La decisione è frutto della prestigiosa penna del Dott. Domenico Potetti, prolifico autore di numerosissime pubblicazioni per gli editori più diffusi in campo giuridico.
La massima
In tema di art. 25 septies del d. lgs. n. 231 del 2001 (responsabilità dell'ente per omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro) non essendo ragionevole ipotizzare che l'omicidio colposo o la lesione colposa aggravata del lavoratore siano stati realizzati dal soggetto in posizione apicale (o dal sottoposto) nell'interesse ex ante dell'ente e con il suo vantaggio economico ex post (costituendo la morte o le lesioni del lavoratore, sia viste ex ante con il criterio dell'interesse, sia viste ex post con il criterio del vantaggio, un elemento fortemente negativo per l'ente e per le persone fisiche che agiscono per lo stesso), e dovendosi considerare che il delitto "è colposo, o contro l'intenzione, quando l'evento, anche se preveduto, non è voluto dall'agente" (art. 43 c.p.), e quindi il soggetto che agisce per l'ente esclude la stessa possibilità della morte o della lesione del lavoratore, non resta che prendere atto, di conseguenza, che il legislatore con l'art. 25 septies cit. si è riferito solo alla condotta colposa del reo (con esclusione dell'evento), la quale invece si sposa perfettamente con i criteri dell'interesse ex ante e del vantaggio ex post (es. risparmio sui costi, accelerazione della produzione e quindi maggiori profitti).
2. Soluzione del processo all'ente
TRIBUNALE PENALE DI MACERATA, UFFICIO GIP/GUP, 1° settembre 2021, Giudice Domenico Potetti, imp. X.
Omissis...
1. Cenni in punto di fatto
A parere del Servizio Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro, l'evento si doveva inquadrare in un contesto comunque lavorativo, seppure anomalo, nel quale molte delle operazioni di manutenzione relative allo stabile e agli impianti venivano effettuate dallo stesso personale dipendente, pur senza alcuna specifica competenza e/o formazione.
La nomina del nuovo amministratore, … non aveva modificato o impedito che tali comportamenti si perpetrassero, continuando ad esporre a rischi, anche gravi, i lavoratori subordinati.
Ancor più, fra le prime azioni che il nuovo amministratore avrebbe dovuto intraprendere, non solo a tutela dei propri dipendenti ma anche dell'intera comunità residente, certamente sarebbe stata quella di vietare l'uso del sollevatore implicato nell'evento di cui trattasi.
Ciò in quanto non solo l'ascensore in questione non era stato sottoposto alla verifica biennale,… ma anche e soprattutto poiché l'ultima verifica …, ne vietava espressamente l'uso sino a che non fossero state sostituiti alcuni clementi e/o componenti in realtà mai sostituiti.
Per quanto sopra sottolineato, ad avviso del Servizio, appariva imputabile alla predetta … la responsabilità per colpa per quanto occorso al lavoratore deceduto.
Lo stesso organo specializzato ha anche precisato che l'agire della vittima non ha costituito un comportamento esorbitante, eccezionale e imprevedibile, perché esso comportamento non è stato estraneo alle mansioni di fatto a lui attribuite nell'ambito dell'organizzazione del lavoro che era stata stabilita dal precedente datore di lavoro … e che è stata mantenuta da quello che gli è succeduto.
Il … risulta essere stato assunto … dal precedente amministratore …, con contratti a tempo determinato di volta in volta rinnovati sino alla scadenza ultima….
La mansione prevista in tali contratti era quella di operaio addetto al servizio di pulizia.
Al momento dell'infortunio il lavoratore in questione risultava quindi privo di assunzione regolamentare.
Dagli accertamenti e dalle dichiarazioni rese è emerso che il … socio della ditta in questione, ha incontrato più volte gli ex dipendenti del condominio dando loro precise disposizioni per l'esecuzione dei compiti loro assegnati (ad es. in caso di guasto dell'ascensore la richiesta di intervento manutentivo doveva essere effettuata sempre e comunque per il suo tramite).
Di fatto, quindi, ad avviso del Servizio, il … aveva confermato l'incarico al lavoratore deceduto che, assieme ai sig.ri …, avevano continuato a garantire i servizi di portineria sull'intero arco delle 24 ore, effettuando regolari turni lavorativi, come documentato dalle schede di presenza acquisite.
Gli altri due dipendenti risultavano essere i sigg. … entrambi incaricati delle pulizie dello stabile.
I lavoratori predetti non sono risultati informati e formati in materia di sicurezza sul lavoro ed è risultato inoltre che il datore di lavoro non aveva valutato i rischi ai quali gli stessi erano esposti.
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2. Soluzione del processo all'ente
Assorbita ogni altra questione, ad avviso di questo GUP le seguenti considerazioni si oppongono ad una sentenza di condanna a carico dell'ente.
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2.1 Dalla documentazione versata in atti risulta che l'ente imputato non era titolare della posizione di garanzia rispetto all'ascensore in questione.
Infatti, vi è in atti copia del contratto di manutenzione ordinaria …, in base al quale tale posizione di garanzia competeva alla ….
Non solo: risulta anche che detta impresa aveva già effettuato un intervento sul luogo….
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2.2 Ai sensi dell'art. 38 del d. lg. n. 231 del 2001, il procedimento amministrativo contro l'ente procede riunito al procedimento penale instaurato nei confronti dell'autore del reato da cui l'illecito dipende.
Solo nei casi eccezionali di cui al comma secondo del medesimo articolo si deroga a tale regola.
La ratio di tale principio sta nel dato per cui la responsabilità dell'ente presuppone strettamente l'esistenza del reato.
Ciò risulta confermato dall'art. 5 del decreto legislativo in questione.
Dato questo nesso di dipendenza, che si evince dalle due disposizioni sopraindicate, è inconcepibile un'affermazione di responsabilità dell'ente quando l'esistenza del reato sia stata negata con una sentenza passata in giudicato.
È quanto avvenuto nel caso che ci occupa, nel quale, con la sentenza …, nella sua qualità di legale rappresentante dell'ente qui processato, veniva assolta dal reato a lei ascritto (omicidio colposo) perché il fatto non costituisce reato.
Più precisamente, il giudice del reato presupposto evidenziava che nel caso di specie, nonostante fosse vietato effettuare lavori sull'ascensore, se non da parte della ditta a ciò deputata, e seppure nessuno avesse conferito alcun incarico in tal senso al …, questi di sua iniziativa aveva deciso di riparare l'ascensore che era stato rotto la sera precedente con un calcio ad una delle ante da parte di alcuni condomini malavitosi, come di consueto, tanto che anche il … la ditta … aveva riparato un danno simile.
Il … non solo svolgeva la funzione di portiere, per cui tra le sue mansioni non era affatto inclusa quella di riparare l'ascensore in oggetto, ma al momento del fatto il suo contratto di lavoro a tempo determinato, ormai scaduto, non era stato ancora rinnovato; peraltro, proprio in quel periodo l'amministrazione del condominio era passata alla società ….
Ne consegue che, ad avviso di quel giudice, non risultava ravvisabile alcuna penale responsabilità in capo agli imputati.
Il principio di diritto al quale (anche) si è ispirato il giudice del reato presupposto è quello in base al quale la titolarità di una posizione di garanzia non comporta, in presenza del verificarsi dell'evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante, imponendo il principio di colpevolezza la verifica in concreto sia della sussistenza della violazione da parte del garante di una regola cautelare (generica o specifica), sia della prevedibilità ed evitabilità dell'evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire (cosiddetta concretizzazione del rischio), sia della sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l'evento dannoso (v. Cass., Sez. 4, n. 5404-15, RV 262033-01).
Condizioni evidentemente non ravvisate da quel giudicante, con sentenza passata in giudicato.
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2.3 Ai sensi dell'art. 5 del d. lg. n. 231 del 2001, l'ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio.
Ebbene, nel caso di specie, non si vede quale interesse o vantaggio l'ente potesse aspettarsi o conseguire non tanto dall'evento morte di cui trattasi, ma anche solo dalla condotta colposa ipoteticamente consistente nel servirsi della vittima per l'intervento sull'ascensore, quando già in realtà vi era ditta specializzata con la quale si era raggiunto un accordo contrattuale in tema di manutenzione.
Già nei delitti lavoristici colposi vi sono notevoli difficoltà di adattamento al sistema disegnato dal d. lg. n. 231 del 2001, dovute essenzialmente all'assenza, nella versione originaria della c.d. parte speciale del d. lg., di fattispecie di natura colposa.
Dopo la novità introdotta dall'art. 25 septies del d. lg. è evidente che sia il concetto di interesse, sia quello di vantaggio poco si adattano a fattispecie colpose di evento (come quelle di cui agli artt. 589 e 590 c.p.), per loro natura caratterizzate dalla mancata volizione dell'evento medesimo.
E' arduo, inoltre, ipotizzare che l'omicidio colposo o la lesione colposa aggravata del lavoratore siano stati realizzati dal soggetto in posizione apicale (o dal sottoposto) nell'interesse ex ante dell'ente e con il suo vantaggio economico ex post.
E' evidente infatti che la morte o le lesioni del lavoratore, sia viste ex ante (con il criterio dell'interesse) sia viste ex post (con il criterio del vantaggio) costituiscono un elemento fortemente negativo per l'ente e per le persone fisiche che agiscono per lo stesso, sia sotto l'aspetto economico (risarcimento, disfunzioni organizzative conseguenti all'intervento in azienda degli organi investigativi, oneri difensivi, ecc.) che extrapatrimoniale (danno all'immagine).
Posto, però, che l'art. 25 septies del d. lg. n. 231 del 2001 è ormai norma dell'ordinamento, l'interprete non può sottrarsi al compito di trovare una soluzione che lo renda compatibile con i criteri di cui all'art. 5 cit.
Ad avviso di questo GUP, la soluzione più ragionevole (e più aderente alla realtà dell'impresa) è quella che innanzi tutto prende atto che il delitto "è colposo, o contro l'intenzione, quando l'evento, anche se preveduto, non è voluto dall'agente" (art. 43 c.p.), e quindi (nel caso de quo) il soggetto che agisce per l'ente esclude la stessa possibilità della morte o della lesione del lavoratore.
Egli quindi, soggettivamente, non annette alla morte o lesione del lavoratore nessun interesse dell'ente, proprio perché, a monte (lo si ripete) nemmeno accetta la possibilità della morte o della lesione.
Per questo nemmeno è condivisibile la tesi che fa leva sulla distinzione fra colpa cosciente e colpa incosciente, e che riserva solo alla prima il giudizio di compatibilità con il criterio dell'interesse di cui all'art. 5 cit.
Infatti, anche quando versa in colpa cosciente comunque l'agente esclude l'evento (morte o lesioni) dal novero delle possibilità.
In altre parole, la colpa cosciente consiste nella previsione dell'evento ("…anche se preveduto…", recita l'art. 43 c.p., con conseguente aggravante ex art. 61, n. 3, c.p.); evento che però l'agente ritiene di poter evitare (al contrario del dolo eventuale, nel quale l'agente accetta la possibilità che l'evento si verifichi).
Si è visto, dunque, che oggettivamente l'ente non ha nessun interesse né trae alcun vantaggio dalla morte o dalla lesione del lavoratore (evento).
Ciò posto, escluso l'evento, non resta che prendere atto (di conseguenza) che il legislatore si è riferito solo alla condotta del reo.
Infatti, la condotta colposa dell'agente si sposa perfettamente con i criteri dell'interesse ex ante e del vantaggio ex post.
L'esempio di un interesse compatibile con la condotta (nel delitto colposo di evento) è ovvio: si pensi al soggetto che agisce per l'impresa il quale, per risparmiare sui costi o per accelerare il lavoro (e quindi aumentare i profitti; criterio dell'interesse ex ante), riduca od elimini talune cautele infortunistiche, ottenendone un'effettiva diminuzione dei costi o un aumento dei profitti (criterio del vantaggio ex post) .
Acutamente un giudice di merito (Trib. Cagliari, 4 luglio 2011, in Il Corriere del Merito, 2012, n. 2, p. 170) ha evidenziato che però la volontarietà della condotta non deve derivare da una semplice sottovalutazione dei rischi o da una cattiva considerazione delle misure di prevenzione necessarie, ma deve oggettivamente rivelare una tensione finalistica verso un obiettivo di risparmio di costi aziendali, che può o meno essere effettivamente conseguito.
Orbene, alla luce di tali osservazioni (e quindi anche concentrando i parametri dell'interesse e del vantaggio solo sulla condotta, e non sull'evento) non si vede quale beneficio economico (risparmio di spesa) l'ente qui processato potesse aspettarsi dagli interventi estemporanei della vittima, piuttosto che dall'intervento professionale dell'impresa con la quale era stato stipulato il contratto di manutenzione.
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