19: "Con riguardo alla figura delittuosa in oggetto, deve osservarsi che suscita qualche perplessità la sua collocazione sistematica, ossia il suo inserimento nella Sezione III del Titolo XII, dedicata ai "Delitti contro la libertà morale". In tal modo, essa è infatti inquadrata nel novero dei delitti lato sensu di minaccia, ancorché, il più delle volte, l'autore del reato agisca, rispetto alla vittima, con finalità diversa da quella minatoria; ne consegue che più opportuna sarebbe risultata la collocazione della norma incriminatrice in un autonomo titolo, che avrebbe potuto rubricarsi "Tutela della riservatezza sessuale" ed essere inserito dopo i delitti di violenza sessuale e prima dell'attuale Sezione III del Titolo XII".

Tale perplessità appare condivisibile ed è avallata dai fatti di cronaca, dai quali infatti emerge che molteplici possono essere le cause e il movente del revenge porn: spesso non si limitano alla mera vendetta, ma comprendono anche lo spirito di goliardia, la vanità, il narcisismo.

Plurioffensività del revenge porn

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Fatta questa doverosa premessa, analizziamo la norma. È acclarato che il revenge porn sia un'ipotesi delittuosa plurioffensiva, ovverosia che la sua portata lesiva sia tale da incidere contemporaneamente su una pluralità di beni giuridici. Ovviamente trattasi di lesione dei diritti della personalità, rientranti nell'alveo dei diritti inviolabili costituzionalmente protetti di cui all'art 2 Cost., quali il diritto all'immagine, il diritto alla riservatezza ed intimità privata e, inevitabilmente, la violazione del diritto di privacy (che trova il suo più solido riferimento normativo all'art 8 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'UE, il quale sancisce il diritto alla protezione dei dati di carattere personale che devono essere trattati secondo il principio di lealtà, per finalità determinate e in base al consenso della persona interessata o a un altro fondamento legittimo previsto dalla legge).

Revenge porn o estorsione?

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Il primo comma dell'art. 612 ter c.p. si apre con una clausola di salvaguardia: "Salvo che il fatto costituisca più grave reato…".

Secondo la Relazione 62/19, la finalità espressa sarebbe quella di escludere il revenge porn e applicare invece la ben più grave norma incriminatrice dell'estorsione "nel caso in cui la diffusione delle immagini o dei video sia strumentale all'ottenimento di danaro o di altre utilità" (Relazione 62/19- p.19).

Elementi del revenge porn

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Chiunque può commettere il reato: il soggetto attivo del reato può coincidere con l'autore materiale delle riprese, delle immagini, dei video ma identificarsi anche con colui che sottrae -indebitamente- tale materiale per poi diffonderlo.

La sottrazione potrebbe avvenire secondo le modalità più disparate. La norma fa infatti riferimento a chi "…invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate". Se ne deduce che potrebbe legittimamente rientrare nell'ambito del revenge porn, ad esempio, anche la pubblicazione in rete di immagini e video intimi sottratti tramite un'attività di hackeraggio degli account Icloud della vittima.

Centrale è l'assenza del consenso dell'interessato, perché questo costituisce il discrimen tra il penalmente rilevante e il non.

Quanto all'elemento soggettivo, come chiarito dalla Relazione 62/19, è sufficiente il dolo generico e quindi la rappresentazione e volontà da parte dell'agente di compiere la condotta vietata.

Consegna delle immagini da parte della vittima

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Di diversa portata è il secondo comma dell'art 612 ter c.p., che contempla l'ipotesi di chi, dopo aver ricevuto o acquisito le immagini o i video, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate. Per capire la portata della disposizione ancora una volta è necessario un imprescindibile richiamo alla Relazione 62/19 ma soprattutto bisogna prendere atto di un'altra prassi che si è diffusa sempre più in ambito social: il sexting, ovvero quello scambio consensuale di materiale pornografico tra utenti che, si badi bene, non è penalmente rilevante poiché appunto attività consensuale, ma può sfociare nel revenge porn, qualora il materiale venga poi divulgato senza il consenso.

Come si evince dalla stessa Relazione 62/19 (p. 19), attraverso la formulazione di questo secondo comma, il legislatore prende atto della circostanza che talvolta è la stessa vittima ad aver consegnato le immagini o i video che la riguardano all'autore del reato e che, in non poche occasioni, la loro diffusione avviene da parte di soggetto diverso da chi ha realizzato o sottratto le immagini o i video. Intento specificamente dichiarato è quello di sanzionare, da una parte, la condotta di chi sia venuto in possesso del suddetto materiale pur non avendolo realizzato personalmente o sottratto e, dall'altra, punire anche il comportamento dei "condivisori" delle immagini illecitamente diffuse dall'autore del reato.

Si pensi alla condivisione a catena, che si ha quando soggetti terzi che hanno ricevuto il materiale, a loro volta, lo divulgano con effetti virali.

Dolo e diffusione "per gioco"

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Il secondo comma dell'art 612 ter c.p., a differenza di quanto previsto per la fattispecie base di cui al primo comma, richiede il dolo specifico del soggetto agente, ovverosia il fine precipuo di recare nocumento alla persona rappresentata nelle immagini e nei video diffusi.

Tale fattore ha un peso rilevante, se solo si pensa alla prova del dolo specifico nella richiamata ipotesi dei "condivisori", quindi ad esempio con riferimento a terzi (estranei alla vittima e primo divulgatore) che ricevono e diffondono le immagini. In gran parte dei casi, tali soggetti non sono animati da un vero e proprio intento di danneggiare la vittima ma agiscono "per mero gioco".

Questi dubbi sono stati sollevati nella Relazione 62/19 (p.19) che in merito alla previsione del dolo specifico si esprime in tali termini: "si esige, in altri termini, che la condotta del soggetto attivo sia animata dal dolo specifico, fattore che restringe fortemente l'area della rilevanza penale di tal genere di comportamenti, confinando nello spazio grigio del penalmente irrilevante condotte non meno censurabili, quali quelle di chi, senza il consenso della vittima, ne diffonda immagini o video di contenuto sessualmente esplicito per farsene vanto o per ragioni ludiche".

La norma è giovane e senz'altro anche in virtù della portata del fenomeno, progressivamente dottrina e giurisprudenza contribuiranno a rendere più chiara e agevole la lettura e comprensione della stessa e i suoi conseguenti risvolti pratici.

Antonia De Santis

antonia.desantis90@gmail.com


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