- Regolamento condominio: serve l'unanimità per imporre orari chiusura
- Volontà contrattuale per approvare le servitù reciproche
- Limiti alle facoltà di godimento: nulla la modifica senza unanimità
Regolamento condominio: serve l'unanimità per imporre orari chiusura
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Le modifiche al regolamento condominiale che introducono restrizioni alle facoltà inerenti al godimento della proprietà esclusiva (ad esempio vietando lo svolgimento di determinate attività o stabilendo orari di chiusura) costituiscono "servitù reciproche" che, ex art. 1108, comma 3, c.c., impongono che l'approvazione delle relative clausole avvenga all'unanimità.
Inoltre, l'opponibilità ai terzi che non vi abbiano espressamente e consapevolmente aderito rimane subordinata all'adempimento dell'onere di trascrizione, in assenza della quale sarà necessario che il terzo acquirente dichiari, nel contratto d'acquisto, di aver preso atto dei limiti alla destinazione delle proprietà esclusive.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, seconda sezione civile, nella sentenza n. 24188/2021 (qui sotto allegata) respingendo sul punto il ricorso avanzato da alcuni condomini che avevano adito le vie legali contro il pub notturno posto al piano terra della stabile accusato di essere eccessivamente rumoroso.
Il Tribunale aveva accolto l'istanza dei proprietari, imponendo una serie di prescrizioni al locale, tra cui tenere chiuse le vetrine prospicienti la pubblica via, non mescere né consentire il consumo di bevande su di essa, né apporre sedute per la sosta degli avventori.
Proposto appello incidentale, i condomini sostengono che al pub sia in realtà applicabile la prescrizione contenuta nell'art. 4-bis del regolamento del Condominio, concernente il divieto di esercizio di attività commerciale oltre le ore 22, come di osteria, sale da gioco, sale da ballo, locali di ritrovo notturno. Di diverso avviso la Corte territoriale che nega l'applicabilità di tale prescrizione in quanto non è stata validamente adottata con il consenso unanime dei condomini.
Volontà contrattuale per approvare le servitù reciproche
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La Suprema Corte, aderendo alla conclusione del giudice a quo, precisa che le restrizioni alle facoltà inerenti al godimento della proprietà esclusiva contenute nel regolamento di condominio, volte (come nella specie) a vietare lo svolgimento di determinate attività o a stabilire un orario di chiusura, e perciò tali da dettare criteri anche più rigorosi di quelli stabiliti, in tema di immissioni lecite, dall'art. 844 c.c., al fine di non turbare la tranquillità degli altri partecipanti, "costituiscono servitù reciproche e devono perciò essere approvate mediante espressione di una volontà contrattuale, e quindi con il consenso di tutti i condomini, mentre la loro opponibilità ai terzi, che non vi abbiano espressamente e consapevolmente aderito, rimane subordinata all'adempimento dell'onere di trascrizione (cfr. Cass. 23/2004 e anche Cass. Sez. 6769/2018).
In particolare, spiegano gli Ermellini, è l'art. 1108, comma 3, c.c., ad imporre l'esigenza dell'unanimità dell'approvazione delle clausole del regolamento che costituiscano servitù sulle parti comuni, mentre la costituzione contrattuale di servitù che restringono i poteri e le facoltà sulle singole proprietà esclusive suppone che il documento sia sottoscritto dai rispettivi titolari al fine di adempiere al requisito della forma scritta ad substantiam.
In assenza di trascrizione, peraltro, "queste disposizioni del regolamento, che stabiliscono limiti alla destinazione delle proprietà esclusive, valgono soltanto nei confronti del terzo acquirente che prenda atto in maniera specifica, nel medesimo contratto d'acquisto, del vincolo reale gravante sull'immobile".
Limiti alle facoltà di godimento: nulla la modifica senza unanimità
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Nel caso in esame, dagli elementi forniti non emerge che il regolamento sia stato dichiarato conosciuto ed accettato dal proprietario del locale nell'atto di acquisto: dai documenti forniti dai ricorrenti, infatti, si deduce solo l'esistenza di una generica, e perciò irrilevante, accettazione del regolamento da parte dell'acquirente, senza invece che quest'ultimo avesse dichiarato espressamente di conoscere l'esistenza delle reciproche servitù e di impegnarsi a rispettarle.
In realtà, oltre a tale circostanza, la Cassazione ritiene dirimente il rilievo, già evidenziato dalla Corte d'Appello, secondo cui la modifica del regolamento condominiale introduttiva del menzionato art. 4-bis fosse da ritenersi nulla in quanto la relativa decisione non era stata adottata dall'unanimità dei partecipanti al condominio, è comunque senza il consenso negoziale del proprietario dell'unità immobiliare gravata dalla dedotta servitù.
Il Collegio ribadisce che gli espressi e specifici divieti alle facoltà inerenti al godimento delle proprietà esclusive sono validi solo se risultano espressione di una volontà contrattuale, giacché limitano i diritti reali attribuiti dai titoli di acquisto.
Di conseguenza, conclude la sentenza, "il giudice, investito, come nel caso in esame, di domande volte ad ottenere la cessazione delle immissioni ed il risarcimento del danno, sul presupposto della violazione di limiti contrattuali alla destinazione delle unità immobiliari di proprietà individuale e, dunque, della titolarità di una servitù, ha il potere-dovere di rilevare la nullità della dedotta convenzione ove la stessa risulti approvata senza il necessario consenso dei singoli condomini, costitutivo di iura in re aliena" (cfr. Cass. SS.UU., n. 14828/2012 e Cass. SS.UU., n. 26242/2014).
Scarica pdf Cassazione Civile, sentenza n. 24188/2021• Foto: 123rf.com