L'art. 48 del "nuovo" Codice Deontologico Forense disciplina il principio della riservatezza della corrispondenza tra avvocati

L'art. 48 del nuovo Codice Deontologico Forense

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La norma di riferimento del principio di riservatezza della corrispondenza tra avvocati è contenuta all'art. 48 del "nuovo" Codice Deontologico Forense, che riprendendo l'art. 28 del testo previgente, non si limita a dichiarare improducibile in giudizio la corrispondenza intercorsa tra colleghi espressamente riservata, ma estende il divieto a tutta la corrispondenza che comunque implichi una proposta per addivenire alla de?nizione transattiva della lite e alle relative risposte.

Il testo

"L'avvocato non deve produrre, riportare in atti processuali o riferire in giudizio la corrispondenza intercorsa esclusivamente tra colleghi qualificata come riservata, nonché quella contenente proposte transattive e relative risposte.
L'avvocato può produrre la corrispondenza intercorsa tra colleghi quando la stessa:

a) costituisca perfezionamento e prova di un accordo;

b) assicuri l'adempimento delle prestazioni richieste.
L'avvocato non deve consegnare al cliente e alla parte assistita la corrispondenza riservata tra colleghi; può, qualora venga meno il mandato professionale, consegnarla al collega che gli succede, a sua volta tenuto ad osservare il medesimo dovere di riservatezza.
L'abuso della clausola di riservatezza costituisce autonomo illecito disciplinare.
La violazione dei divieti di cui ai precedenti commi comporta l'applicazione della sanzione disciplinare della censura".
Tale disposizione è ispirata ai principi di lealtà e probità nei rapporti tra colleghi ed è volta a garantire al collega che difende la controparte di svolgere del pari la sua funzione, atteso che se tale principio non dovesse esistere, i difensori sarebbero indotti a non fare ricorso agli atti scritti e verrebbe meno ogni possibilità di iniziative conciliative, con mortificazione dei principi di collaborazione che sono per contro a base dell'attività legale.

Divieto di produrre corrispondenza: le precisazioni del CNF

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In tal senso il Consiglio Nazionale Forense con sentenza n. 19 del 11 marzo 2015 ha precisato che "Il divieto di produrre in giudizio la corrispondenza tra professionisti contenente proposte transattive assume la valenza di un principio invalicabile di affidabilità e lealtà nei rapporti interprofessionali indipendentemente dagli effetti processuali della produzione vietata, in quanto la norma mira a tutelare la riservatezza del mittente e la credibilità del destinatario, nel senso che il primo, quando scrive ad un collega di un proposito transattivo, non deve essere condizionato dal timore che il contenuto del documento possa essere valutato in giudizio contro le ragioni del suo cliente, mentre il secondo deve essere portatore di un indispensabile bagaglio di credibilità e lealtà che rappresenta la base del patrimonio di ogni avvocato".
Occorre specificare che la qualificazione di riservatezza della corrispondenza è lasciata all'insindacabile giudizio del mittente in base a motivazioni che non possono essere contestate o rifiutate dalla controparte, anche se non ritenute logiche e conferenti. La riservatezza può essere espressa con una pluralità di parole (riservata, personale, non producibile, non utilizzabile, privilegiata); qualunque esse siano, la corrispondenza così identificata non è producibile.
Sul punto giova ricordare quanto stabilito dal Consiglio Nazionale Forense con la sentenza n. 46 del 13 marzo 2015, circa la valenza della riservatezza implicita di una comunicazione: "La riservatezza, infatti, colpisce non solo tutte le comunicazioni espressamente dichiarate riservate, ma anche le comunicazioni scambiate tra avvocati nel corso del giudizio, e quelle anteriori allo stesso, quando le stesse contengano espressioni di fatti, illustrazioni e proposte di carattere transattivo, ancorché non dichiarate espressamente".

Cosa si intende per "corrispondenza riservata"

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La riservatezza, inoltre, colpisce non solo il contenuto del documento ma la sua stessa esistenza e su tale circostanza non è ammissibile neppure la prova testimoniale (art. 51.2 cod. deont.), ne può essere richiesto un ordine di esibizione al giudice.
Vale la pena di ricordare che la corrispondenza riservata non solo non può essere prodotta, ma neppure "riferita" (per esempio trascrivendone il testo in un atto processuale) in giudizio: valutazione questa che si estende alle informazioni ricevute nell'ambito di conversazioni tra colleghi, il cui contenuto può essere, per la natura degli argomenti trattati, parimenti riservato e personale.
E' invece ammissibile la sintetica menzione negli atti di causa di precedenti trattative tra le parti rimaste senza esito, purché non venga rivelato il contenuto delle stesse.
Il Consiglio Nazionale Forense, con parere n. 19 del 16 aprile 2008, ha altresì chiarito che il divieto di produzione in giudizio di "lettere qualificate riservate" deve includere anche le missive di cui è stato autore colui che intende esibirle in giudizio ("Essendo l'interesse tutelato dalla norma deontologica quello della lealtà e probità nei rapporti tra colleghi, si ritiene che il divieto di cui all'art. 28 c.d.f. (ora, art. 48 n.c.d.f.) faccia riferimento alla corrispondenza riservata nel suo complesso a prescindere dai latori dei singoli messaggi").
Si segnala, infine, che l'art. 48, ai commi 2 e 3, prevede tre regole che consentono la producibilità della corrispondenza in virtù dei criteri di correttezza e buona fede, che non pongono significative questioni interpretative. È evidente, infatti, che la riservatezza non ha più ragione di porsi quando un accordo de?nitivo sia stato raggiunto o si sia prestata adesione alla richiesta della parte: anzi, in tali casi le lettere scambiate devono essere producibili rappresentando il superamento dei contrasti e il nuovo regolamento dei rapporti.


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