Maltrattamenti in famiglia
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La Cassazione con la sentenza n. 7518/2021 (sotto allegata) conferma la condanna per maltrattamenti a cui sono giunti i giudici di merito in sede penale nei confronti di due genitori. Dal racconto della figlia più grande, che ha trovato riscontro nelle altre prove raccolte, è emerso infatti che la stessa veniva percossa, costretta a occuparsi della sorellina minore e a condurre una vita piena di limitazioni e vessazioni che le hanno impedito di crescere, soffocandola e avvilendola.
Nel corso della vicenda giudiziaria la Corte d'Appello, in riforma della decisione del G.u.p del Tribunale, riduce la pena inflitta a ogni imputato a 10 mesi e 20 giorni di reclusione con la concessione della non menzione. Confermata invece la parte restante della sentenza di condanna per maltrattamenti ai danni delle figlie di dodici e tre anni, perché le stesse sono risultate vittime di percosse, limitazioni e privazioni.
I fatti sono emersi perché a un certo punto la figlia più grande decide di confidarsi con un'insegnante, a cui rivela di essere picchiata dai due genitori con problemi economici e di salute (il padre dipendente dall'alcool) e che ogni giorno, al rientro da scuola, è costretta a occuparsi della sorella più piccola e della casa, tanto da non avere mai abbastanza tempo per fare i compiti, studiare e stare con le sue coetanee.
Il racconto attiva i servizi sociali, le bambine vengono allontanate dalla famiglia e dopo una perizia, da cui scaturisce la capacità della minore di testimoniare, le sue dichiarazioni vengono assunte in sede d'incidente probatorio. Dal quadro complessivo delle prove raccolte i giudici di merito ritengono che il reato contestato deve considerarsi integrato.
Attendibilità della testimonianza
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Il difensore dei due imputati però ricorre in Cassazione sollevando diversi motivi.
Si contesta in primis la capacità a testimoniare della figlia e la sua attendibilità, alla luce delle numerose contraddizioni di cui i giudici di merito non hanno tenuto conto. La minore non specifica inoltre in che cosa consistano i maltrattamenti ed è incoerente quando afferma di essere costretta a stare in casa la mattina per accudire la sorella in quanto trattasi di una situazione evidentemente incompatibile con la frequentazione della scuola.
Ignorati inoltre dai giudici i mancati riscontri sulla dipendenza dall'alcol del genitore e sui lividi riportati dalle bambine. Discutibili le dichiarazioni dell'insegnante, visto che la stessa ha appreso i fatti solo dalla sua alunna. Travisata poi una testimonianza, dalla quale sono emersi in realtà elementi favorevoli agli imputati. Errata infine la qualificazione dei fatti come maltrattamenti, stante l'assenza di prova sulle condotte di violenza fisica e morale perpetrate alle figlie.La violenza non ha mai fini educativi
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La Corte di Cassazione, dopo un attento vaglio della documentazione prodotta ritiene i ricorsi di entrambi i genitori inammissibili perché non fanno che riproporre le stesse doglianze sollevate in appello. Censure che mirano a ottenere un verdetto alternativo a quello a cui sono giunti entrambi i giudici di merito, ostacolato dall'impossibilità in sede di legittimità di valutare in modo diverso l'intera vicenda e le prove che hanno condotto a ritenere i genitori responsabili del reato ascritto.
In relazione all'inattendibilità e contraddittorietà delle dichiarazioni della figlia la Cassazione rileva come "il tentativo di screditare la minore cade di fronte alla ritenuta credibilità del narrato anche alla luce dei riscontri acquisiti, come ritenuto dai giudici di merito. La narrazione della bambina infatti resta costante in tutte le fasi della vicenda, dal racconto fatto all'insegnante alle dichiarazioni rese in seguito. Piccole contraddizioni sono state rilevate in relazione a elementi secondari e non rilevanti ai fini del decidere.
A riprova dell'attendibilità della minore ci sono anche i suoi racconti delle percosse, che non esagera mai quando descrive le sberle e i colpi ricevuti con un bastone o con il manico di una scopa, dimostrandosi sensibile alle difficoltà dei genitori, ma anche consapevole delle responsabilità eccessive a lei spettanti.
Diverse testimonianze hanno poi confermato l'abuso di alcool da parte del padre, l'abbandono delle minori in casa da sole, la presenza di lividi sui loro corpi, confermati anche dalla più piccolina: "è stata la mamma che mi dà pugni qui, qui, e qui."
Generici e infondati anche i motivi sulle dichiarazioni testimoniali, che non sono state assolutamente travisate e da cui sono emersi dati importanti per la ricostruzione della vicenda, come l'avvistamento di numerosi vuoti di bottiglia di cui si disfaceva il padre o le dichiarazioni rese da una testimone diretta dei modi violenti del padre e dei lividi sui corpi delle due sorelle. Narrazioni che collimano interamente con il racconto della figlia.
Alla richiesta di riqualificare le condotte al reato meno grave di abuso dei mezzi di correzione di cui all'art. 571 c.p. la Corte d'appello, nel rigettarla, ha spiegato esaustivamente che "l'uso sistematico della violenza, quale ordinario trattamento del minore, anche se sostenuto da animus corrigendi, non può rientrare nell'ambito della fattispecie di abuso dei mezzi di correzione, ma concretizza, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, gli estremi del più grave delitto di maltrattamenti. E' stato anzi precisato che l'elemento differenziale tra il reato di abuso dei mezzi di correzione e quello di maltrattamenti non può individuarsi nel grado di intensità delle condotte violente tenute dall'agente in quanto l'uso della violenza per fini correttivi o educativi non è mai consentito."
Poiché il contesto di violenza che ha caratterizzato il rapporto dei genitori con le figlie era privo di qualsiasi finalità educativa, come rilevato dai giudici di merito, il reato è stato correttamente qualificato come maltrattamenti familiari in quanto le percosse, i pesi, le limitazioni e le vessazioni imposte non hanno fatto altro che soffocare il percorso di crescita delle bambine.
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Scarica pdf Cassazione n. 7518/2021• Foto: 123rf.com