Reato di molestia
Con la sentenza 18894/2022, i giudici della prima sezione penale della Cassazione hanno definito il perimetro dell'elemento oggettivo e soggettivo del reato di molestia. Un appostamento all'esterno di un luogo di lavoro, con il fine di sorvegliare e fotografare i dipendenti, configura il reato di cui all'articolo 660 c.p. in quanto esso è "integrato da qualsiasi condotta oggettivamente idonea a determinare l'altrui molestia ed è, dunque, connotata sotto il profilo obiettivo, dall'effetto di importunare e dalla produzione di disturbo o di fastidio in conseguenza dell'interferenza nell'altrui sfera privata o nell'altrui relazione".
La vicenda
Un uomo ha deciso di eseguire una "presenza fisica passiva, non sorretta dalla finalità di arrecare molestia" ponendo in essere degli appostamenti nei pressi di un albergo al fine di effettuare foto e filmati dei dipendenti in entrata e in uscita dalla struttura.
La finalità dichiarata della sua attività era quella di tutelare un proprio diritto che egli riteneva leso, e più precisamente verificare la sottrazione di beni di proprietà della moglie custoditi nella struttura.
Le persone oggetto di controllo hanno notato la presenza dell'uomo. Dalla sua attività si sono sentiti disturbati ed hanno quindi proceduto a chiedere l'intervento dei Carabinieri e, successivamente, a presentare una denuncia.
Basta una sola azione di disturbo o molestia
La Suprema Corte ha rilevato che la condotta punita dall'articolo 660 c.p. non deve necessariamente essere abituale, e che pertanto il reato può realizzarsi anche con una sola azione di disturbo o molestia, in quanto la fattispecie è integrata da qualsiasi condotta che possa importunare, disturbare, infastidire terze persone a seguito della interferenza della altrui sfera privata o nella altrui vita di relazione.
La deposizione delle persone offese, le dichiarazioni dei testi e le relazioni di servizio dei Carabinieri, hanno chiarito che le condotte avevano certamente disturbato le persone osservate, "alterando le normali condizioni di tranquillità alle quali avevano diritto nello svolgimento del proprio lavoro, attraverso una azione impertinente, indiscreta, invadente, senz'altro riconducibile nella nozione di petulanza".
A nulla hanno rilevato sia l'occasionalità della condotta, sia il fine ultimo consistente nella presunta tutela di un asserito proprio violato diritto. Infatti, quest'ultimo presupposto non giustifica la coscienza e la volontà della condotta, accompagnata dalla consapevolezza della oggettiva idoneità del proprio comportamento a molestare o disturbare il soggetto che lo subisce.
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