Per la Cassazione con il rapporto di spedalità la struttura si impegna a fornire un'assistenza sanitaria completa: sia la prestazione medica principale che gli obblighi di protezione accessori

Emotrasfusione e controlli da parte dell'ospedale

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L'ospedale che ha effettuato l'emotrasfusione, a cui ha fatto seguito la contrazione di un'infezione in capo al paziente, rischia una condanna per risarcimento danni se non dimostra di aver eseguito i controlli sulle sacche di sangue imposti dalla normativa vigente e dunque esigibili anche in relazione alla provenienza delle sacche stesse.


Infatti, in ambito di responsabilità medica, in capo alla struttura sanitaria e ai medici si innesta una responsabilità a carattere contrattuale a norma degli artt. 1218 e 1228 del codice civile. Tra paziente e ospedale si configura dunque un rapporto contrattuale autonomo e atipico, c.d. di spedalità, in base al quale il nosocomio si impegna a fornire una prestazione articolata, genericamente detta di "assistenza sanitaria" che tuttavia ingloba al suo interno non solo la prestazione medica principale, ma anche tutta una serie di obblighi di protezione e accessori.

Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, terza sezione civile, con la sentenza n. 18813/2021 (qui sotto allegata) pronunciandosi sull'istanza di una donna che, dopo essere stata sottoposta a trasfusione in ospedale in occasione del parto, aveva contratto infezione da Epatite C che il Ministero della Sanità riconosceva essere dipesa dalla suddetta emotrasfusione.


Da qui l'istanza contro il nosocomio per ottenere il risarcimento dei danni subiti, accolta dal Tribunale, con una decisione poi impugnata dall'assessorato regionale alla salute della Regione che contestava il proprio difetto di legittimazione passiva, risultando in materia la responsabilità esclusiva del Ministero della salute quale ente preposto dalla legge ai controlli sul sangue. Accolto il gravame, la Corte d'Appello rigettava la domanda risarcitoria della paziente.

Responsabilità contrattuale dell'ospedale

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La vicenda giunge poi in Cassazione dove, tra i plurimi motivi avanzati dalla ricorrente, uno solo trova accoglimento, nel dettaglio quello con cui si evidenzia come, essendo stata invocata la responsabilità contrattuale dell'ospedale, quest'ultimo avrebbe dovuto, in base al principio di vicinanza della prova, provare il proprio esatto adempimento per andare esente da responsabilità.


Per gli Ermellini gli errori del giudice a quo consistono proprio nell'avere escluso la legittimazione passiva dell'USL senza tener conto delle prospettazioni della richiederete, omettendo di considerare che da parte dell'appellante non vi era stata alcuna contestazione in ordine alla responsabilità contrattuale dell'ospedale come riconosciuta dal giudice di prime cure.


Oltre a contravvenire ai principi di distribuzione dell'onere della prova, tale conclusione si pone in contrasto con l'orientamento di legittimità che, sin dalla pronuncia n. 577/2008 delle Sezioni Unit,e riconosce che la responsabilità extracontrattuale del Ministero, in ordine ai compiti di controllo, direzione e vigilanza, non esclude affatto quella eventualmente a carico della struttura e dei medici a carattere, invece, contrattuale.


Come si legge in sentenza, la legittimazione passiva in ordine alle domande risarcitorie sussiste sia nei confronti del Ministero, ex art. 2043 c.c., che nei confronti della struttura e del personale sanitario, ai sensi degli artt. 1218 e 1228 del codice civile.

Rapporto di spedalità e assistenza sanitaria completa

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La Corte territoriale, secondo il Collegio, ha errato sia nel non valutare secondo diritto l'azione effettivamente esercitata dalla ricorrente, ovvero quella da responsabilità contrattuale sulla quale si era del resto pronunciato, accogliendola, il giudice di primo grado, sia nell'individuare il legittimato passivo nel Ministero della Salute anziché nell'USL.


A tal proposito, gli Ermellini rammentano come tra paziente e struttura ospedaliera si configuri un rapporto contrattuale autonomo e atipico (c.d. di spedalità), in forza del quale "la struttura deve quindi fornire al paziente una prestazione assai articolata, definita genericamente di 'assistenza sanitaria', che ingloba al suo interno, oltre alla prestazione principale medica, anche una serie di obblighi c.d. di protezione ed accessori" (Cass. 577/2008).


Per il Collegio il nosocomio avrebbe potuto andare esente da responsabilità solo nel caso in cui, dalle allegazioni e prove prodotte, fosse emerso che aveva adempiuto all'obbligazione su di esso gravante con diligenza qualificata, perché non era tenuto a compiere controlli ulteriori rispetto a quelli (all'epoca) comunemente praticati, non essendo esso autonomo centro trasfusionale, o perché aveva ricevuto le sacche di sangue utilizzate per la trasfusione da un centro trasfusionale che già aveva esercitato tutti i controlli esigibili.

Controllo sulle sacche per emotrasfusioni

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Ha sbagliato la Corte d'Appello nell'essersi limitata a rilevare che non vi era prova che le sacche di sangue provenissero da un autonomo centro trasfusionale dell'ente ospedaliero e che la struttura sanitaria non era tenuta ad alcun controllo sulle sacche di sangue, essendo tale controllo attribuito per legge al Ministero della salute.


Ambo le conclusioni vengono ritenute errate perché assunte in assenza di ogni verifica circa come le sacche di sangue risultato infetto fossero state acquisite (se tramite la struttura pubblica competente) e se e da chi fossero stati eseguiti i controlli (già) imposti dalla normativa allora vigente: controlli, la cui esigenza, essendo legata al rischio di trasmissione di malattie tramite il sangue che "è antico quanto la necessità delle trasfusioni" (Cass., Sez. Un., 581/2008), risultavano imposti e quindi esigibili. Accolto il ricorso, la Cassazione affida al giudice del rinvio il compito di verificare se, dalle allegazioni di parte sanitaria, emerga o meno l'individuazione della provenienza delle sacche.

Scarica pdf Cassazione Civile, sentenza n. 18813/2021

Foto: 123rf.com
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