"La reperibilità del lavoratore ammalato nel domicilio durante le prestabilite ore della giornata costituisce un onere all'interno del rapporto assicurativo con l'ente previdenziale e un obbligo accessorio alla prestazione principale del rapporto di lavoro, la cui violazione assume rilievo disciplinare all'interno del rapporto stesso, salva la prova, da parte del lavoratore, dell'esistenza di un ragionevole impedimento all'osservanza del comportamento dovuto. Per il caso poi che, come nella specie, il contratto collettivo imponga espressamente l'obbligo di reperibilità e quello di dare comunicazione all'azienda della impossibilità di osservare le previste fasce orarie, variamente sanzionandone il mancato rispetto, il principio in più occasioni enunciato è che il dipendente non può limitarsi a produrre il certificato medico attestante l'effettuazione di una visita specialistica o di un trattamento terapeutico durante l'orario di reperibilità, ma deve dare dimostrazione della loro urgenza e indifferibilità, e cioè di una necessità di effettuarli sorta durante le ore della possibile visita di controllo". È quanto ha di recente stabilito la sezione lavoro della Corte di Cassazione (Sent. n. 6618/2007) la quale, ponendosi nel solco dell'orientamento interpretativo già tracciato in precedenza, ha confermato che costituisce giusta causa di licenziamento "il non consentire al datore di lavoro il controllo sullo stato di malattia senza dar prova di un'adeguata ragione di impedimento". Nel caso di specie, in particolare, il lavoratore aveva tentato di giustificare il proprio allontanamento con la necessità di accompagnare la nonna ad una visita di controllo producendo in giudizio il relativo certificato medico che, pur attestando l'avvenuta visita, non era stato in grado di dimostrare la presenza del ricorrente nell'ambulatorio medico.
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