"Quando un bene immobile concesso in comodato sia stato destinato a casa familiare, il successivo provvedimento di assegnazione in favore del coniuge affidatario di figli minori (o convivente con figli maggiorenni non autosufficienti senza loro colpa) emesso nel giudizio di separazione o di divorzio, contrariamente a quanto sostenuto, non modifica né la natura né il contenuto del titolo di godimento dell'immobile. Ciò dunque comporta che gli effetti riconducibili al provvedimento giudiziale di assegnazione della casa, che legittima l'esclusione di uno dei coniugi dall'utilizzazione in atto e consente la concentrazione del godimento del bene in favore della persona dell'assegnatario, restano regolati dalla stessa disciplina già vigente nella fase fisiologica della vita matrimoniale. Ne consegue pertanto che ove, come nella specie, si tratti di comodato senza la fissazione di un termine predeterminato - c.d. precario -, il comodatario è tenuto a restituire il bene quando il comodante lo richieda (art. 1810 c.c.) e che il diritto di recesso del proprietario è stato legittimamente esercitato". È quanto ha di recente stabilito la Corte di Cassazione (Sent. n. 3179/2007) la quale, confermando le precedenti statuizioni dei giudici di merito, ha rilevato che qualora una società conceda in comodato gratuito un immobile adibito dal proprio amministratore unico ad alloggio del suo nucleo familiare e quest'ultimo venga in sede di separazione assegnato alla moglie, la società comodante può legittimamente esercitare il diritto di recesso nei confronti della comodataria, trattandosi di comodato stipulato senza la determinazione di un termine finale.
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