- Scia in sanatoria: il significato del silenzio della PA
- La tesi del silenzio-rifiuto
- La tesi del silenzio-inadempimento
- La tesi del silenzio-assenso
- Intervento chiarificatore del legislatore
Scia in sanatoria: il significato del silenzio della PA
La giurisprudenza e la prassi amministrativa non sono concordi sul significato da attribuire al silenzio della P.A. rispetto alla c.d. "SCIA in sanatoria", disciplinata dall'art. 37 del d.P.R. n. 380/2001.
Giova chiarire, preliminarmente, che la SCIA in sanatoria è un istituto diverso rispetto al tradizionale accertamento di conformità previsto dall'art. 36 del medesimo d.P.R.
In quest'ultima fattispecie, a differenza della SCIA in sanatoria, lo stesso legislatore prevede che, decorsi sessanta giorni dalla richiesta, la stessa s'intende rifiutata, secondo il noto meccanismo del c.d. silenzio-rifiuto.
La ragione appare evidente, atteso che l'istituto in esame riguarda la semplice "segnalazione" postuma o correttiva di interventi edilizi soggetti a SCIA, per come analiticamente descritti ai commi 1 e 2 dell'art. 22 del medesimo d.P.R. 380/2001.
La giurisprudenza amministrativa, nel silenzio della legge sul punto, la quale nulla dispone sul significato da attribuire al silenzio della P.A. sulla SCIA in sanatoria, segue tre distinti orientamenti:
- silenzio-rifiuto;
- silenzio-inadempimento;
- silenzio-assenso.
La tesi del silenzio-rifiuto
Secondo la tesi più restrittiva, seguita anche nella giurisprudenza più recente, il silenzio della P.A. sulla segnalazione certificata di inizio attività in sanatoria ne determina il rifiuto, al pari dell'istanza volta all'accertamento di conformità ai sensi dell'art. 36 del d.P.R. n. 380/2001.
Secondo tale orientamento esisterebbe una sorta di connessione implicita tra la fattispecie disciplinata dall'art. 36 e quella disciplinata dal comma 4 dell'articolo seguente.
In particolare, la giurisprudenza amministrativa ha osservato che: "il silenzio sull'istanza di sanatoria di cui agli artt. 36 e 37, comma 4, d.P.R n. 380/2001" sarebbe da qualificarsi come silenzio rigetto, pertanto, anche qualora la procedura del c.d. accertamento di conformità sia esperita in relazione ad intervento edilizio oggetto di s.c.i.a., e non come nel caso dell'art. 36 cit. di permesso di costruire
, "la mancata pronuncia dell'amministrazione sulla relativa domanda entro sessanta giorni dal suo ricevimento ha il valore di diniego tacito della sanatoria» (cfr. TAR Milano, Sez. I, 21.3.2017, n.676; TAR Campania, Sez. III, 18.5.2020, n.1824; T.A.R. Campania, Sez. II, 10.6.2019, n.3146).A parere dello scrivente, la succitata tesi si presta, innanzitutto, alla critica ricavabile dall'antico brocardo secondo cui "ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit".
Non è certo casuale che il legislatore abbia previsto espressamente il silenzio-rifiuto unicamente per l'accertamento di conformità ex art. 36 d.P.R. cit.
Al contempo, il predetto orientamento si scontra con la logica, atteso che non appare affatto ragionevole contemplare il "rifiuto" rispetto ad una "segnalazione".
Tale ipotesi interpretativa determina, quale corollario processuale, un onere di impugnazione da parte del privato che, a fronte del decorso del termine sulla propria "segnalazione", non riceva una pronuncia espressa della P.A. procedente, al solo fine di evitare il consolidamento della posizione lesiva a proprio sfavore.
La tesi del silenzio-inadempimento
Una parte della giurisprudenza amministrativa segue un orientamento mediano, secondo il quale il procedimento disciplinato dall'art. 37 del d.P.R. cit. può ritenersi favorevolmente concluso per il privato solo in presenza di un provvedimento espresso della P.A., pena la sussistenza di un'ipotesi di silenzio inadempimento.
Tale orientamento nega che possa configurarsi, in tale fattispecie, un silenzio significativo.
A sostegno di tale tesi, la giurisprudenza amministrativa ha osservato che: "non può ravvisarsi nella fattispecie di sanatoria di cui all'art. 37 del d.P.R. n. 380/2001 un'ipotesi di silenzio significativo in termini di accoglimento, dal momento che il suddetto art. 37 non solo non prevede esplicitamente un'ipotesi di silenzio significativo, a differenza dell'art. 36 del medesimo d.P.R. n. 380/2001, ma al contrario stabilisce che il procedimento si concluda con un provvedimento espresso, con applicazione e relativa quantificazione della sanzione pecuniaria a cura del responsabile del procedimento […] Dalla lettura della norma è evidente che la definizione della procedura di sanatoria non può prescindere dall'intervento del responsabile del procedimento competente a determinare, in caso di esito favorevole, il quantum della somma dovuta sulla base della valutazione dell'aumento di valore dell'immobile compiuta dall'agenzia del territorio" (cfr. TAR Roma, Sez. II quater, 9.4.2020, n. 3851; TAR Salerno, Sez. II, 23.8.2019, n.1480; TAR Napoli, Sez. III, 23.5.2019, n.2755).
La suesposta tesi conferma che non sempre in medio stat virtus.
Tale orientamento, infatti, finisce per arricchire arbitrariamente gli elementi fondanti l'istituto della SCIA (si ribadisce: "segnalazione" certificata di inizio attività), onerando il privato di un onere ulteriore ed irragionevole rispetto alla stessa volontà legislativa di semplificazione.
Il corollario processuale di tale ipotesi interpretativa, pertanto, si sostanzia nell'onere per il privato istante di proporre un'azione contro il silenzio della P.A. ex art. 116 c.p.a. per censurare la condotta lesiva dell'amministrazione inerte.
La tesi del silenzio-assenso
L'orientamento più elastico, nonché, ad avviso dello scrivente, più coerente rispetto alla natura e alla ratio dell'istituto, ritiene che la mancata risposta della P.A. alla segnalazione postuma o correttiva del privato ex art. 37 d.P.R. n. 380/2001 ne determini l'assenso tacito.
Secondo tale ipotesi interpretativa: "la SCIA in sanatoria, che viene presentata ex art. 37 D.P.R. n. 380 del 2001, si presta a rendere operanti le correlate prescrizioni di cui all'art. 19 e ss., L. n. 241 del 1990, in materia di silenzio-assenso, dovendo essere ragionevolmente riconosciuto a tale segnalazione carattere e natura confessoria, diretta a provare la verità dei fatti attestati e a produrre, con l'inutile decorso del tempo per l'emanazione di provvedimenti inibitori, effetti direttamente stabiliti dalla legge, indipendentemente da una diversa volontà delle parti, ossia l'avvenuta formazione del titolo abilitativo in sanatoria" (cfr. ex multis: T.A.R. Calabria-Catanzaro, Sez. II, n. 507/2020; T.A.R. Napoli, Sez. VIII, n. 5789/2019; TAR Lazio, Sez. II-bis 9.1.2018, n. 156, TAR Lecce, 8.2.2018; Consiglio di Stato, sez. V, 31.3.2014 n. 1534).
Tale conclusione è l'unica che trova fondamento nella legge e, segnatamente, nell'art. 19 della L. n. 241/1990 che disciplina il silenzio-assenso, quale genus in cui rientra la species della SCIA.
L'applicazione della disposizione normativa richiamata comporta che, decorso inutilmente il termine per l'adozione dei provvedimenti inibitori di competenza della P.A., e in difetto di un procedimento di autotutela conclusosi entro il termine dei diciotto mesi previsti dalla norma, il titolo derivante dalla SCIA in sanatoria consolida i suoi effetti per una evidente ragione di certezza e stabilità dei rapporti giuridici di carattere amministrativo.
Intervento chiarificatore del legislatore
La ragione degli orientamenti giurisprudenziali più restrittivi riposa, molto probabilmente, nella consapevolezza dei Giudici Amministrativi dell'incapacità della P.A. di intervenire tempestivamente, entro trenta giorni, per adottare provvedimenti inibitori rispetto ad una segnalazione di inizio attività in sanatoria.
In tal modo, tuttavia, il Giudice Amministrativo finisce per avocare a sé il potere di compiere scelte di politica legislativa e, come tali, esorbitanti dalle proprie funzioni.
Spetta unicamente al legislatore prendere atto dell'atavica inefficienza della P.A. e adottare, conseguentemente, degli interventi correttivi, magari migliorandone l'efficienza o, al massimo, aumentando i tempi degli interventi inibitori rispetto alla segnalazione.
È evidente, pertanto, che il variegato panorama giurisprudenziale in materia impone un intervento chiarificatore del legislatore, soprattutto per evitare di lasciare i privati cittadini e gli operatori del diritto in balia di decisioni, spesso arbitrarie e contrastanti, che mortificano i principi di eguaglianza, buon andamento, imparzialità e tutela giurisdizionale, minando i valori fondanti dello Stato di diritto.
Avv. Claudio Roseto
Specializzato in diritto amministrativo
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