Reato art. 727, 2° comma, c.p.
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Scatta il reato di cui all'art. 727, 2° comma, c.p., per chi tiene il proprio cane in garage, tra oggetti ingombranti, con poca luce e scarsa possibilità di movimento. È quanto affermato dalla Cassazione (sentenza n. 537/2023 sotto allegata) che conferma la linea dura a tutela degli amici a quattro zampe.
Nella vicenda, il proprietario di un cucciolo di cane di tre mesi veniva condannato alla pena di mille euro di ammenda, ex art. 727 c.p. (in luogo dell'originaria imputazione per l'art. 544-ter c.p.) per aver detenuto l'animale in condizioni incompatibili con la sua natura e produttive di grandi sofferenze.
L'uomo ricorreva al Palazzaccio deducendo la mancata valutazione di una prova decisiva con particolare riguardo al certificato di nascita del proprio figlio ed alla dichiarazione resa dal veterinario che evidenziava l'ottimo stato di salute dell'animale. Lamentava inoltre la mancanza di motivazione con riguardo all'elemento oggettivo della produzione di gravi sofferenze per il cucciolo, nonché l'erronea applicazione della legge penale con riguardo alla disposta confisca dell'animale, non riconducibile ai casi di confisca obbligatoria previsti dall'art. 240, 2° comma, c.p.
Detenzione cucciolo in condizioni incompatibili
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Per la terza sezione penale l'imputato ha torto. Diversamente da quanto lo stesso opina, infatti, "l'ipotesi di reato di cui all'art. 727, secondo comma, cod. pen. non postula la necessaria ricorrenza di situazioni, quali la malnutrizione e il pessimo stato di salute degli animali, indispensabili per poterne qualificare la detenzione come incompatibile con la loro natura, ma al proposito rilevano tutte quelle condotte che incidono sulla sensibilità psico-fisica dell'animale, procurandogli dolore e afflizione, compresi comportamenti colposi di abbandono e incuria".
Nel caso di specie, la sentenza impugnata ha attestato che il cucciolo era detenuto in un locale chiuso, scarsamente illuminato, in uno spazio angusto di un garage, chiuso da rete metallica in mezzo ad oggetti ingombranti, con conseguente scarsa possibilità di movimento, in mezzo alle proprie deiezioni e senz'acqua per essere stata in quelle condizioni rovesciata la ciotola.
Sulla base di tale ricostruzione, affermano quindi da piazza Cavour, il giudice di merito ha ritenuto, con valutazione non illogica e non scrutinabile in sede di legittimità, "sussistenti gli elementi costitutivi della contravvenzione, stante la detenzione dell'animale in condizioni incompatibili con la sua natura e produttive di gravi sofferenze".
Nulla di fatto neanche sul fronte della valutazione delle prove, giacchè si tratta di un compito esclusivo del giudice di merito e comunque invocabile soltanto quando nella motivazione "si faccia uso di un'informazione rilevante che non esiste nel processo, o quando si ometta la valutazione di una prova decisiva" (cfr. tra le altre, Cass. n. 27929/2019).
Nella specie, prosegue la S.C., tali requisiti non sono soddisfatti, sia con riguardo alla lamentata omessa valutazione del certificato di nascita del figlio dell'imputato, doglianza che sottende una alternativa ricostruzione del fatto incompatibile con il giudizio di legittimità, sia con riguardo alle dichiarazioni rese dal veterinario circa il buono stato di salute del cane, trattandosi di attestazione che la stessa sentenza effettua in base a quanto percepito dagli operanti e che, ad ogni modo, non rileva ai fini dell'integrazione del reato.
Confisca animale
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Fondata, invece, la doglianza sul punto della confisca dell'animale perché nel caso di specie può venire in rilievo soltanto l'ipotesi facoltativa di cui all'art. 240, 1° comma, c.p., "rientrando l'animale oggetto dell'illecita detenzione prevista dall'art. 727, secondo comma, cod. pen. nel lato concetto di 'cosa che servì o fu destinata alla commissione del reato'".
In merito, conclude la S.C., la motivazione del provvedimento del giudice "non può essere basata sul solo rapporto di asservimento del bene rispetto al reato, ma deve anche riguardare la circostanza che il reo, secondo l'id quod plerumque accidit, reitererebbe l'attività punibile se restasse nel possesso della res, in quanto la misura, per la sua natura cautelare, tende a prevenire la commissione di nuovi reati".
Nella fattispecie, si dovrebbe del resto tener conto del fatto che il cane, sequestrato ma lasciato in custodia al ricorrente, è stato da questo detenuto, e cresciuto, per diversi anni prima che fosse resa la sentenza qui impugnata.
Per cui, la disposta confisca è annullata con rinvio per nuovo giudizio al tribunale di Catania, mentre il ricorso, completamente infondato quanto agli altri motivi, è rigettato con conseguente irrevocabilità dell'affermazione di penale responsabilità e della condanna alla pena di legge.
Scarica pdf Cass. n. 537/2023
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