- Il "femminismo" attuale, tra bigenitorialità e violenza domestica
- AIPG e l'alienazione genitoriale
- Il "credo" dell'AIPG in merito all'affidamento dei figli
- Chi non vuole dare la parola ai figli?
- La (s)fiducia nelle istituzioni
Il "femminismo" attuale, tra bigenitorialità e violenza domestica
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Il recentissimo comunicato dell'AIPG (sotto allegato) ritiene di dover "formulare alcune considerazioni, nell'ottica costruttiva di collaborazione e di miglioramento delle attività psicologico-giuridico-forensi in riferimento alla violenza familiare e di genere.". In realtà, tuttavia, la problematica è ben più ampia, come documenta il continuo succedersi di iniziative, esternazioni e proclami che mostra un mondo femminile in ebollizione, proteso alla ricerca di nuovi spazi e definizioni di diritti e doveri nell'ambito della vita sociale, a partire dallo stesso parere espresso dalla Commissione Affari costituzionali (nonché da alcuni sub-emendamenti in discussione al Senato in Commissione Giustizia), che traccia un esplicito collegamento tra violenza domestica, bigenitorialità e affidamento condiviso. Appare quindi estremamente utile, se non indispensabile, descrivere brevemente il contesto nel quale tematica è attualmente portata avanti e dibattuta.
Esiste un femminismo illuminato, quello di Francoise Dolto e Doris Lessing, dai toni pacati, che fonda i propri argomenti sulla logica e sulla scienza, e che associa le giuste rivendicazioni femminili alle vie più sensate per soddisfarle; un femminismo secondo il quale il pari impegno dei genitori nella cura dei figli è il modo più efficace affinché la donna conquisti le dovute pari opportunità e un pieno rispetto della sua persona.
Tuttavia, si osserva anche una adesione opportunistica alla protesta femminista contro i maltrattamenti, praticata soprattutto da uomini e soprattutto da quelli che hanno già una buona visibilità, ad es. come frequentatori infaticabili di talk-show, attentissimi al "politicamente corretto"; ovvero alla sua forma, ma senza una reale della condivisione della sua sostanza. E' un'adesione che cerca di sfruttare l'attuale estrema popolarità del tema, sulla quale donne e uomini costruiscono carriere - tanto accademiche quanto politiche o dirigenziali. Un'adesione ipocrita, la cui insincerità è di facile verifica nel caso dei "femministi": basta osservare come si comportano quando potrebbero lasciare il passo a una donna rinunciando alle proprie opportunità di poltrona. Ovvero, in generale, prendendo nota della rapidità con la quale sono capaci di cambiare posizione.
Esiste, infine una partecipazione disperata, prevalentemente presente ai livelli sociali meno favoriti, proprio presso quei soggetti che hanno realmente vissuto le discriminazioni e che non hanno tempo per documentarsi; che agisce per sentito dire e si esprime sui social nelle forme più virulente e aggressive, rinunciando alla riflessione e alle verifiche; che accetta acriticamente il verbo dei soggetti guida e mena fendenti all'impazzata senza essere in grado di distinguere gli amici dai nemici. Per queste persone è giusto avere la massima comprensione: esattamente quella che non merita il secondo gruppo qui descritto.
AIPG e l'alienazione genitoriale
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E' in questo contesto, culturale e sociale, che si colloca il fermo comunicato dell'AIPG. Un'associazione, tuttavia, e va detto a suo merito, che già da tempo più volte ha affrontato, pronunciandosi, il tema della famiglia in crisi e dell'affidamento dei figli; nonché quello delle manovre di cui sono oggetto. Pertanto, per comprendere bene come si collochi e come si giustifichi l'attuale presa di posizione conviene partire da più indietro, ad esempio dagli Atti del XVI Congresso dell'associazione, tenuto a Pisa nel 2014.
Nell'occasione, lo stesso Prof. Capri (presidente di AIPG ed estensore del recente comunicato) affermava: "Si può introdurre il concetto di Alienazione del Sistema Famiglia quando, in alcuni casi di separazione altamente conflittuali, il dissidio fra due genitori produce la compromissione del rapporto del bambino con uno dei due genitori, cioè il rifiuto della relazione con un genitore a favore della relazione esclusiva con l'altro genitore, naturalmente in assenza di violenza, maltrattamenti e abusi, non esclusivamente verso il minore." E aggiungeva: "Usare la definizione e la concettualizzazione di "sindrome di alienazione genitoriale", porta a disconoscere la complessità di questa situazione che, pur essendo sicuramente una condizione patologica, fa piuttosto riferimento ad un processo disfunzionale delle relazioni familiari … La sottovalutazione o la negazione di tale disturbo relazionale porterebbe a non intervenire nei tempi e nei modi adeguati ". E Maria Cristina Verrocchio (Univ. Chieti, Consiglio direttivo AIPG) così si esprimeva: "L'alienazione è considerata una forma di maltrattamento psicologico in quanto alcuni comportamenti che la caratterizzano sono anche il fondamento di tale forma di violenza".
Emergeva, d'altra parte, che i tentativi di condizionare i figli che sfociano in manifestazioni pressoché totali di rifiuto - o comunque che sono oggetto di osservazione nelle CTU - rappresentano solo il caso estremo di un fenomeno molto più diffuso, pressoché abituale. A confermarlo è ancora una volta una indagine condotta in seno all'AIPG (Verrocchio e Marchetti): "470 adulti hanno completato una batteria di questionari, in forma anonima e confidenziale, volta a misurare la percezione dell'esposizione a comportamenti di alienazione genitoriale. … Risultati: circa l'80% del campione ha percepito di essere stato esposto a comportamenti di alienazione genitoriale; circa il 46% dei partecipanti ha riferito che un genitore ha cercato di metterlo contro l'altro. I risultati hanno evidenziato che individui esposti a comportamenti di alienazione genitoriale sperimentano con maggiore probabilità un parenting disfunzionale (bassa cura e iperprotezione) e forme di maltrattamento psicologico. Inoltre, bassa cura, iperprotezione ed esposizione a comportamenti di alienazione genitoriale predicono significativamente il maltrattamento psicologico." (Relazione di Maria Cristina Verrocchio, Pisa, 2014).
E' dunque evidente anzitutto che quando si intende combattere la violenza domestica, quale che ne sia la forma, l'alienazione va tutt'altro che esclusa, mettendo il cosidetto "interesse del minore" in competizione con la bigenitorialità. Nonché che il termine "Alienazione genitoriale" è andato finora benissimo ad AIPG, mentre oggi non si sa più come definire il fenomeno: Disturbo? Patologia? Condizionamento? Tutti bocciati secondo il punto 4 del Comunicato, dove si legge: "Non è corretto usare il termine PAS nelle CTU perché non riconosciuta a livello scientifico internazionale; può capitare, ed è quindi un errore, che il CTU tenda a scrivere di alienazione e condizionamento (magari non utilizzando più il termine PAS ma sostenendo più o meno un concetto simile) quando un figlio non vuole frequentare l'altro genitore".
Insomma, non va bene nemmeno cambiare termine perché è proprio il concetto che sembra debba essere rifiutato… Ma cosa si vuole dire? Si torna alla questione posta inizialmente: l'affidamento deve nella sostanza essere monogenitoriale, tutto ciò che ostacola quel modello va spazzato via, non importa con quale pretesto. La bigenitorialità - benché intesa dalla normativa vigente come pari opportunità per il figlio di avere accesso ai due genitori perché pariteticamente impegnati nella sua educazione e cura, a prescindere da tutte le occasionali ed eventuali limitazioni - ovviamente non va bene, perché ne è l'esatta negazione. Quindi, "maledetta bigenitorialità, maledetta legge 54, una legge da abrogare"; ovvero da rappresentare sui social coperta da una svastica. Lo schieramento è questo. Sarebbe ingenuo non rendersene conto. D'altra parte il collegamento appare senza veli nella relazione depositata in Senato da AIPG nel 2019.
Il "credo" dell'AIPG in merito all'affidamento dei figli
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Infatti all'occasione di esprimersi del 2014 ne è seguita un'altra, ancora più prestigiosa, costituita dal Documento che AIPG fornisce nel 2019 alla Commissione Giustizia del Senato a commento del ddl 735, a firma ancora del Prof. Capri. Certamente buona parte degli appunti su aspetti particolari sono esatti (chi scrive ha riscontrato e segnalato 112 criticità nella versione iniziale del ddl). Ma la lettura sia della ratio legis che delle sue prescrizioni è completamente stonata. Non è questa la sede per scendere nei dettagli, ma conviene darne almeno qualche esempio illuminante.
- Ancora una volta le "difficoltà nei vari spostamenti" per i figli vengono attribuite al modello a settimane alternate (tipico del paritetico) e non a quello spezzettato che prevale nei tribunali.
- Per un istituto che prevede per il figlio una relazione simmetrica con i genitori (per quanto lo si può, ovviamente) si chiede la determinazione sistematica e a priori "di uno spazio stabile di tipo prevalente".
- Si predica una "differenziazione per fasce di età" nella frequentazione, non rendendosi conto che ciò vorrebbe dire sia separare dei fratelli che far tornare dal collocatario all'ora di cena un figlio solo, mentre l'altro resta. Condivisibile?
- Si contesta il doppio domicilio dei figli, ignorando le fondate ragioni che hanno spinto già un centinaio di comuni, piccoli e grandi, ad istituire il relativo registro.
- Si protesta contro la "introduzione" del mantenimento diretto, benché già previsto dalla legge in vigore, anche se ignorato dalla giurisprudenza.
- Si attribuisce al medesimo l'effetto di contraddire "il principio di proporzionalità posto alla base del diritto dei minori di essere mantenuti da entrambi i genitori" e di negare "il principio di bigenitorialità ponendo i due genitori su piani diversi a seconda delle capacità economiche con una evidente disparità nei confronti del genitore economicamente più debole". Nulla di più inesatto. Gli oneri gravano su ciascuno in proporzione con le risorse e al figlio si assicura il tenore di vita che corrisponde alla somma delle risorse genitoriali complessivamente considerate, come avviene nella famiglia unita.
Chi non vuole dare la parola ai figli?
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Infine, giustamente, "Si ritiene necessario l'ascolto del minore. …
Da un punto di vista clinico, nel caso in cui un figlio viene ridotto in uno stato di totale soggezione al potere di un genitore attraverso la riproduzione di pensieri, emozioni, e sentimenti non propri ma del genitore con il quale si identifica, sarebbe necessaria l'osservazione, l'ascolto e la valutazione del minore in quanto risulta fondamentale
ipotizzare una diagnosi ben più grave della cosiddetta Alienazione Parentale."
D'accordo. Curiosa però, allora, l'adesione espressa al punto 5 alle posizioni della presidente della sezione civile del TO di Terni, alla quale si deve la modifica dell'art. 337-octies c.c., attraverso il D.lgs 154 del 2013 (fuori delega: Roberto Russo, "L'illegittimità formale, l'illegittimità sostanziale e l'inadeguatezza strutturale del decreto legislativo n. 154 del 2013", in giustiziacivile.com) che permette di negare l'ascolto del minore. E' vero che nelle dichiarazioni citate non si parla di ascolto: "l'affidamento e il diritto di visita dei figli, quando ci sono episodi di violenza, possono mettere a rischio la sicurezza della vittima e dei bambini". Ma già discriminare i genitori ragionando in termini di "diritto di visita", qualche perplessità doveva suscitarla. Anche perché cosa vuol dire "quando ci sono episodi di violenza"?. Se è solo denunciata, che si debbano applicare delle sanzioni è affermazione gravissima, per ovvi motivi; e se è "accertata" (come si dice oltre, in effetti) l'affidamento condiviso non può essere dato, già ora per legge; per cui se lo si dà è un errore giudiziario. Dunque?
La (s)fiducia nelle istituzioni
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Di particolare interesse il punto 6 del Documento: ""Viene a mancare alle volte la fiducia nelle istituzioni da parte di chi denuncia situazioni di violenza intrafamiliare, in quanto si fa fatica a definire in modo corretto le responsabilità individuali, penalizzando i soggetti giuridici più deboli." Senza dubbio non si può che aderire alla prima parte dell'affermazione (il crollo della fiducia dei cittadini nella magistratura è documentato da ripetuti e coerenti rilievi statistici). Ma che questo avvenga solo presso chi denuncia violenze di e non trova ascolto genere (come qui si intende) è affermazione da approfondire.
Purtroppo il travisamento, e conseguente disapplicazione, dell'affidamento condiviso è anch'esso fortemente deludente presso gran parte della popolazione. E' anch'esso una forma di violenza, che anch'essa danneggia i soggetti più deboli: i figli. Indebolire, o sopprimere, la pari dignità di genitori perfettamente idonei a favore di modelli monogenitoriali, ipocritamente indicati con il nome di "condivisi", significa porsi sul primo gradino della scala dell'alienazione.
L'alienazione genitoriale è la realizzazione perfetta dell'affidamento esclusivo. Non a caso viene messa in contrapposizione alla bigenitorialità. Non a caso la corrente di pensiero negazionista è nella stessa misura ostile alla vera e piena realizzazione dell'affidamento condiviso. Svuotare sistematicamente l'affidamento condiviso delle sue caratteristiche essenziali, come il coinvolgimento paritetico dei genitori nella concreta cura dei figli (diritto indisponibile dei figli) - anche quando materialmente realizzabile - e propagandare un modello a genitore prevalente che relega l'altro in funzione di supporto essenzialmente economico, sottraendogli ogni partecipazione alle scelte e possibilità decisionali (l'uso costante del termine "diritto di visita" lo documenta eloquentemente) significa aprire la strada a forme, più o meno gravi, di alienazione.
Scarica pdf comunicato Aipg
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