Il patto di quota lite stipulato da avvocato e cliente è valido a condizione che la misura del compenso risulti proporzionata rispetto alle tariffe di mercato per risultare equo e prevenire forme di abuso ad danni del cliente

Cassazione: limiti del patto di quota lite

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Il patto di quota lite che viene concordato da avvocato e cliente e che prevede il riconoscimento di una percentuale sulle somme ottenute, risulta valido se il compenso spettante al libero professionista non risulta eccessivo rispetto alle tariffe di mercato. Al giudice del rinvio il compito di esaminare nuovamente la vicenda e appurare il rispetto del principio che lega il compenso alla prestazione svolta. Questa la decisione della Cassazione contenuta nella sentenza della Corte di Cassazione n. 28914/2022 (sotto allegata9.

La vicenda processuale

Due avvocati agiscono in sede monitoria per ottenere il pagamento delle proprie spettanze professionali. Le loro pretese si fondano su un patto di quota lite formalizzato in una scrittura provata del gennaio 2009, in quanto codifensori in una causa di risarcimento del danno da morte del congiunto.

Il Tribunale respinge le opposizioni degli assistiti alle ingiunzioni, ma valuta iniquo il patto di quota lite che prevede il riconoscimento del 15% della somma riconosciuta a titolo di risarcimento, perchè le misure dei compensi da riconoscere ai professionisti risultano manifestamente sproporzionate rispetto alle tariffe di cui al dm n. 140/2012.

In ogni caso, precisa il Tribunale, il patto non risulta nullo per violazione dell'art. 2233 c.c. e degll'art. 45 del Codice di deontologia Forense.

Patto nullo se non c'è correlazione tra prestazione svolta e compenso

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Nel ricorrere in Cassazione però gli opponenti rinnovano la tesi della nullità del patto di quota lite per violazione degli artt. 2233 cc., 43 e 45 del Codice di Deontologia Forense a causa del contrasto con il principio di correlazione tra prestazione e adeguatezza necessaria del compenso e ritengono che la sentenza abbia mal interpretato la domanda proposta, dovendosi intendere integrata la domanda di riduzione ad equità della pretesta articolata in via subordinata di limitare i compensi professionali all'attività effettivamente svolta dagli avvocati, nel rispetto dei limiti tariffari vigenti.

Patto di quota lite valido se non è eccessivo rispetto alle tariffe di mercato

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La Cassazione, dopo aver ripercorso i punti salienti della sentenza impugnata rileva che "la vicenda per cui è causa, avendo ad oggetto la validità un patto di quota lite stipulato il 12 gennaio 2009, si colloca dopo l'entrata in vigore dell'art. 2, comma 1, lettera a), del d.l. n. 223 del 2006, come modificato in sede di conversione dalla legge n 248 del 2006 (il quale aveva disposto l'abrogazione delle disposizioni normative che, con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali, prevedessero "il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti).

Nel lasso di tempo intercorso tra il d.l. n. 223 del 2006 e la legge n. 247 del 2012 (…) si osservava che la sostituzione del terzo comma dell'art. 2233 c.c. operata nel 2006 si era limitata ad individuare il requisito formale essenziale dei patti che stabiliscono i compensi professionali, restando immutati i criteri sostanziali dettati nei primi due commi dello stesso articolo, i quali comunque vietano un compenso convenzionale la cui misura violi il criterio di adeguatezza e proporzionalità rispetto all'opera prestata. (…) Nella interpretazione prescelta dalle Sezioni Unite, dunque, la proporzionalità, deontologicamente imposta, del compenso pattuito dall'avvocato "quotista" attiene a valutazione non solo sul quantum, ma anche sulle modalità comportamentali dell'accordo concluso col cliente, sotto un profilo di «equità» della stima effettuata dalle parti al momento della stipula, ovvero di complessivo equilibrio contrattuale, prospettiva che attiene alla causa del contratto e dischiude evidentemente la tutela di interessi generali (arg. da Cass. Sez. Unite, 12/12/2014, n. 26243)."

In ordine all'adotta nullità del patto gli Ermellini precisano che la violazione delle regole deontologiche non rendono la prestazione illecita né rendono nullo il contratto di mandato conferito al libero professionista. L'attività svolta dall'avvocato quindi non è travolta dalla nullità con conseguente diritto alla remunerazione delle attività svolte.

Alla fine di una complessa disamina della normativa e delle giurisprudenza in materia la Suprema Corte giunge quindi ad affermare il seguente principio di diritto "Il patto di quota lite, stipulato dopo la riformulazione del terzo comma dell'art. 2233 c.c. operata dal d.l. n. 223 del 2006, convertito in legge n. 248 del 2006, e prima dell'entrata in vigore dell'art. 13, comma 4, della legge n. 247 del 2012, che non violi il divieto di cessione dei crediti litigiosi di cui all'art. 1261 c.c., è valido se, valutato sotto il profilo causale della liceità e dell'adeguatezza dell'assetto sinallagmatico rispetto agli specifici interessi perseguiti dai contraenti, nonché sotto il profilo dell'equità alla stregua della regola integrativa di cui all'art. 45 del codice deontologico forense, nel testo deliberato il 18 gennaio 2007, la stima tra compenso e risultato effettuata dalle parti all'epoca della conclusione dell'accordo non risulta sproporzionata per eccesso rispetto alla tariffa di mercato, rispondendo lo scopo di prevenire eventuali abusi a danno del cliente e di impedire la stipula di accordi iniqui alla tutela di interessi generali."

In sede di rinvio sarà quindi necessario esaminare nuovamente la causa e valutare correttamente le pretese degli opponenti, avendo cura di appurare se il patto di quota lite intercorso risponde e meno al principio di ragionevolezza degli interessi perseguiti da entrambe le parti contraenti.

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Foto: 123rf.com
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