- Diretta applicabilità del Reg. EU 953/2021 nel diritto degli Stati Ue
- Il considerandum 36 e il divieto di discriminazione di chi ha scelto di non vaccinarsi
- Sentenza Consulta n. 389/1989 e disapplicazione norme interne incompatibili con norme comunitarie
- Sentenza Tribunale di Padova 7.12.2021
- Ambiti di applicazione del Dl n. 52/2021
- Efficacia normativa dei considerandum
- Ambito di applicazione Reg EU 953/2021: divieto di introdurre restrizioni a diritti
- L'art. 11 e la possibilità per gli Stati membri di approvare norme più restrittive
Diretta applicabilità del Reg. EU 953/2021 nel diritto degli Stati Ue
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Le norme poste alla base del green pass italiano sono (al netto della loro palese contrarietà a plurimi articoli della Costituzione) sono inapplicabili nell'ordinamento della Repubblica Italiana per contrasto con le superiori norme dell'ordinamento dell'Unione Europea che sono direttamente applicabili nell'ordinamento italiano quali il Regolamento CE 953/2021. Ai sensi dell'art. 288 del TFUE i regolamenti e le decisioni -a differenza delle direttive- si applicano immediatamente nel diritto interno dei paesi membri dell'Unione Europea senza necessità di una legge di recepimento. In tal caso il Giudice dello Stato membro è tenuto ad assicurarne il rispetto e a disapplicare la legge o l'atto avente forza di legge (nel caso specifico il decreto-legge n. 52/2021 nonché il decreto-legge n. 44/2021 con le relative leggi di conversione) contrario alla superiore normativa comunitaria.
Ciò è espressamente previsto anche dall'art. 17 del REG. UE 953/2021 il quale recita che
"Il presente regolamento è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati Membri".
Il considerandum 36 e il divieto di discriminazione di chi ha scelto di non vaccinarsi
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Il Regolamento CE 953/2021 stabilisce al "considerando" 36 che:
"È necessario evitare la discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono vaccinate, per esempio per motivi medici, perché non rientrano nel gruppo di destinatari per cui il vaccino anti COVID-19 è attualmente somministrato o consentito, come i bambini, o perché non hanno ancora avuto l'opportunità di essere vaccinate o hanno scelto di non essere vaccinate. Pertanto, il possesso di un certificato di vaccinazione, o di un certificato di vaccinazione che attesti l'uso di uno specifico vaccino anti COVID-19, non dovrebbe costituire una condizione preliminare per l'esercizio del diritto di libera circolazione o per l'utilizzo di servizi di trasporto passeggeri transfrontalieri quali linee aeree, treni, pullman, traghetti o qualsiasi altro mezzo di trasporto. Inoltre, il presente regolamento non può essere interpretato nel senso che istituisce un diritto o un obbligo a essere vaccinati."
Per inciso, l'espressione "o hanno scelto di non essere vaccinate" era stata omessa nella traduzione italiana pubblicata sulla Gazzetta ufficiale dell'Unione Europea. Peccato che l'enunciato cancellato abbia un'importanza fondamentale. La frase infatti modifica in modo sostanziale il senso complessivo del Regolamento sottolineando l'impossibilità di attuare discriminazioni verso coloro che "liberamente" hanno scelto di non vaccinarsi e dunque decretando di fatto l'impossibilità di attuazione dei DL 52/2021 e 44/2021. Tale grave omissione (evidentemente non "casuale") è stata rilevata e contestata all'Unione Europea dall'Avv. Giulio Marini costringendola ad una immediata rettifica al fine di ripristinare il senso originale del testo.
Prendiamo per esempio l'attuale formulazione dell'art. 9 septies del decreto-legge n. 52/2021 convertito in Legge n. 87/2021 ed i nuovi articoli 4 quater e quinquies del decreto-legge n. 44/ 2021 convertito in legge n. 76/2021 - richiamati dal predetto art. 9 septies comma 1 - che stabiliscono di fatto un obbligo indiretto di vaccinazione per il personale dipendente privato ultra cinquantenne espressamente vietato dal suddetto Regolamento. La previsione della sanzione dell'assenza "ingiustificata" senza retribuzione né altro emolumento a qualunque titolo sia in assenza di effettuazione di tampone sia in assenza di vaccinazione covid19 è infatti un vero e proprio ricatto psicologico per spingere i lavoratori a vaccinarsi. Anche l'effettuazione del tampone ogni 48 ore non può ritenersi una alternativa percorribile nel lungo termine, la quale di fatto costituisce semplicemente un ulteriore strumento di pressione "indiretta" per spingere alla vaccinazione. La possibilità di effettuazione del tampone è stata peraltro eliminata radicalmente con l'introduzione dell'art. 4 quater e quinquies entrato in vigore il 15/02/2022 estendendo di fatto l'obbligo vaccinale anche ai dipendenti ultra cinquantenni.
Sentenza Consulta n. 389/1989 e disapplicazione norme interne incompatibili con norme comunitarie
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La sentenza della Corte Costituzionale n. 389/89 ha chiarito in modo inequivocabile che "tutti i soggetti competenti nel nostro ordinamento a dare esecuzione alle leggi (e atti avente forza di legge) - tanto se dotati di poteri dichiarativi del diritto come gli organi giurisdizionali quanto se privi di tali poteri come gli organi amministrativi- sono tenuti a disapplicare le norme interne incompatibili con norme comunitarie direttamente applicabili".
Sentenza Tribunale di Padova 7.12.2021
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Sul punto si veda la recentissima ordinanza del Giudice del Lavoro del Tribunale di Padova del 7 dicembre 2021 RGL 1953/2021 in cui si ribadisce il primato del diritto comunitario sul diritto interno dei Paesi membri UE (Trattato ed atti delle Istituzioni immediatamente applicabili) citando numerose sentenze della Corte di Giustizia tra cui la recente sentenza Poplawsky 24/06/2019 (C 573/2017 - EU:C:2019:530 - punto 61) (doc. 26 - pag 8)
Nella menzionata ordinanza il Tribunale di Padova evidenzia altresì che ai sensi dell'art. 53 della Legge 234/2012 (Norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione ed attuazione della normativa e delle politiche UE) le norme/prassi dell'ordinamento interno che producano effetti discriminatori rispetto al trattamento garantito ai cittadini dell'Unione Europea devono essere disapplicate. Tale principio ha trovato conferma anche nella recente sentenza della Corte di Giustizia UE "Memoria srl e Dell'Antonia / Comune di Padova" del 14/11/2018 (C 342/2017). L'evidente l'incompatibilità dell'imposizione di un obbligo di vaccinazione contro covid19 con l'espresso divieto di discriminazione di chi decida di non vaccinarsi previsto espressamente dal Reg. UE 953/2021 dovrebbe pertanto determinare il giudice a disapplicare la norma interna in favore di quella comunitaria (doc. 26 - pag 10).
Ambiti di applicazione del Dl n. 52/2021
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Anche l'art. 9 comma 9 del Decreto legge n. 52/2021 recita:
"Le disposizioni dei commi da 1 a 8 continuano ad applicarsi OVE COMPATIBILI con i Regolamenti UE 953/2021 e 954/2021 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 21 giugno 2021".
A conferma della tesi della disapplicazione per contrasto con la normativa comunitaria, si evidenzia come la precedente formulazione dell' art. 9 comma 9 del decreto legge 52/2021 prima di essere convertito con modifiche in Legge 87/2021 recitava:
"Le disposizioni dei commi da 1 a 8 sono applicabili in ambito nazionale fino alla data di entrata in vigore degli atti delegati per l'attuazione delle disposizioni di cui al regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio (Reg. UE 953 e 954)… PER AGEVOLARE LA LIBERA CIRCOLAZIONE ALL'INTERNO DELL'UNIONE EUROPEA DURANTE LA PANDEMIA COVID19"
La normativa relativa al green pass è pertanto del tutto illegittima/ inapplicabile anche per espressa ammissione del legislatore italiano. Inoltre è segnatamente ribadito anche dallo stesso art. 9 comma 9 Legge 87/2021 che la ratio della normativa sulla certificazione verde sia limitata ad agevolare gli spostamenti tra i paesi dell'Unione Europea e non certo a limitare i diritti dei cittadini sulla base del possesso di tale certificato al fine di introdurre un surrettizio obbligo indiretto di vaccinazione. Anche se la nuova formulazione del comma 9 del predetto articolo ha cancellato il riferimento a tale ratio, quest'ultima è desumibile per relationem al riferimento ai Regolamenti UE 953-954 i quali espressamente riservano l'utilizzo di tale certificazione per agevolare gli spostamenti tra i paesi UE escludendo che possa venire impiegata per istituire un obbligo di vaccinazione indiretto peraltro vietato dal Reg. UE 953 stesso al considerandum 36 (" il presente regolamento non può essere interpretato nel senso che istituisce un diritto o un obbligo a essere vaccinati.")
Efficacia normativa dei considerandum
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Si potrebbe obiettare che la prescrizione di evitare la discriminazione "di chi ha scelto di non vaccinarsi" è contenuta in un considerandum che, di norma, ha la funzione di esplicitare la ratio dell'atto normativo senza avere di per sé natura precettiva. Tale principio peraltro non è contenuto in nessuna norma, ma è enunciato esclusivamente nel cap. 10 della "Guida pratica del Parlamento, del Consiglio e della Commissione Europea per la redazione dei testi legislativi dell'Unione". In ogni caso, il fatto che i considerandum abbiano la funzione motivare il testo normativo, essendone di fatto "le premesse", non esclude che abbiano essi stessi portata normativa. Infatti il loro scopo è proprio quella di "precisare" il contenuto e la portata dell'atto normativo diventando inevitabilmente un tutt'uno inscindibile con esso. Non è possibile pertanto applicare una norma al di fuori dei limiti posti dai considerandum posto che è proprio quest'ultimo a specificarne la portata.
Quanto appena detto è confermato dalla stessa lettera del RG.UE 953/2021 il quale dopo l'art. 17 inserisce il seguente inciso:
"Il presente regolamento è obbligatorio in tutti i suoi elementi".
Pertanto anche le indicazioni contenute nei considerandum devono ritenersi a tutti gli effetti obbligatori.
Ambito di applicazione Reg EU 953/2021: divieto di introdurre restrizioni a diritti
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Il fatto poi che il Regolamento si applichi esclusivamente all'ambito della circolazione tra gli stati europei al fine di agevolare gli spostamenti dei cittadini, non autorizza a dedurre che il divieto di discriminazione si limiti al diritto di circolazione. Se infatti viene previsto un divieto di discriminazione persino ai fini dell'esercizio del diritto di circolazione, a maggior ragione non si può certo ritenere che invece la discriminazione possa essere consentita nell'esercizio di diritti ancora più fondamentali, quali quello al lavoro. Tanto più che è la stessa Carta di Nizza (Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea) all'art. 21 che vieta ogni forma di discriminazione tra i cittadini. Anche la suddetta Carta è direttamente applicabile negli Stati Membri. E lo stesso considerandum 62 del REG. UE 953/2021 ne prevede il rispetto:
"Il presente regolamento rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti in particolare dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea tra cui il diritto alla vita privata e familiare … e alla non discriminazione."
Si rammenta inoltre che il considerandum 14 del REG. UE 953/2021 precisa che :
"Esso (il regolamento) non dovrebbe essere inteso come un'agevolazione o un incentivo all'adozione di restrizioni alla libera circolazione o di restrizioni ad altri diritti fondamentali in risposta alla pandemia covid19 , visti i loro effetti negativi sui cittadini e le imprese dell'Unione."
L'art. 11 e la possibilità per gli Stati membri di approvare norme più restrittive
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E' vero che l'art. 11 consente agli stati membri di introdurre per ragioni di salute pubblica ulteriori restrizioni nell'ambito di loro competenza. Tali ulteriori restrizioni però non possono essere applicate attraverso l'utilizzo del green pass, proprio perché tale strumento è limitato all'ambito della circolazione tra gli stati dell'Unione Europea. Ciò si desume dallo stesso art. 11 dove si precisa che ove accettino i certificati "verdi" gli Stati membri si astengono dall'imporre ulteriori restrizioni alla libera circolazione a meno che non siano necessarie e proporzionate in risposta alla pandemia covid19. Le ulteriori restrizioni che si possono imporre attraverso l'utilizzo del green pass sono pertanto solo quelle relative al diritto di circolazione tra gli Stati e non certo per accedere al luogo di lavoro, per esercitare una professione o usufruire di un servizio. Questo proprio perchè, stando alla lettera del Regolamento, il green pass è uno strumento per agevolare la circolazione tra gli stati membri e, proprio per questo, deve essere "interoperabile". Non è pertanto sostenibile la tesi che la normativa sul green pass italiano non sia in contrasto con il Regolamento 953 perché non inerente al diritto di circolazione: proprio perché il green pass italiano esorbita l'ambito della libera circolazione deve ritenersi in contrasto con il green pass comunitario. Se il legislatore italiano voleva introdurre delle restrizioni in tema di esercizio di altri diritti ai sensi dell'art. 11, doveva farlo attraverso altri strumenti, non certo utilizzando il green pass.
Avv. Maurizio Giordano
Foro di Torino
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