La fedeltà è uno dei doveri coniugali che scaturiscono dal matrimonio, come risulta dall'art. 143 c.c., in caso di tradimento coniugale il coniuge che ne ha diritto non perde in automatico il diritto al mantenimento, anche se è il coniuge traditore

L'infedeltà coniugale

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Chi decide di convolare a nozze deve essere consapevole che il matrimonio comporta dei diritti ma anche dei doveri reciproci. A stabilirlo è l'art. 143 del codice civile che così dispone: "Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri (artt. 151, 160, 316 c.c. e 29 e 30 Costituzione).

Dal matrimonio deriva l'obbligo reciproco alla fedeltà, all'assistenza morale e materiale (art. 146 c.c.), alla collaborazione nell'interesse della famiglia e alla coabitazione (artt. 107 e 146 c.c.; art. 570 c.p.). Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia (artt. 146, 186 e 193 c.c.). La fedeltà quindi non è un optional, ma è un dovere coniugale vero e proprio, che ha conseguenze non solo sul piano morale, ma anche giuridico. Vediamo in che modo.

Infedeltà e addebito della separazione

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L'infedeltà coniugale che causa l'intollerabilità della convivenza dei coniugi, presupposto della separazione, può portare il coniuge fedele a richiedere l'addebito della crisi del matrimonio a carico del coniuge traditore.

Se infatti giudice accerta che uno dei coniugi ha violato uno dei doveri che la legge pone a carico dei coniugi in conseguenza del vincolo matrimoniale, può pronunciare l'addebito della separazione a carico del responsabile.

Da quanto detto finora è chiaro quindi che l'addebito della separazione, per essere pronunciato, richiede la sussistenza dei seguenti presupposti:

  • che la violazione di uno dei doveri coniugali previsti dall'art. 143 cc sia anteriore alla proposizione della domanda per la separazione coniugale;
  • che tra la violazione del dovere di fedeltà e la sopravvenuta intollerabilità della convivenza sussista un rapporto di causa ed effetto, ossia un nesso di causa. In sostanza deve essere la violazione del dovere di fedeltà ad aver causato la crisi del rapporto. Non devono esserci state cause precedenti a questo evento. Nell'ambito di un matrimonio
    già in crisi, l'infedeltà sopravvenuta, conseguenza della inclinazione del rapporto, non porta necessariamente all'addebito della separazione nei confronti del coniuge traditore.

Esaustiva al riguardo è la spiegazione del concetto di fedeltà coniugale e della conseguente pronuncia di addebito contenuta nella massima della Cassazione n. 15557/2008: "la pronuncia di addebito richiede di accertare se uno dei coniugi abbia tenuto un comportamento contrario ai doveri nascenti dal matrimonio fra i quali è indicato l'obbligo della fedeltà, strettamente connesso a quello della convivenza e da intendere non soltanto come astensione da relazioni sessuali extraconiugali, ma quale impegno, ricadente su ciascun coniugo, di non tradire la fiducia reciproca, ovvero di non tradire il rapporto di dedizione fisica e spirituale tra i coniugi, che dura quanto dura il matrimonio. La nozione di fedeltà coniugale va avvicinata a quella di lealtà, la quale impone di sacrificare gli interessi e le scelte individuali di ciascun coniuge che si rivelino in conflitto con gli impegni e le prospettive della vita comune. In questo quadro la fedeltà affettiva diventa componente di una fedeltà più ampia che si traduce nella capacità di sacrificare le proprie scelte personali a quelle imposte dal legame di coppia e dal sodalizio che su di esso si fonda. Il giudice non può fondare la pronuncia di addebito sulla mera inosservanza dei doveri di cui all'art. 143 c.c., dovendo, per converso, verificare l'effettiva incidenza delle relative violazioni nel determinarsi della situazione di intollerabilità della convivenza. A tale regola non si sottrae l'infedeltà di un coniuge, la quale pur rappresentando una violazione particolarmente grave, specie se attuata attraverso una stabile relazione extraconiugale, può essere rilevante al fine dell'addebitabilità della separazione soltanto quando sia stata causa o concausa della frattura del rapporto coniugale, e non anche, pertanto, qualora risulti non aver spiegato concreta incidenza negativa sull'unità familiare e sulla prosecuzione della convivenza medesima: come avviene allorquando il giudice accerti la preesistenza di una rottura già irrimediabilmente in atto, perciò autonoma ed indipendente dalla successiva violazione del dovere di fedeltà"

Infedeltà e conseguenze sul mantenimento

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Chiarito che la violazione del dovere di fedeltà può condurre alla pronuncia di addebito nei confronti del coniuge responsabile, quali riflessi ha sull'assegno di mantenimento?

La sentenza della Cassazione n. 11488/ 2001, sulle conseguenze dell'infedeltà sul mantenimento, ha stabilito al riguardo che, una relazione stabile con un nuovo partner non comporta la perdita del diritto all'assegno di mantenimento. Questo perché, ai fini della revoca di detto assegno, occorre valutare se la nuova relazione abbia inciso favorevolmente o meno sulla reale e concreta situazione economica del coniuge beneficiario.


Concetto questo che la Cassazione ha di recente ribadito nella decisione n. 18862/2022: "La prestazione di assistenza di tipo coniugale da parte del convivente more uxorio di uno dei coniugi può assumere rilievo soltanto ai fini della valutazione delle condizioni economiche del beneficiario, che costituiscono uno dei parametri di riferimento per il riconoscimento e la liquidazione dell'assegno di mantenimento in suo favore (...). Sebbene debba escludersi ogni automatismo tra l'instaurazione di una nuova relazione sentimentale e la perdita del diritto all'assegno, occorre che il giudice prenda in considerazione i caratteri di stabilità e continuatività del nuovo legame, astrattamente configurabili anche in assenza di coabitazione con il partner, e che ad esso si accompagni l'elaborazione di un diverso progetto di vita, caratterizzato dalla condivisione di nuovi bisogni, interessi, abitudini, attività e relazioni sociali, tali da comportare il superamento del modello familiare cui era improntata la pregressa esperienza coniugale, e con esso del tenore di vita precedentemente goduto."

La sentenza appena esaminata tratta la prospettiva del problema dal lato del coniuge traditore, che in sede di separazione chiede il mantenimento., che è opposta a quella di cui si è dovuta occupare la Cassazione, nella sentenza n. 22704/2021. In questo caso infatti la moglie fedele, nonostante l'addebito della separazione al marito, che teneva in piedi, contestualmente al matrimonio, una relazione extraconiugale, si è vista negare il mantenimento richiesto. Questo perché, come hanno precisato gli Ermellini: "Nel giudizio di separazione dei coniugi le condizioni alle quali è sottoposto il diritto al mantenimento ed il suo concreto ammontare consistono soltanto nella non addebitabilità della separazione al coniuge nel cui favore viene disposto il mantenimento, nella mancanza di adeguati redditi propri e nella sussistenza di una disparità economica fra i due coniugi, a prescindere dal fatto che la separazione sia stata pronunciata con o senza addebito alla controparte. Nel caso in esame, posto che entrambi i coniugi hanno adeguati redditi propri, anche se la separazione è stata addebitata al marito, nulla spetta alla moglie."

Si può affermare quindi e in conclusione che se il matrimonio entra in crisi per colpa della infedeltà di uno dei coniugi, sia il soggetto obbligato che il beneficiario dell'assegno di mantenimento, non possono farsi scudo per negare il riconoscimento dell'assegno o per pretenderlo. A rilevare ai fini del mantenimento sono infatti le rispettive condizioni economiche dei coniugi.


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