Discriminazione, odio ed intolleranza all'indomani della mancata riforma Zan
Avv. Prof. Federica Federici
Che la discriminazione, l'odio e l'intolleranza rivestano un disvalore e siano rilevanti e sanzionabili giuridicamente a livello costituzionale è noto e normato, ma non è altrettanto pacifico l'ambito e i confini in cui ci si può muovere.
Sembra quasi che l'atteggiamento costituzionale cambi a seconda del soggetto discriminato, vittima di odio o non tollerato.
L'affossamento della riforma Zan ne è la riprova, per quanto il disegno di legge fosse soprattutto uno strumento penale volto a sanare per alcuni un vuoto, per altri una crepa nell'ampia categoria dei diritti umani e civili.
Di fronte al crescente ed allarmante fenomeno di intolleranza, in particolare quello omofobo e sessista, il legislatore potrebbe:
a) introdurre nuove norme o fattispecie di condotte punibili
b) rivedere il quadro normativo, il trattamento sanzionatorio e le misure di prevenzione esistenti
c) introdurre pene accessorie e/o circostanze aggravanti
d) riformare o modificare le norme esistenti.
Abbiamo già assistito ad aberrazioni ed interventi discutibili in passato in altri ambiti, a maggior ragione in questo specifico - dove anche la stessa comunità è divisa (si pensi alle adozioni da parte di coppie omoaffettive) - bisognerebbe fare una scelta di campo nei termini di cui sopra, prima ancora di disciplinarne il contenuto.
- Sesso
- Genere
- Identità di genere
- Orientamento sessuale
- Disabilità
Questi gli ambiti disciplinati dal disegno di legge Zan, noto ai più come ddl solo contro l'omofobia, sul quale si è detto e scritto molto.
In precedenza il legislatore si era occupato di questioni etniche, razziali o religiose.
In questa sede proviamo a sintetizzare gli aspetti positivi e quelli critici finora messi in luce, così da provare ad individuare una strada che possa far superare lo stallo attuale in una 'Mappa dell'Intolleranza' oggettivamente preoccupante (progetto promosso dall'Associazione Vox-Diritti).
Tra gli aspetti positivi di certo le intenzioni di prevenire i reati e di sensibilizzare verso un fenomeno grave, reale, che divide il Paese e che non accenna a diminuire, complici anche i social (le donne e gli omosessuali sono nelle statistiche le categorie più colpite dall'odio nel Web) e la psicosi sociale derivante dall'isolamento pandemico, terreno fertile per pregiudizi e stereotipi già molto presenti.
La questione in tal senso è culturale e sociale, ancor prima che giuridica, in particolare nel linguaggio ostile alla uguaglianza, alla inclusione e alla tolleranza.
In senso favorevole alla necessità di rafforzare le tutele - estendendo i fattori di discriminazione - vi è anche la giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Corte europea (vedasi audizione parlamentare della Prof.ssa Marilisa D'Amico, Ordinaria di Diritto Costituzionale Università di Milano, 18 febbraio 2020).
Inoltre la riforma non avrebbe creato una fattispecie e fonte autonoma di reato di matrice omofobica, bensì una integrazione alle fattispecie di reato già esistenti, punendo la propaganda, la diffusione di idee, l'istigazione e l'incitamento alla discriminazione, intolleranza violenza ed odio.
Gli approcci oscillano tra quello dell'introdurre una circostanza aggravante all'art. 61 c.p. e quello di creare una fattispecie autonoma di reato sulla falsariga degli artt. 604bis e ter c.p., che trovano il fondamento costituzionale nel bene giuridico protetto dell'uguaglianza.
La ratio è quella di arginare la deriva della libertà di manifestazione del pensiero verso i reati di opinione e di contemperare e bilanciare il delicato equilibrio tra principi costituzionali come la libertà di manifestazione del pensiero e l'eguale dignità delle persone.
Si potrebbe ipotizzare invece un tertium genus ovvero una copertura costituzionale e non meramente codicistica con una norma più ampia ed onnicomprensiva ed universale quale i "crimini di odio"?
Esiste un vuoto normativo, ma a quale livello? Qui - forse - si potrebbe dipanare la matassa.
Quanto alle pene non era previsto un loro inasprimento, quanto una estensione delle stesse ad altri motivi e condotte e quindi delle circostanze.
Le perplessità invece riguardano il fatto che non si punisce un'offesa al bene comune o un evento, ma una "motivazione", un motivo di discriminazione, di odio o di intolleranza, addirittura uno stato d'animo, che - per quanto non condivisibile - dovrebbe rientrare nella libertà (e reati) di opinione.
Non sembrerebbe essere rispettato il principio del diritto penale del fatto (vedasi relazione del Prof. Carmelo Leotta, associato di diritto penale Università Europea di Roma, 8 giugno 2020).
Altrettanto vi sarebbe carenza dei principi di determinatezza ed offensività nella formulazione della norma penale.
Ricordiamo che per la Cassazione la propaganda non è mera antipatia, insofferenza o rifiuto, ma deve sostanziarsi in un concreto pericolo di comportamenti discriminatori (Cass. Pen., Sez. III, 23 giugno 2015, n. 36906).
Incitamento (che non ha ancoraggio normativo) ed istigazione (414 c.p.) presentano aspetti più delicati nel loro concretarsi, rischiando di diventare ipotesi di reato fumose ed inconsistenti.
Di qui la scelta di non incidere sulle condotte punibili, mantenendole inalterate.
Trattasi di una tecnica incriminatoria pertanto inusuale, che attribuisce (erroneamente?) ad una opinione personale una rilevanza penale laddove degenera in odio, con il rischio di effettuare un processo alle intenzioni ed una moltiplicazione di giudizi, oltre a dare al giudice una discrezionalità ampia, non esistendo allo stato attuale una norma sui crimini di odio - e qui si torna alla ipotesi di una norma di copertura (a mio avviso un auspicio giacché la Costituzione non può legittimare l'odio ma neanche limitare la manifestazione del pensiero, pietra angolare del nostro ordine democratico, purché non la si interpreti come tutela incondizionata ed illimitata).