La Collega Francesca Zadnik del foro di Genova esamina una recente pronuncia della Corte di Cassazione, n. 22859 del 20 ottobre 2020, in tema di responsabilità medico-sanitaria e di risarcimento del danno per la perdita del feto in prossimità del parto.
Buona lettura e un ringraziamento sentito a Francesca per l'articolo.
Danno da perdita del figlio potenziale
Parametri e criteri per il risarcimento del danno conseguente alla perdita del feto in prossimità del parto. Nota a Corte di Cassazione n. 22859 del 20 ottobre 2020 di Francesca Zadnik
Il caso
Nel caso in esame la Suprema Corte si trova a dover riconoscere e quantificare il danno patito da due genitori a seguito del comportamento colposo del personale medico e sanitario in riferimento alla perdita del feto che la donna portava in grembo. La donna, nonostante avesse avuto un ricovero ospedaliero poiché accusava dolori al ventre e avesse subito esami dai quali erano emerse situazioni riconducibili alla sofferenza del feto, era stata dimessa dall'Azienda ospedaliera e, a seguito di un successivo ricovero, apprendeva che la gravidanza era irrimediabilmente conclusa e che quindi il bimbo che aspettava non sarebbe mai nato, pur essendo la gravidanza già quasi al termine.
Il percorso giudiziario
Nel giudizio di merito, il Tribunale di Siena, valutando le CTU disposte, apprendeva che non poteva esservi nesso eziologico fra la interruzione prematura della gravidanza e il supposto comportamento negligente del personale dell'Azienda ospedaliera, dato che la causa dell'interruzione di gravidanza doveva desumersi da fatti diversi da quelli per i quali era stato disposto il ricovero della donna. Il fatto doveva attribuirsi ad una problematica relativa al cordone ombelicale definita inserzione velamentosa del funicolo, che si determina quando il cordone ombelicale non prende contatto diretto con la placenta, ma si inserisce sulle membrane; in questo caso i vasi decorrono per un tratto più o meno lungo liberi nel contesto delle membrane, derivandone una situazione di grande vulnerabilità. Pertanto il Tribunale respingeva la domanda di risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale della coppia, derivato dalla morte intrauterina del feto, difettando il nesso causale fra evento dannoso e prestazione medico-sanitaria.
La coppia ricorreva in appello contestando le risltanze della CTU
, rilevando che il Tribunale di merito avesse applicato erroneamente i criteri in materia di onere della prova.La Corte di Appello di Firenze disponeva un'altra CTU e, accogliendo l'appello dei coniugi, condannava l'azienda ospedaliera al risarcimento dei danni quantificati in € 82.000 ciascuno oltre € 11.350 ciascuno.
Avverso tale decisione veniva proposto ricorso per Cassazione dalla coppia di mancati genitori.
I ricorrenti essenzialmente contestavano la violazione delle c.d. Tabelle di Milano, da considerarsi alla stregua di norme di diritto secondo i ricorrenti, nonché la violazione degli articoli 2056, 2059, 1226 e 1223 c.c. Ed anche l'utilizzo dei criteri giurisprudenziali enunciati nella sentenza impugnata. Si costituiva l'Azienda ospedaliera resistendo con controricorso.
La Suprema Corte confermava la decisione territoriale manifestando la volontà di voler distinguere il danno subito dai genitori da perdita di figlio inteso come soggetto fisico concepito e nato con il proprio autonomo bagaglio di vita ed esperienze, condivise con il genitore, dal danno subito dalla coppia che è ancora in attesa di diventare genitore. Prende piede, secondo tale impostazione quindi, l'esistenza di un danno da perdita del c.d. "figlio potenziale".
A nulla valgono le doglianze delle parti danneggiate, in particolare relative alla applicazione delle c.d. Tabelle di Milano utilizzate in modo del tutto inappropriato secondo i ricorrenti.
Non nella misura minima del danno subito per perdita figlio ma nella misura minima ridotta della metà, con ciò manifestando l'interpretazione che il figlio morto prima della propria nascita non sia evento concretizzante un danno importante nella vita dei futuri genitori. Il fatto, che viene particolarmente evidenziato dalla parte ricorrente, che la gravidanza fosse stata ottenuta tramite procreazione medicalmente assistita, elemento che rende la fine della stessa particolarmente dolorosa data la oggettiva minor chance della coppia a trovarsi nuovamente nella situazione di poter concepire, non viene considerata rilevante ed autonoma condizione meritevole di tutela ad hoc.
La Suprema Corte ritiene che "la qualità dell'intensità della relazione affettiva con la persona perduta" sia decisamente più modesta ed anche inesistente data la "non nascita" dell'individuo seppur formatosi nel grembo materno, e pertanto riconosce solo che "nel feto nato morto" sia "ipotizzabile solo il venire meno della relazione affettiva "potenziale", data l'inesistenza allo stato attuale dei criteri per il risarcimento del danno derivante da lesione del danno potenziale di questo tipo, non essendoci pertanto una tabellazione che prevede i criteri per la quantificazione del danno di tale tipologia, e il danno così considerato, pur essendo riconosciuto, viene però liquidato solo in via equitativa. Inoltre la Corte di legittimità non condivide affatto il riconoscimento dei criteri indicati dalle "tabelle milanesi" come se le stesse rappresentassero delle norme di diritto e respinge il motivo di ricorso che ha ad oggetto la violazione ed errata applicazione di norme di legge, accogliendo solo l'elemento di errata applicazione del criterio ex art 1226 c.c., non sussistendo la violazione di legge in questo caso, dato il non rappresentare atti aventi forza di legge i criteri tabellari ma solo indicazioni interpretazionali e riferimenti per quantificare più agevolmente risarcimenti in situazioni fra medesime o similari condizioni oggettive.
Non venendo accolto neppure il motivo di ricorso relativo alla mancata quantificazione del danno maggiorato dovuto alla particolare qualificazione della gravidanza ottenuta tramite fecondazione medicalmente assistita nè la eccezione indicante la mancata qualificazione e quantificazione del danno patrimoniale, poichè la Suprema corte rileva che questi non erano stati sollevati nel giudizio di appello, il ricorso viene rigettato e parte ricorrente viene condannata alle spese ed al versamento del doppio del contributo unificato.