- Risarcimento di 18.000 euro alla ex vittima di stalking
- Nessuna persecuzione, solo un corteggiamento serrato
- Travalicata la molestia se le condotte intimidatorie provocano ansia e paura
Risarcimento di 18.000 euro alla ex vittima di stalking
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La Cassazione con la decisione n. 26182/2022 (sotto allegata) conferma la condanna al risarcimento di 18.000 euro in favore della ex, vittima di stalking, emessa in primo grado e poi confermata in sede di appello. Corretta la pena irrogata e la negazione delle attenuanti. Le condotte ripetitive messe in atto con messaggi, lettere, violazioni di domicilio continue, infarcite da minacce e atteggiamenti persecutori nulla hanno a che fare con un corteggiamento amoroso serrato. La vittima è stata costretta a cambiare domicilio ed è stata vittima di attacchi d'ansia.
La vicenda processuale
L'imputato viene condannato in primo grado per il reato di violazione di domicilio aggravato, per il reato di lesioni aggravate e legati dal vincolo della continuazione, pena aumentata per la contestata recidiva. Al soggetto viene contestata anche la violazione relativa alla violazione reiterata delle prescrizioni impartite con decreto del tribunale, sezione misure di prevenzione. In detta sede il tribunale condanna l'uomo anche al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita, alla quale riconosce 18.000 euro, oltre spese di costituzione e rappresentanza.
La Corte d'appello riforma in parte la condanna, ravvisando il vincolo della continuazione tra i reati contestati e determina la pena in tre anni di reclusione, confermando le altre decisioni.
Nessuna persecuzione, solo un corteggiamento serrato
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Nel ricorrere in Cassazione l'uomo contesta la responsabilità penale per il reato di stalking
. L'imputato non ravvisa nella sua condotta gli elementi tipici del delitto di atti persecutori. I suoi comportamenti devono essere inquadrati piuttosto come un "serrato corteggiamento amoroso al solo fine di riallacciare il rapporto sentimentale senza alcuna volontarietà della fattispecie incriminatrice." La sua condotta non ha inoltre causato alla persona offesa uno degli eventi previsti dalla norma, inoltre manca il dolo.Con il secondo e terzo motivo contesta la determinazione della sanzione in quanto eccessivamente severa. La stessa doveva infatti essere determinata nei minimi legali, inoltre erano presenti i presupposti per la concessione delle attenuanti generiche. La pena così determinata non è pertanto giustificata stante anche il comportamento processuale dopo i fatti.
Travalicata la molestia se le condotte intimidatorie provocano ansia e paura
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Nel dichiarare inammissibile il ricorso la Cassazione ricorda, nel respingere il primo motivo, che la sentenza oggetto di impugnazione spiega che la persona offesa ha deciso di separarsi proprio a causa delle continua progressione delle condotte persecutorie messe in atto dal marito nei suoi confronti.
Comportamenti che dal punto di vista pratico si sono tradotti in continui messaggi, telefonate, lettere e violazioni del domicilio della donna, che le hanno provocato sentimenti di ansia e paura, tanto che la stessa, ad un certo punto, ha abbandonato la sua abitazione per trovare un altro luogo nascosto, perfino alle forze di polizia. Correttamente la corte ha inquadrato le condotte dell'ex come atti persecutori a causa delle crisi di ansia e del cambiamento di domicilio della ex moglie, in quanto quest'ultimo è un evidente cambiamento di abitudini.
Precisa la Cassazione che "Il criterio distintivo tra il reato di atti persecutori e quello di cui all'art. 660 c.p., (il serrato corteggiamento amoroso secondo il ricorrente) infatti, consiste nel diverso atteggiarsi delle conseguenze della condotta che, in entrambi i casi, può estrinsecarsi in varie forme di molestie, sicché si configura il delitto di cui all'art. 612-bis c.p. solo qualora le condotte molestatrici siano idonee a cagionare nella vittima un perdurante e grave stato di ansia ovvero l'alterazione delle proprie abitudini di vita, mentre sussiste il reato di cui all'art. 660 c.p. ove le molestie si limitino ad infastidire la vittima del reato (Sez. 5, n. 15625 del 09/02/2021 Rv. 281029)."
Gli atti persecutori sono integrati da condotte che danno via a indebite ingerenze e interferenze immediate o mediate nella vita privata e nella vita di relazione della vittima, creando attorno alla stessa un clima intimidatorio e ostile, che ne pregiudica la libertà psichica.
La sentenza è chiara nel sostenere che la ex è stata vittima di una vera e propria persecuzione, che ha provocato ansia e paura anche perché il ricorrente non ha desistito dalla condotta.
Per quanto riguarda l'elemento soggettivo del reato, che è abituale di evento, esso è rappresentato dal dolo generico, che si traduce nella volontà di porre in essere più condotte minacciose e moleste, nella consapevolezza della loro capacità di ingenerare ansia, paura o costringere la vittima a cambiare le sue abitudini di vita, senza che rilevi la preordinazione ai fini dell'integrazione del reato.
Nel caso di specie il dolo generico con cui ha agito il ricorrente appare evidente dal tenore dei messaggi ripetitivi e recriminatori inviati alla vittima, che rispondeva chiedendo di essere lasciata in pace.
Inammissibili il secondo e il terzo motivo di doglianza perché non specifici. La Corte comunque ha ben motivato le ragioni per le quali il ricorrente non ha meritato la concessione delle attenuanti generiche.
Inammissibili anche il quarto e ultimo motivo con i quali il ricorrente ha contestato le statuizioni civili relative al risarcimento del danno, in quanto la sentenza ha valorizzato "quali criteri ai fini della determinazione della pretesa risarcitoria, il grave pregiudizio psicologico subito dalla persona offesa e la durata delle condotte incriminate. "
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Scarica pdf Cassazione n. 26182/2022• Foto: 123rf.com