Per la Cassazione a Sezioni Unite la configurabilità di un diritto reale di uso esclusivo su beni comuni condominiali è preclusa dal principio del numerus clausus e dalla tipicità dei diritti reali

Niente diritto reale di uso esclusivo sui beni condominiali

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In tema di condominio degli edifici, sui beni di proprietà comune non può configurarsi un "diritto reale" di uso esclusivo in quanto ciò inciderebbe sul diritto dei condomini di farne parimenti uso, ai sensi dell'art. 1102 del codice civile. Dunque, la pattuizione avente ad oggetto la creazione di tale tipologia di diritto deve intendersi preclusa dal principio codicistico del "numerus clausus" dei diritti reali e dalla tipicità di essi, fermo restando la facoltà del legislatore dar vita a nuove figure che arricchiscano i tipi reali normativi.


È questo, in estrema sintesi, il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 28972/2020 (qui sotto allegata) la quale consta di ben 35 pagine di complessa e articolata motivazione, hanno fornito indispensabili chiarimenti in ordine a una delle questioni più dibattute degli ultimi anni.


Gli Ermellini si soffermano e forniscono un inquadramento della tematica relativa alla "realità" del diritto di uso esclusivo di parti comuni dell'edificio in ambito condominiale, frutto della prassi negoziale, e in prima battuta prendono le mosse dalla previsione di cui all'art. 1102 c.c., relativo all'uso della cosa comune, dettato per la comunione, ma applicabile al condominio per il tramite dell'articolo 1139 del codice civile.

Il parimenti uso della cosa comune

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La norma, stabilisce che ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. In particolare, si ritiene che nel quadro così tracciato dal codice civile, il c.d. "diritto reale di uso esclusivo" vada evidentemente a collocarsi al di là dell'osservanza della regola del "farne parimenti uso", pur declinata nelle forme particolari dell'uso frazionato e dell'uso turnario.


Nel caso dell'uso esclusivo, spiegano i giudici, proprio perché esclusivo si elide il collegamento tra il diritto ed il suo contenuto, concentrandosi l'uso in capo ad uno o alcuni condomini soltanto: tant'è che si è parlato in proposito di uso "quasi" uti dominus. Tra l'altro, la stessa espressione "diritto reale di uso esclusivo "di una parte comune viene ritenuta un vero e proprio "ossimoro", laddove coniuga l'esclusività dell'uso con l'appartenenza della porzione a più condòmini.

Inoltre, nonostante talune parti altrimenti comuni, alla stregua dell'articolo 1117 c.c., possano essere attribuite in proprietà esclusiva ad un singolo condomino, è da escludersi che esse a maggior ragione possano essere attribuite, con caratteri di realità, ad un singolo condomino, in uso esclusivo.

Un diritto reale di godimento di uso esclusivo, in capo ad un condomino, di una parte comune dell'edificio, privando gli altri condomini del relativo godimento, e cioè riservando ad essi un diritto di comproprietà svuotato del suo nucleo fondamentale, determinerebbe, infatti, un radicale, strutturale snaturamento di tale diritto, non potendosi dubitare che il godimento sia un aspetto intrinseco della proprietà, come della comproprietà. Rimane salvo il caso in cui, chiarisce la Suprema Corte, la separazione del godimento dalla proprietà sia il frutto della creazione di un diritto reale di godimento normativamente previsto.

Tipicità dei diritti reali e numero chiuso

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Il Supremo Consesso nomofilattico, inoltre, sostiene che "nella giurisprudenza di questa Corte il principio della tipicità del diritti reali, con quello sovrapponibile del numerus clausus, è fermo". Pertanto, la creazione di un atipico "diritto reale di uso esclusivo", tale da svuotare di contenuto il diritto di comproprietà, non potrà essere il prodotto dell'autonomia negoziale, essendovi di ostacolo il principio, o i principi, sovente in dottrina tenuti distinti, sebbene in gran parte sovrapponibili, del numerus clausus dei diritti reali e della tipicità di essi.

Il primo consente solo alla legge di istituire figure di diritti reali, mentre per effetto del secondo i privati non possono incidere sul contenuto, snaturandolo, dei diritti reali che la legge ha istituito. Di conseguenza, "non si ritiene configurabile la costituzione di diritti reali al di fuori dei tipi tassativamente previsti dalla legge".

Ancora, la Corte ritiene di escludere che un simile diritto, con connotazione di realità, possa trovare fondamento sull'articolo 1126 del codice civile relativo alla ripartizione delle spese per riparazioni e costruzioni in caso di uso dei lastrici solari o di una parte di essi non comune a tutti i condomini.

Tale previsione è infatti riferita ad una situazione del tutto peculiare, quale quella dei lastrici solari, che, pur svolgendo una funzione necessaria di copertura dell'edificio, e costituendo come tali parti comuni, possono però essere oggetto di calpestio, per la loro conformazione ed ubicazione, soltanto da uno o alcuni condomini, sicché l'uso esclusivo nel senso sopra descritto non priva gli altri condomini di alcunché, perché essi non vi potrebbero comunque di fatto accedere.

Dalla previsione dell'articolo 1126 c.c., allora, può semmai desumersi a contrario che non sono configurabili ulteriori ipotesi di uso esclusivo, le quali, in violazione della regola generale stabilita dal già richiamato articolo 1102 c.c., sottraggano a taluni condomini il diritto di godimento della cosa comune loro spettante.

Diritto reale di uso esclusivo: le varie tesi

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Nel respingere le tesi che hanno ammesso la validità del diritto reale di uso esclusivo cercando ancoraggio in varie argomentazioni, la Corte ritiene priva di rilevanza la circostanza che la riforma del condominio del 2012 abbia introdotto talune ipotesi di concessione a singoli condomini di un godimento apparentemente non paritario: pur volendo tralasciare che tali previsioni, per la loro eccezionalità, non possono concorrere alla costruzione di un principio generale, è da escludere che esse comportino modificazioni strutturali alla comproprietà delle parti comuni in favore del titolare dell'uso.

Ancora, viene ritenuta priva di fondamento la tesi secondo cui un riconoscimento legislativo degli usi esclusivi, tali da determinare una modificazione del diritto di comproprietà, potrebbe desumersi dall'articolo 6, secondo comma, lettera b), del d.lgs. 122/2005, che obbliga il costruttore a indicare nel contratto relativo a futura costruzione le parti condominiali e le "pertinenze esclusive". Trattasi, infatti, di norma eccezionale, dalla quale non potrebbe in ogni caso desumersi l'istituzione di un generale "diritto reale di uso esclusivo" e che, inoltre, parla di pertinenze, e dunque ancora una volta di attribuzione in proprietà, secondo quanto si è già visto compatibile con l'assetto condominiale.

Infine, si ritiene che il "diritto reale di uso esclusivo" neppure possa inquadrarsi tra le servitù prediali e a ciò osta proprio la conformazione stesse delle servitù, che può sì essere modellata in funzione delle più svariate utilizzazioni, pur riguardate dall'angolo visuale dell'obbiettivo rapporto di servizio tra i fondi e non dell'utilità del proprietario del fondo dominante, ma non può mai tradursi in un diritto di godimento generale del fondo servente, il che determinerebbe lo svuotamento della proprietà di esso, ancora una volta, nel suo nucleo fondamentale. È evidente che, se ad un condomino spettasse a titolo di servitù l'«uso esclusivo» di una porzione di parte comune, agli altri condomini non rimarrebbe nulla, se non un vuoto simulacro.

Esclusa la "realità" del diritto d'uso: quale sorte per il titolo negoziale?

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Da qui l'affermazione del principio di diritto secondo cui: "La pattuizione avente ad oggetto la creazione del c.d. diritto reale di uso esclusivo su una porzione di cortile condominiale, costituente come tale parte comune dell'edificio, mirando alla creazione di una figura atipica di diritto reale limitato, tale da incidere, privandolo di concreto contenuto, sul nucleo essenziale del diritto dei condomini di uso paritario della cosa comune, sancito dall'articolo 1102 c.c., è preclusa dal principio, insito nel sistema codicistico, del numerus clausus dei diritti reali e della tipicità di essi". Restando ovviamente riservata al legislatore la facoltà di dar vita a nuove figure che arricchiscano i tipi reali normativi.

Per quanto riguarda la sorte del titolo negoziale che abbia invece contemplato la costituzione di tale diritto reale, di cui la Corte ha escluso la validità, si ritiene necessario anzitutto approfonditamente verificare, nel rispetto dei criteri di ermeneutica applicabili, se le parti, al momento della costituzione del condominio, abbiano effettivamente inteso limitarsi alla attribuzione dell'uso esclusivo, riservando la proprietà all'alienante, e non abbiano invece voluto trasferire la proprietà.

Inoltre, non è escluso che il diritto di uso esclusivo, sussistendone i presupposti normativamente previsti, possa altresì essere in realtà da ricondurre nel diritto reale d'uso di cui all'articolo 1021 c.c., se del caso attraverso l'applicazione dell'articolo 1419, primo comma, del codice civile. Infine, rimane aperta la verifica della sussistenza dei presupposti per la conversione del contratto volto alla creazione del diritto reale di uso esclusivo, in applicazione 1424 c.c., in contratto avente ad oggetto la concessione di un uso esclusivo e perpetuo (perpetuo inter partes, ovviamente) di natura obbligatoria. Ciò sia dal versante della meritevolezza, sia quanto all'accertamento se, avuto riguardo allo scopo perseguito dalle parti, queste avrebbero voluto il diverso contratto.

Scarica pdf Cassazione Sezioni Unite Civili, sent. 28972/2020

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