- Messaggi WhatsApp e sms: documenti ai sensi dell'art. 234 c.p.p.
- Sms prodotti non sono autentici
- Gli sms e i WhatsApp riprodotti in foto sono documenti ammissibili
Messaggi WhatsApp e sms: documenti ai sensi dell'art. 234 c.p.p.
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Nella sentenza penale n. 17552/2021 la Cassazione chiarisce che i messaggi whatsapp e gli sms che vengono conservati nella memoria di un cellulare devono considerarsi documenti, ai sensi dall'art. 234 c.p.p. Quindi è legittima la loro acquisizione mediante riproduzione fotografica, perché non trova applicazione la disciplina delle intercettazioni, né quella che regola l'acquisizione della corrispondenza ai sensi dell'art. 254 c.p.p. Non si versa infatti in un caso di captazione di un flusso di comunicazioni in corso, ma della documentazione a posteriori di questi flussi. Cerchiamo di comprendere insieme le ragioni di questa precisazione.
La vicenda processuale
Il giudice dell'impugnazione conferma la sentenza di primo grado, ritenendo l'imputato responsabile per il reato di cui all'art 424 c.p comma 1 (danneggiamento seguito da incendio) e 612 bis commi 1 e 2 (atti persecutori), condannandolo anche al risarcimento dei danni in favore della ex compagna, costituitasi parte civile nel procedimento.
La Corte giunge a queste conclusioni ritenendo autentici gli sms prodotti in foto dalla persona offesa anche perché confermati dall'imputato in sede d'interrogatorio. La Corte ritiene inoltre che la donna non abbia registrato le conversazioni con l'imputato per precostituirsi una prova, ma solo per attestare le promesse dell'uomo di voler ricostruire il loro rapporto sentimentale.
Registrazioni dalle quali emerge anche la minaccia dell'imputato di voler dare fuoco all'auto della parte civile, come poi concretizzatesi e provato da alcuni messaggi inviati la sera stessa dell'evento. La Corte rileva inoltre come gli atti persecutori messi in atto dall'imputato si sono protratti per diversi mesi, concludendosi con la rottura del fanale dell'auto, come confessato dallo stesso alla ex compagna. Condotte che hanno ingenerato nella donna un comprensibile e conseguente stato di ansia e timore, tanto che, seppur temporaneamente, la stessa ha cambiato le proprie abitudini di vita.
Sms prodotti non sono autentici
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Contro la sentenza ricorre in Cassazione l'imputato sollevando tre motivi di ricorso:
- con il primo contesta il rigetto della richiesta di procedere ad accertamenti tecnici finalizzati a dimostrare l'autenticità dei messaggi telefonici prodotti dalla persona offesa in forma fotografica;
- con il secondo contesta la persuasività delle prove relative al reato di danneggiamento seguito da incendio;
- con il terzo invece lamenta la mancata qualificazione delle condotte inquadrate come atti persecutori nel reato di molestia o disturbo alle persone di cui all'art. 660 c.p.
Gli sms e i WhatsApp riprodotti in foto sono documenti ammissibili
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La Cassazione dichiara il ricorso inammissibile per le seguenti ragioni.
Il primo motivo risulta manifestamente infondato in quanto la Cassazione ha già avuto modo di precisare che i messaggi whatsapp e gli sms conservati nella memoria di un cellulare devono considerarsi documenti ai sensi dell'art 234 c.p.p. La loro acquisizione mediante riproduzione fotografica è quindi legittima, non versandosi nella captazione di un flusso di comunicazioni in corso, ma nella documentazione a posteriori delle stesse.
Conclusioni che non vengono smentite dalla sentenza richiamata dall'imputato nel ricorso, visto che la è intervenuta per risolvere una questione diversa, senza considerare comunque che, nel caso di specie, l'imputato ha ammesso l'autenticità dei messaggi.
Inammissibile anche il secondo motivo del ricorso poiché la Corte, con una motivazione priva di vizi logici, ha osservato che le minacce si sono poi tradotte nell'incendio effettivo dell'auto della ex compagna e con l'invio di numerosi messaggi dal contenuto inequivocabile.
Inammissibile infine anche il terzo motivo. Lo stato di ansia e di timore riferiti dalla persona offesa, più che fondati alla luce della grave condotta tenuta dall'imputato e il mutamento delle sue abitudini di vita anche se per un periodo transitorio, sono la riprova del corretto inquadramento della condotta nel reato di atti persecutori.
Scarica pdf Cassazione n. 17552/2021