Una disamina sul danno da fumo e sul concorso colposo del fumatore, di cui all'articolo 1227 c.c.

L'articolo 1227 del codice civile

L'articolo 1227 c.c. stabilisce, al primo comma, che se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l'entità delle conseguenze che ne sono derivate.
Il creditore, quindi, risponde non solo del concorso del fatto proprio ma anche del concorso del fatto colposo dei propri ausiliari (di cui all'articolo 1228 c.c.).
La diminuzione del risarcimento non è ancorata semplicemente alla condotta del creditore bensì alla colpa di questi, con un chiaro riferimento al profilo soggettivo [1].
Al secondo comma, invece, l'articolo 1227 c.c. statuisce che il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza.
Il creditore ha il dovere di non aggravare le conseguenze negative dell'inadempimento, principio che costituisce corollario del dovere di buona fede e correttezza (di cui all'articolo 1175 c.c.).
Nonostante il codice civile non lo affermi espressamente, si ritiene che il risarcimento debba essere diminuito anche dell'eventuale vantaggio tratto dal creditore dall'inadempimento, secondo la regola della compensatio lucri cum damno [2].
La norma è prevista allo scopo di non far gravare sul debitore le conseguenze dell'illecito che non sono a lui imputabili. Il debitore non deve, quindi, rispondere quando la condotta del creditore genera danni o aggrava quelli già prodotti.

Il danno da fumo

Il fatto che il fumo nuoccia alla salute deve ritenersi rientrante, da molto tempo, nel patrimonio di conoscenze dell'individuo comune.

I prossimi congiunti di una persona deceduta in conseguenza dell'uso smodato di sigarette non possono, quindi, pretendere il risarcimento del danno dal produttore, perché il danno è stato causato dalla vittima a sé stesso, ex articolo 1227 c.c.

Al produttore di sigarette non è, infatti, applicabile la presunzione di responsabilità di cui all'articolo 2050 c.c.[3].

Recentemente, la Corte di Cassazione ha ribadito il proprio orientamento in materia di danni da fumo attivo [4].

Nel caso in esame, i giudici non hanno considerato provato il nesso eziologico tra il carcinoma polmonare e il consumo di sigarette: la condotta del fumatore è stata, infatti, considerata la causa del danno da lui patito e dai congiunti (era stato accertato che l'uomo fumava, da oltre un trentennio, oltre 40 sigarette al giorno e non aveva osservato le raccomandazioni di astenersi dal fumo impartite dal medico curante).

La scelta autonoma e volontaria della vittima di continuare a fumare, nonostante i danni alla salute, ha rappresentato, quindi, la causa del pregiudizio patito che è, quindi, ascrivibile a lui solo.

Note bibliografiche:

[1] L'articolo 1227 c.c. rappresenta il criterio normativo complementare a quello limitativo del danno risarcibile alle conseguenze dirette e immediate dell'inadempimento; tale articolo delinea l'area del risarcimento gravante sul debitore inadempiente, parametrandola alla condotta del creditore: ove quest'ultimo, con il proprio comportamento, abbia fattivamente concorso alla determinazione del fatto dannoso, il risarcimento deve consequenzialmente essere decurtato in misura pari alla gravità della colpa e all'entità delle relative conseguenze. Per un approfondimento sul tema si vedano M. Fratini, Il sistema del diritto civile, Volume 1 - Le obbligazioni, Dike Giruidica Editrice, II edizione, 2017, p. 233 e ss. e V. Caredda, Sulle oscillazioni applicative del concorso del fatto colposo del creditore, in La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, n. 7 - 8/2017, 1090.

[2] La formula si riferisce ai casi nei quali il compimento di un fatto illecito produce anche conseguenze vantaggiose. In queste ipotesi, la determinazione del risarcimento va fatta calcolando anche gli eventuali vantaggi che trovino origine nello stesso atto che ha prodotto il danno, e detraendoli dall'ammontare del danno da risarcire.

[3] Trib. Roma, 4 aprile 2005, Dir. e giust., 2005.

[4] Corte di Cassazione Civile, sentenza numero 1165 del 21 gennaio 2020.


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