Le principali modifiche introdotte con la riforma Cartabia. Ecco come cambia il processo penale in dieci punti

Processo penale: come cambia con la riforma

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Il disegno di legge A.C. 2435 "Delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello", ovvero la c.d. Riforma del processo penale è legge.

Prima la Camera a inizio agosto, poi il Senato il 23 settembre 2021 hanno dato l'ok alla riforma. La legge 134/2021 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 4 ottobre ed entrerà in vigore il 19 ottobre 2021.

Spetta ora al Governo il compito di attuare le novità previste attraverso uno o più decreti legislativi entro un anno dalla sua entrata in vigore.

In particolare, la riforma punta ad accelerare il processo penale, anche attraverso una sua deflazione e la sua digitalizzazione, e detta altresì misure per potenziare le garanzie difensive e le misure a tutela delle vittime del reato.

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Non manca, inoltre, un'articolata disciplina concernente la ragionevole durata del giudizio di impugnazione, del quale è prevista l'improcedibilità in caso di eccessiva durata. Le riforma è rappresentata in gran parte da una delega al Governo che sarà tenuto ad attenersi ai principi e ai criteri in essa previsti per attuarne il contenuto entro un anno dall'entrata in vigore con uno o più decreti legislativi. Ecco come cambierà la giustizia penale.

1. Giustizia riparativa: quali sono le novità introdotte?

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L'articolo 1, comma 18, detta principi e criteri direttivi per introdurre una disciplina organica della giustizia riparativa che manca nel nostro ordinamento, nonostante vi siano diversi istituti e previsioni orientati alla partecipazione attiva di vittima e autore del reato.

Tuttavia, si tratta di previsioni isolate e non coordinate e per questo la riforma intende delegare il Governo ad adottare una disciplina organizzata, nel solco tracciato dalla Direttiva 2012/29/UE che ha fornito norme minime per guidare i diversi paesi membri nell'adozione di strumenti di "restorative justice".

In particolare, tale direttiva definisce la giustizia riparativa come "qualsiasi procedimento che permette alla vittima e all'autore del reato di partecipare attivamente, se vi acconsentono liberamente, alla risoluzione delle questioni risultanti dal reato con l'aiuto di un terzo imparziale".

La delega al Governo

Il Governo si occuperà di definire la nozione di giustizia riparativa, l'articolazione in programmi, i criteri di accesso, le garanzie, la legittimazione a partecipare, le modalità di svolgimento e la valutazione degli esiti dei programmi, ferma restando la necessaria rispondenza degli stessi all'interesse della vittima e dell'autore del reato.

Verrà introdotta nell'ordinamento la definizione di vittima del reato considerando tale anche il familiare di una persona la cui morte è stata causata da un reato e che ha subito un danno in conseguenza della morte di tale persona e definire a tale scopo il familiare.

Ai programmi di giustizia riparativa si potrà accedere in ogni stato e grado del procedimento penale e durante l'esecuzione della pena, senza preclusioni in relazione alla fattispecie di reato o alla sua gravità, previo consenso libero e informato della vittima e dell'autore del reato e della positiva valutazione da parte dell'autorità giudiziaria dell'utilità del programma in relazione ai criteri di accesso. Verranno previste specifiche garanzie per l'accesso ai programmi di giustizia riparativa e per il loro svolgimento .

L'esito favorevole dei programmi di giustizia riparativa potrà essere valutato sia nel procedimento penale che in sede esecutiva e un esito negativo non avrà effetti negativi a carico della vittima o dell'autore del reato nel procedimento penale o in sede esecutiva.

2. I tempi per le indagini preliminari come sono cambiati? A cosa serve l'iscrizione retrodatata?

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Si prevede la rimodulazione dei termini di durata delle indagini preliminari in funzione della natura dei reati per cui si procede. La riforma incide sia sulla durata ordinaria delle indagini che su quella massima (ossia sul regime delle proroghe).


Più nel dettaglio, viene stabilito il seguente regime di durata ordinaria delle indagini, che si calcola dalla data in cui il nome della persona cui il reato è attribuito è iscritto nel registro delle notizie di reato:

- sei mesi per le contravvenzioni;

- un anno per la generalità dei delitti;

- un anno e sei mesi per i procedimenti relativi ai delitti contemplati dall'articolo 407, comma 2, c.p.p. (reati di particolare gravità).


Prevista la possibilità di una proroga che potrà essere richiesta una volta soltanto, per un lasso di tempo non superiore a sei mesi, qualora la proroga sia giustificata dalla gravità delle indagini.


La tardiva iscrizione nel registro della notizia di reato ha conseguenze sulle indagini preliminari e per questo la riforma introduce un meccanismo di verifica, su richiesta di parte, sui presupposti per l'iscrizione. Viene consentito al giudice di accertare la tempestività dell'iscrizione stessa e di retrodatarla nel caso di ingiustificato ed inequivocabile ritardo. Per proporre la richiesta di retrodatazione verrà previsto un termine a pena di inammissibilità. L'interessato che chiede la retrodatazione avrà l'onere di indicare le ragioni alle basi della richiesta.

"La ragionevole previsione di Condanna" sostituisce il criterio della idoneità a sostenere l'accusa.

Sempre in materia di indagini preliminari e udienza preliminare, la riforma incide sui criteri decisori di cui agli articoli 125 disp. att. c.p.p. e 425, comma 3, c.p.p. che dettano la regola di giudizio per l'archiviazione e per la pronuncia della sentenza di non luogo a procedere.

Il criterio dell'inidoneità degli elementi acquisiti a sostenere l'accusa in giudizio, previsto sia per giustificare la pronuncia da parte del giudice della sentenza di luogo a procedere sia per la richiesta di archiviazione del P.M., viene sostituito con quello dell'inidoneità dei medesimi elementi a consentire una "ragionevole previsione di condanna".

3. I criteri di priorità per l'esercizio dell'azione penale saranno fissati con legge del Parlamento

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In diverse occasioni è stata da più fronti evidenziata la necessità di individuare criteri di priorità nella trattazione degli affari penali negli uffici, in considerazione della concreta e sempre più diffusa estrema difficoltà di procedere, nello stesso modo e secondo gli stessi tempi, alla trattazione di tutti gli affari pendenti.

L'obiettivo è quello di razionalizzare l'allocazione delle scarse risorse disponibili per la trattazione dei procedimenti penali, evitando sia l'affidamento delle scelte di trattazione alla valutazione, caso per caso, del magistrato operante, sia il fatalistico abbandono al criterio della pura casualità.

Alcune precisazioni sono fornite dall'art. 132 disp. att. c.p.p., che introduce indicazioni vincolanti per gli uffici giudicanti in tema di formazione dei ruoli di udienza e trattazione dei processi, con attribuzione di priorità assoluta a talune tipologie di reato connotate da speciale gravità. I singoli uffici si sono poi affidati a direttive interne fornite dal procuratore capo per orientare l'operato dei pubblici ministeri.Il CSM è poi intervenuto in diverse occasioni per orientare l'operato degli uffici.

Per le difficoltà riscontrate, la riforma del processo ha dunque deciso di intervenire anche in materia di criteri per la selezione delle notizie di reato da trattare con precedenza rispetto alle altre, ritenendo che nell'architettura costituzionale le valutazioni di politica criminale non possano che essere affidate al Parlamento.

Si prevede dunque l'elaborazione di criteri generali che verrà affidata a una legge del Parlamento. Poi, nell'ambito di tali criteri, gli uffici del pubblico ministero individueranno criteri di priorità trasparenti e predeterminati, da indicare nei progetti organizzativi delle procure della Repubblica, tenuto conto del numero degli affari da trattare e dell'utilizzo efficiente delle risorse disponibili.

La procedura di approvazione dei progetti organizzativi delle procure della Repubblica dovrà essere allineata a quella delle tabelle degli uffici giudicanti.

4. Il patteggiamento come cambia?

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Nel progetto di riforma dei riti alternativi, con effetti deflattivi del rito dibattimentale, si innestano i ritocchi all'art. 444 c.p.p. quanto ai presupposti per accedere all'istituto dell'applicazione della pena su richiesta delle parti (c.d. patteggiamento).


Nell'esercizio della delega per riforma del processo penale, il Governo dovrà prevedere che, in tutti i casi di applicazione della pena su richiesta, l'accordo tra imputato e pubblico ministero possa estendersi alla confisca facoltativa e alla determinazione del suo oggetto e ammontare. Solo nel caso in cui la pena detentiva da applicare superi due anni, invece, l'accordo tra imputato e pubblico ministero potrà estendersi alle pene accessorie e alla loro durata.


Per ridurre gli effetti extra-penali della sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, si prevede anche che questa non abbia efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare e in altri casi.

5. Come cambia l'inappellabilità delle sentenze di proscioglimento?

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Esigenze di deflazione sono alla base anche della riforma proposta per il sistema delle impugnazioni. Il Governo viene delegato a estendere le attuali ipotesi di inappellabilità delle sentenze.

Attualmente, per quanto riguarda la sentenze di proscioglimento, è previsto siano inappellabili quelle relative a contravvenzioni punite con la sola pena dell'ammenda o con pena alternativa (ammenda o arresto).

Al legislatore delegato è affidato il compito di estendere l'inappellabilità anche delle sentenze di proscioglimento pronunciate in relazione a reati puniti con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa (multa o reclusione).

6. La querela a cosa è stata estesa?

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La riforma interviene anche sulle condizioni di procedibilità, a partire dall'ampliamento dell'ambito di applicazione della procedibilità a querela.

In primis, la riforma prevede di introdurre la procedibilità a querela anche per il reato di lesioni stradali colpose gravi previsto dall'articolo 590-bis, primo comma, c.p. e, nel corso dell'esame in sede referente, si è esteso tale regime di procedibilità alle lesioni stradali colpose gravissime.

Ancora, il Governo è delegato ad estendere il regime di procedibilità a querela di parte ad ulteriori specifici reati contro la persona o contro il patrimonio, individuati nell'ambito di quelli puniti con la pena edittale detentiva non superiore nel minimo a due anni. Si specifica, inoltre, che, ai fini della determinazione della pena detentiva, non si dovrà tenere conto delle circostanze del reato e che occorrerà comunque fare salva la procedibilità d'ufficio - a tutela di soggetti deboli - quando la persona offesa sia incapace per età o per infermità.

7. Come viene estesa l'applicabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto?

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Spinge alla deflazione dei procedimento penali anche il potenziamento dell'istituto della non punibilità per tenuità del fatto, che dovrebbe consentire di ridurre le ipotesi nelle quali il procedimento penale giunge al dibattimento.

Sposando una proposta avanzata da diversi studiosi e commissioni di studio, la riforma mira a estendere l'ambito di applicazione dell'art. 131-bis c.p. (facendo riferimento non più al limite massimo bensì al limite minimo edittale) a quei reati puniti con pena edittale non superiore nel minimo a due anni, sola o congiunta a pena pecuniaria.

Tuttavia, se ritenuto opportuno sulla base di evidenze empirico-criminologiche o per ragioni di coerenza sistematica, il Governo potrà precludere l'accesso all'istituto in presenza di per specifici reati. Dell'istituto non si potrà mai beneficiare, invece, in caso di reati riconducibili alla violenza nei confronti delle donne e violenza domestica.

8. Cosa si è fatto per la sospensione del procedimento penale con messa alla prova dell'imputato?

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Il Governo è altresì delegato a estendere l'ambito di applicabilità dell'istituto della sospensione del procedimento penale con messa alla prova dell'imputato (di cui all'art. 168-bis c.p.) a specifici ulteriori reati, oltre a quelli già previsti.

Si punta a estendere l'ambito di applicabilità della sospensione del procedimento con messa alla prova attraverso il richiamo alla citazione diretta a giudizio di cui all'art. 550, comma 2, c.p.p., a reati che siano puniti con pena edittale detentiva non superiore nel massimo a 6 anni e che si prestino a percorsi risocializzanti o riparatori, da parte dell'autore, compatibili con l'istituto.

Inoltre, si punta a rendere possibile che a richiedere la messa alla prova dell'imputato possa essere anche il pubblico ministero, non potendo comunque prescindere dal consenso dell'imputato.

9. Come funziona il nuovo sistema delle notificazioni all'imputato?

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Mirano a bilanciare le esigenze di velocizzazione del procedimento con quelle di mantenere elevate garanzie difensive i principi e criteri direttivi previsti per modificare la disciplina delle notificazioni all'imputato non detenuto.

In particolare, è previsto che debbano essere effettuate personalmente all'imputato soltanto la prima notificazione, quella in cui egli prende conoscenza del procedimento a suo carico, e quelle relative alla citazione a giudizio in primo grado e in sede di impugnazione.

Tutte le altre potranno essere effettuate al difensore di fiducia, al quale l'imputato avrà l'onere di comunicare i propri recapiti e nel primo atto notificato all'imputato andrà inserito apposito avviso relativo a tale evenienza.

L'imputato avrà quindi l'onere di indicare al difensore, e costantemente aggiornare, un recapito idoneo, anche telefonico o telematico, al quale potranno essergli inoltrate le successive comunicazioni. L'omessa o ritardata comunicazione all'assistito da parte del difensore, per causa imputabile al medesimo assistito, non costituirà inadempimento degli obblighi derivanti dal mandato professionale del difensore.

10. Come funziona la nuova improcedibilità

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Particolarmente importanti sono le disposizioni, immediatamente prescrittive, relative all'istituto dell'improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione, di cui al nuovo 344-bis del codice di rito.


I termini di durata massima dei giudizi di impugnazione vengono fissati, rispettivamente, in 2 anni per l'appello e un anno per il giudizio di cassazione e la mancata definizione del giudizio entro tali termini comporterà la declaratoria di improcedibilità dell'azione penale.

Proroghe ai termini di durata massima

Per tutti i reati sarà possibile per il giudice disporre una sola proroga di un anno per il giudizio di appello e di 6 mesi per il giudizio in Cassazione, raggiungendo così la durata massima di 3 anni per l'appello e di 1 anno e 6 mesi per la Cassazione, sempre che ricorrano i motivi che giustificano la proroga.


Disciplina particolare è prevista, invece, per alcuni delitti particolarmente gravi. In primis, per i reati commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale, di associazione mafiosa e di scambio elettorale politico-mafioso, di violenza sessuale aggravata e di traffico di stupefacenti, non è fissato un limite di durata in quanto il termine base potrà essere prorogato, per ragioni inerenti la complessità del giudizio, con successive proroghe, senza limiti di tempo.

Invece, per i delitti aggravati dal metodo mafioso e dall'agevolazione mafiosa ai sensi dell'articolo 416-bis.1, potranno essere concesse proroghe fino ad un massimo di 3 anni per l'appello e un anno e 6 mesi per il giudizio di legittimità. In tali casi, dunque, la durata massima del giudizio in appello sarà di 5 anni e quella del giudizio in Cassazione è di 2 anni e 6 mesi.

I termini di durata massima dei giudizi di impugnazione non si applicano nei procedimenti per delitti puniti con l'ergastolo e quando l'imputato vi rinunci.

Disposizione transitoria

È stato previsto, con una disposizione transitoria, che le nuove norme in materia di improcedibilità trovino applicazione solo nei procedimenti di impugnazione che hanno ad oggetto reati commessi a partire dal 1° gennaio 2020.

Per questi procedimenti, peraltro, se l'impugnazione è proposta entro la fine del 2024, i termini di durata massima dei giudizi saranno rispettivamente di 3 anni per l'appello e di 1 anno e mezzo per il giudizio di Cassazione.


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