"In tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo ai sensi dell'art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, anche per le persone giuridiche (e, più in generale, per i soggetti collettivi, quali appunto le società di persone) il danno non patrimoniale, inteso come danno morale soggettivo correlato a turbamenti di carattere psicologico, è, tenuto conto dell'indirizzo maturato in proposito nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo, conseguenza normale, ancorché non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, sancito dall'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea, a causa dei disagi e dei turbamenti di carattere psicologico che la lesione di tale diritto solitamente provoca alle persone preposte alla gestione dell'ente o ai suoi membri, non diversamente da quanto avviene per il danno morale da lunghezza eccessiva del processo subito dagli individui - persone fisiche -, sicché, pur dovendo escludersi la configurabilità di un danno "in re ipsa", ovvero, di un danno automaticamente e necessariamente insito nell'accertamento della violazione, una volta accertata e determinata l'entità della violazione relativa alla durata ragionevole del processo, il giudice deve ritenere tale danno esistente, sempre che non risulti il concorso, nel caso concreto, di circostanze particolari che facciano positivamente escludere che un simile danno sia stato subito dalla parte ricorrente". E' quanto si legge in una recente pronuncia della prima sezione civile della Corte Cassazione (Sent. 8604/2007) che, nell'accogliere un ricorso promosso da una società in nome collettivo, in liquidazione, ha cassato il decreto della Corte di Appello di Caltanissetta che in precedenza aveva respinto la richiesta, avanzata da suddetta società, di condannare il Ministero della Giustizia al pagamento dell'equa riparazione dei danni subiti in conseguenza di una causa instaurata davanti al Tribunale di Palermo nel 1986 e conclusasi in grado di appello nel 2003.
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