- Assegno divorzile per l'ex moglie con lavoro irregolare
- L'assegno divorzile non è dovuto
- Il lavoro irregolare consegue a una rinuncia concordata
Assegno divorzile per l'ex moglie con lavoro irregolare
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All'ex moglie che si ritrova a più di cinquant'anni a svolgere un lavoro irregolare come colf spetta l'assegno di divorzio. La rinuncia al lavoro di operaia è stato frutto di una scelta concordata con il marito dopo il matrimonio. La stessa negli anni si è dedicata alla famiglia e alla formazione del patrimonio familiare, in più, a differenza del marito, non è titolare di beni immobili.
Questo la decisione contenuta nell'ordinanza della Corte di Cassazione n. 29627/2022 in applicazione dei principi sanciti in materia dalla SU del 2018.
La vicenda processuale
La vicenda ha inizio perché nel giudizio di divorzio il Tribunale pone a carico del marito un assegno divorzile di 270 euro. L'uomo impugna la sentenza, ma la Corte respinge l'appello, confermando la somma stabilita dal Tribunale per l'ex moglie.
L'assegno divorzile non è dovuto
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Nel ricorrere in Cassazione il marito con il primo motivo contesta la violazione dell'articolo 5 comma 6 della legge sul divorzio. La corte ha fissato la somma di 270 euro in favore della moglie basandosi solo sulla differenza reddituale.
L'uomo percepisce infatti una pensione di 1700 euro al mese mentre la moglie è titolare di introiti pari a 500 euro mensili, a cui va aggiunta la somma di 150/160 euro settimanali derivanti dal lavoro in nero come colf.
Con il secondo e terzo motivo contesta la violazione della stessa norma questa volta perché il giudice ha stabilito la misura dell'assegno divorzile sulla base di presunzioni prive di fondamento logico.
L'ex moglie infatti svolge attività irregolare come colf, ma dispone di risparmi pari a 52.000 euro, di cui 22.347,00 euro corrispondenti al 50% degli accantonamenti familiari, divisi in sede di separazione.
Con il quarto motivo il ricorrente fa presente che la Corte ha omesso di considerare che il reddito da lui percepito, pari a 1700 euro, va ridotto ad euro 1620,00 visto che paga a rate un impianto fotovoltaico, un' aspirapolvere e un impianto di allarme.
Il lavoro irregolare consegue a una rinuncia concordata
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La Corte di Cassazione respinge il ricorso del marito dopo aver enunciato i principi in materia di assegno di divorzio sanciti dalle Sezioni Unite (sentenza n. 18287/2018).
Ricorda infatti che "ai fini dell'attribuzione della quantificazione dell'assegno divorzio deve tenersi conto delle risorse economiche di cui dispone l'ex coniuge più debole e se tali risorse siano sufficienti ad assicurare un'esistenza libera e dignitosa ed una adeguata autosufficienza economica nonostante la sproporzione delle rispettive posizioni economiche delle parti."
Chiaro che l'assegno divorzile non deve più garantire lo stesso tenore di vita goduto durante il matrimonio, ma dalla Sezioni Unite menzionata risulta chiaro che esso ha altresì una funzione perequativa o compensativa, se emerge che il coniuge meno abbiente ha sacrificato le proprie aspettative sia professionali che reddituali per dedicarsi alla famiglia in virtù di una scelta condivisa.
Nel caso di specie la sentenza impugnata, nel quantificare l'assegno, ha dato conto in maniera adeguata della determinazione dell'importo stabilito ed ha svolto anche una valutazione adeguata della situazione economica delle parti.
All'epoca del matrimonio, la donna aveva diciott'anni e dopo la separazione, avvenuta a distanza di 33 anni, lavora come colf irregolare visto che ha lasciato il lavoro di operaia per dedicarsi alla famiglia e ai tre figli.
La donna ha senza dubbio contribuito alla vita familiare e alla formazione del patrimonio comune in base una decisione concordata.
La sentenza inoltre ha preso in esame le condizioni economiche delle parti stabilendo il diritto dell'ex moglie all'assegno divorzio a causa della sua situazione economica precaria, frutto delle suddette scelte matrimoniali e non, come afferma ricorrente, solo per mancanza di trattamento pensionistico e previdenziale, elemento che comunque concorre con gli altri a definire il quadro reddituale complessivo della donna, che a differenza del marito non possiede immobili.
Corretta altresì la valutazione della Corte d'appello sul quarto motivo, ossia sulle spese che gravano sul reddito del marito, in quanto frutto di scelte volontarie.
Scarica pdf Cassazione n. 29627/2022• Foto: 123rf.com