E' quanto ha osservato il Tribunale di Campobasso (Sent. n. 5/2006) in merito ad una domanda di risarcimento danni proposta da un medico-chirurgo nei confronti del proprio dentista
Quando il paziente che si duole dell'operato del medico è a sua volta un medico, il Giudice, in ossequio al combinato disposto degli artt. 2056 e 1127 co. 1 c.c., ha il dovere "di porsi anche d'ufficio la questione dell'eventuale concorso di colpa da parte del danneggiato e, in caso di accertata esistenza dello stesso, determinarne l'incidenza causale sull'evento dannoso". E' quanto ha osservato il Tribunale di Campobasso (Sent. n. 5/2006) in merito ad una domanda di risarcimento danni proposta da un medico-chirurgo nei confronti del proprio dentista per essere stato colpito, a suo dire, da un carcinoma a seguito dell'azione di una protesi a lui applicata sull'arcata mandibolare. Il Tribunale, rilevando tra le altre cose, che l'attore in quanto medico-chirurgo, "è ed era dotato di un bagaglio di conoscenze connaturato all'esercizio di quella attività professionale"; che all'epoca dei fatti egli aveva "verosimilmente maturato attraverso il quotidiano esercizio della professione anche una discreta esperienza"; che "le cautele che il caso richiedeva potevano essere individuate facendo ricorso all'ordinario patrimonio di conoscenze scientifiche di un qualsiasi medico - chirurgo, anche non specializzato", ha ritenuto "del tutto ragionevole concludere che non uno, ma due medici, hanno sbagliato, non esitandosi a supporre che se l'attore si fosse trovato per avventura di fronte ad un suo paziente portatore della medesima sindrome, avrebbe senz'altro dovuto egli adottare quella condotta della cui omissione ritiene responsabile esclusivamente l'attore". Di qui la ripartizione della colpa in eguale misura tra i due medici.
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