- Principi di legalità, tassatività e determinatezza
- Divieto di analogia in malam partem
- La sentenza della Corte Costituzionale
- Art. 521 c.p.p.
- Stalking e maltrattamenti: concorso apparente di norme?
- Reato commesso dal coniuge o convivente: la linea di confine tra stalking e maltrattamenti
- I rilievi della Corte Costituzionale
- Sul requisito della convivenza
Principi di legalità, tassatività e determinatezza
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Il principio di legalità, "Nullum crimen, nulla poena sine praevia lege poenali", trova la sua fonte, a livello costituzionale, nell'art. 25 Cost. "Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso". Nel codice penale, il riferimento è all'art 1. L'art 1 cp, testualmente, dispone "nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, nè con pene che non siano da essa stabilite". Dalla disposizione citata si ricava una riserva di legge in materia penale. Fonte del diritto penale è la legge. E' solo la legge a delineare la fattispecie incriminatrice astratta e a delineare i confini e i contorni delle figure di reato, conseguentemente il giudice, nel sussumere il caso concreto nella corrispondente disposizione normativa, deve attenersi alla dizione della norma incriminatrice.
Corollario del principio di legalità, il principio di tassatività e determinatezza.
Per poter correttamente sussumere il fatto concreto nella corrispondente fattispecie astratta, è necessario che la norma incriminatrice descriva precisamente la condotta vietata. Se così non fosse, se la norma fosse generica, non si potrebbe predeterminare il fatto costituente reato. Ovviamente il principio di determinatezza si riferisce non solo al precetto ma anche alla pena.
Divieto di analogia in malam partem
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Se è quindi solo il legislatore a prevedere e cristallizzare i fatti costituenti reato, il giudice non può in alcun modo, nell'ambito dell'interpretazione delle norme, determinare quali comportamenti costituiscono reato, applicando- ad esempio- la norma, contenente la disciplina per un caso simile ad un fatto che non è espressamente nè implicitamente riconducibile alla disposizione normativa applicata. In ciò si sostanzia il divieto di analogia in malam partem: nel divieto di applicare la legge oltre i casi da essa espressamente previsti. Questo divieto impedisce di estendere l'applicazione della norma a situazioni che non sono propriamente ascrivibili a nessuno dei significati letterali delle espressioni utilizzate dal legislatore.
La sentenza della Corte Costituzionale
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Per capire la portata del divieto, è utile richiamare il fatto al culmine del quale la Corte Costituzionale si è pronunciata con la sentenza 98/2021. Nel caso di specie il Tribunale di Torre Annunziata aveva sollevato questioni di legittimità costituzionale - poi dichiarate inammissibili -dell'art 521 c.p.p. in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost.
L'art. 521 c.p.p. espone il principio della correlazione tra l'imputazione contestata e la sentenza. Nell'ipotesi de qua, la controversia verteva su un caso di stalking, l'imputato infatti era accusato dal p.m. di atti persecutori perpetrati ai danni di una donna con la quale intratteneva da qualche mese una relazione affettiva e frequentava abitualmente la sua casa familiare. Trattasi di un rapporto affettivo tra le parti che si è esteso per circa 4 mesi, durante i quali la donna era solita frequentare la casa dove l'uomo viveva con la madre e la sorella, spesso intrattenendosi per un paio di giorni. All'esito del dibattimento, il giudice aveva prospettato alle parti una riqualificazione giuridica del fatto contestato, ritenendo che l'ipotesi di specie integrasse il ben più grave delitto di maltrattamenti in famiglia ex art. 572 c.p.
Art. 521 c.p.p.
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Il 1° comma della disposizione citata sancisce che nella sentenza il giudice può dare al fatto una diversa qualificazione giuridica da quella enunciata nell'imputazione, purché il reato non ecceda la sua competenza né risulti attribuito alla cognizione del tribunale in composizione collegiale anziché monocratica. Secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art 521 cpp, nel caso in cui si proceda ad una riqualificazione giuridica del capo d'imputazione occorre assicurare all'accusato la garanzia del contraddittorio, affinchè non venga compromesso il suo diritto di difesa. Il 2° comma, invece, contempla l'ipotesi in cui emerga un fatto diverso, in tal caso il giudice dispone con ordinanza la trasmissione degli atti al p. m. "se accerta che il fatto è diverso da come descritto nel decreto che dispone il giudizio ovvero nella contestazione effettuata a norma degli articoli 516, 517 e 518 comma 2".
Applicazione art. 521 c.p.p. nel caso di Torre Annunziata
Questo è quanto emerge dall'ordinanza del 9 giugno 2020 con la quale il Tribunale di Torre Annunziata ha disposto la sospensione del procedimento e la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale: terminata la discussione, il giudice, prima di ritirarsi in camera di consiglio, in conformità ad un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art 521 co. 1 cpp, invitava le parti ad instaurare il contraddittorio in ordine all'ipotesi di una riqualificazione del fatto contestato nel decreto di giudizio immediato, ritenendo che il caso di specie integrasse non l'ipotesi di cui all'art 612 bis cp (stalking) ma il ben più grave reato di cui all'art. 572 cp. L'imputato chiedeva, invece, la restituzione degli atti al pubblico ministero ai sensi dell'art. 521 co. 2 cpp, ritenendo che l'ipotesi de qua integrasse quella di fatto diverso, in modo da essere rimesso in termini e formulare richiesta di rito abbreviato; in subordine, ove il fatto fosse ritenuto lo stesso, di essere giudicato nelle forme del rito abbreviato. Nel caso di specie, il giudice riteneva sussistente la medesimezza del fatto, con conseguente applicazione dell'art 521 comma 1 cpp e relativa impossibilità di accogliere la richiesta dell'imputato di accedere al rito alternativo, poichè tardiva. Il 1 comma dell'art 521 cpp non consente una rimessione in termini.
Stalking e maltrattamenti: concorso apparente di norme?
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Il giudice analizza le due fattispecie di reato e quello che sembrerebbe configurare un concorso apparente di norme. Ferma la clausola di sussidiarietà con cui si apre l'art. 612 bis cp -stalking- (salvo che il fatto costituisca più grave reato), è il 2° comma della disposizione normativa a sollevare la questione dei rapporti con la figura di maltrattamenti ex art 572 cp. Il citato comma dell'art 612 bis cp prevede un'aggravante per i casi in cui la condotta (reiterati atti persecutori di minaccia o molestia) sia posta in essere dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa. L'art 572 cp, per converso, risulta collocato nel Titolo XI dei delitti contro la famiglia Capo IV Dei delitti contro l'assistenza familiare, collocazione sistematica della disposizione da non trascurare. Il reato di maltrattamenti è un reato contro la famiglia, realizzato da chiunque - nonostante l'uso del termine, trattasi di reato proprio- maltratta una persona della famiglia o comunque convivente. Il reo deve essere legato alla persona offesa da un rapporto familiare o comunque convivenza.
Reato commesso dal coniuge o convivente: la linea di confine tra stalking e maltrattamenti
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Entrambi i reati possono essere realizzati in corso di relazione affettiva, questo il punto di contatto, fermo restando il rispetto della clausola di sussidiarietà ex art 612 bis co 1 cp che rende applicabile il più grave reato di maltrattamenti ex art 572 cp, quando la condotta integri gli elementi tipici della relativa fattispecie. Non bisogna tralasciare la terminologia specifica usata dall'art 572 cp, tale disposizione si riferisce espressamente ad una condotta abusiva ai danni di una persona della famiglia o comunque convivente. E' invece configurabile l'ipotesi aggravata del reato di atti persecutori ex art 612 bis co 2 cp in presenza di comportamenti che, sorti nell'ambito di una comunità familiare (o a questa assimilata), ovvero determinati dalla sua esistenza e sviluppo, non configurano il reato di maltrattamenti di cui all'art 572 cp per la sopravvenuta cessazione del vincolo familiare ed affettivo o comunque della sua attualità temporale (come nel caso del divorzio). Su questa scia sembra porsi la giurisprudenza più recente della Cassazione (vedi Cass., Pen. Sez. V, Sent. n. 41665/2016; Cass. Pen., Sez VI, Sent. n. 10932/2017).
Il concetto di famiglia e convivenza
Nel caso analizzato dal Tribunale di Torre Annunziata, il ragionamento dell'organo giudicante fa leva su quella giurisprudenza della Cassazione (tra l'altro neppure recente) che adotta un'interpretazione "estensiva" della nozione famiglia, dando rilievo anche a quei nuclei familiari non costruiti sul matrimonio. In particolare si sottolinea come la nozione di convivenza non faccia riferimento al dato formale della coabitazione, intesa come condivisione di spazi fisici ma andrebbe riferita al dato sostanziale della condivisione di progetti di vita. Il giudice aveva ritenuto che, nel caso di specie, pur in assenza di una convivenza (passata o presente) tra i due, vi fosse una relazione affettiva stabile, desunta in particolare dall' assidua frequentazione della famiglia dell'imputato da parte della persona offesa.
I rilievi della Corte Costituzionale
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Chiunque maltratta "una persona della famiglia" "o comunque convivente", tali requisiti circoscrivono l'ambito delle relazioni nelle quali le condotte "maltrattanti" devono aver luogo, per poter essere ricondotte nell'alveo dell'art. 572 cp. Nel caso di specie: relazione di pochi mesi e assenza di convivenza tra i due, come può considerarsi la donna come parte della famiglia o comunque convivente? Se non adeguatamente dimostrato, si rischia di estendere la norma ad un caso non contemplato espressamente, perchè non ascrivibile a nessuno dei possibili significati letterali previsti dalla disposizione, con conseguente elusione del divieto di analogia in malam partem.
Sul requisito della convivenza
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Nella sent. 98/2021 la Corte Costituzionale, tra l'altro, menziona una recente pronuncia della Cassazione che per un'ipotesi simile al caso in esame ha escluso il reato di maltrattamenti in famiglia, trattasi di "una relazione instaurata da non molto tempo" e da una "coabitazione" che è consistita essenzialmente "nella permanenza anche per due o tre giorni consecutivi nella casa dell'uomo…" (Cassaz., Sez 3,sent. 2911/2020). Si rammenta un'altra sentenza (recente) della Cassazione, che proprio in merito alla convivenza more uxorio, sembra enunciare il principio per cui il delitto di maltrattamenti ex art 572 cp sarebbe configurabile soltanto per le condotte tenute fino a quando la convivenza non sia cessata, cosicché le azioni violente o persecutorie realizzate in epoca successiva integrano il delitto di atti persecutori ex art 612 bis co. 2 cp (Cass., Sez 2, sent. 10222/2019).
Antonia De Santis
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