- Le fonti giuridiche
- Classificazione dei comportamenti della Pubblica Amministrazione
- Il riparto di giurisdizione
Le fonti giuridiche
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Il quadro normativo da cui estrarre il fondamento giuridico dei comportamenti della P.A. prende le mosse, essenzialmente, dalla lettera degli articoli 34 D. lgs. n. 80/98, 53 D.P.R. 327/2001, 7 e 133 D. lgs. n. 104/2012.
Se originariamente l'art. 34 d. lgs. 80/98 individuava la giurisdizione esclusiva del G.A. per le controversie aventi ad oggetto <<gli atti, i provvedimenti e i comportamenti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti alle stesse equiparati in materia urbanistica ed edilizia>> e l'art. 53 D.P.R. 327/2001, devolveva alla giurisdizione esclusiva del G.A. <<le controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti, gli accordi e i comportamenti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti ad esse equiparati>>, oggi, il d. lgs 104/2010 (Codice del processo amministrativo), intervenendo sulle materie devolute alla giurisdizione esclusiva del G.A., ha previsto all'art. 133 i casi di giurisdizione esclusiva, regolamentando, inoltre, la giurisdizione amministrativa in generale all'art. 7.
Classificazione dei comportamenti della Pubblica Amministrazione
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Dall'analisi del quadro normativo deriva la classificazione dei comportamenti amministrativi che trovano la propria ragion d'essere nell'esercizio diretto o mediato del potere esercitato dalla P.A. Tali comportamenti, essendo frutto dell'attività autoritativa della P.A. (secondo lo schema norma-potere-effetto), possono essere classificati in comportamenti attivi ovvero omissivi.
Comportamenti attivi della PA
Tra i primi, vanno ricomprese tutte quelle azioni avviate dalla P.A. nell'ambito dei provvedimenti amministrativi, come l'esecuzione degli stessi ovvero le azioni intraprese dalla P.A. nella fase di attuazione degli obblighi previsti dalla legge.
Comportamenti omissivi della PA
Per ciò che concerne i comportamenti omissivi, rilevano i casi di silenzio assenso ex art. 20, L. 241/90 e l'ipotesi di silenzio diniego ex art. 25, c. 4, L. 241/90. Le fattispecie di silenzio rilevano come comportamenti della P.A. dato che, al pari dei comportamenti attivi, costituiscono la manifestazione dell'esercizio del potere pubblicistico in grado di incidere, positivamente o negativamente, sulla sfera giuridica del privato (es. adozione di un provvedimento).
Ove la P.A. agisca in regime privatistico, inoltre, si configura l'attività c.d. di secondo livello ex art. 1, c.1-bis, L. 241/90 cui risulta applicabile lo schema norma-fatto-effetto. Pertanto, sono considerati comportamenti della P.A., non solo le operazioni dirette all'esecuzione di atti amministrativi nulli o annullati ma anche le attività extracontrattuali poste in essere dall'amministrazione stessa.
Altra tipologia di comportamento imputabile alla P.A. può essere individuata, infine, nelle operazioni dell'attività amministrativa intermedia basata sul modello consensuale degli accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento ex art. 11, L. 241/90. Secondo tale norma, infatti, la P.A. può concludere <<nel perseguimento del pubblico interesse, accordi con gli interessati al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale o in sostituzione di questo>>.
L'efficacia di tali accordi è propria sia dello schema autoritativo (norma-potere-effetto) sia dello schema paritetico (norma-fatto-effetto).
Il riparto di giurisdizione
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Così come il provvedimento amministrativo, anche il comportamento della P.A. può essere illegittimo. Nonostante l'esistenza di un discrimen strutturale, difatti, secondo il principio della pluri-qualificazione delle condotte della P.A., comportamento e atto vanno valutati, sul piano della legittimità, mediante gli stessi parametri.
La giurisdizione cui viene devoluta tale valutazione, tuttavia, differisce in relazione alla classificazione del comportamento posto in essere. Il dato normativo relativo al riparto di giurisdizione ricomprende, necessariamente, la bipartizione della tutela ravvisabile nei diritti soggettivi e negli interessi legittimi.
Se con l'art. 2 L.A.C. il legislatore ha inteso fare riferimento alla situazione giuridica di cui viene chiesta tutela e con l'art. 3 L.A.C., invece, parrebbe che l'individuazione del giudice avvenga sulla base delle istanze delle parti interessate, rilevando il criterio del petitum, la giurisprudenza è pacifica nel ritenere che, ai fini dell'individuazione del giudice giusdicente, ciò che rileva è la causa petendi. Pertanto, è necessario individuare la posizione giuridica lesa (diritto soggettivo o interesse legittimo): parametro utile all'individuazione dell'una o dell'altra posizione soggettiva sostanziale, prende le mosse dal criterio che si basa sulla contrapposizione tra carenza e cattivo uso del potere. Ove la P.A., difatti, emetta un provvedimento sulla base di un potere che le è stato conferito ma che viene esercitato illegittimamente, in violazione della disciplina di legge, l'atto viene considerato annullabile per cattivo uso del potere.
Il criterio discretivo che fa leva, dunque, sulla bipartizione tra carenza e cattivo uso del potere, è utile all'individuazione della differenza tra diritti soggettivi e interessi legittimi. Nell'ipotesi di carenza di potere, infatti, l'azione amministrativa che difetta dell'attribuzione del potere, non è in grado di degradare o affievolire il diritto soggettivo a interesse legittimo. Viceversa, in caso di cattivo uso del potere, si verifica tale effetto di degradazione o affievolimento e, pertanto, la posizione del privato è quella dell'interesse legittimo.
Dottrina e giurisprudenza hanno circoscritto i casi in cui si manifesta la carenza di potere (con giurisdizione del giudice ordinario) alle ipotesi di carenza di potere in senso stretto, straripamento di potere e incompetenza assoluta. Tale criterio di differenziazione è sancito dagli artt. 103 e 113 della Costituzione. Dalla lettura dell'art. 103, difatti, si deduce che il giudice cui vengono devolute le controversie aventi ad oggetto la lesione di un interesse legittimo è il giudice amministrativo, mentre con l'art. 113 il giudice ordinario può essere investito del potere di annullamento dell'atto amministrativo.
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