Obbligo vaccinale non irragionevole, tampone non basta
"Il rischio remoto, non eliminabile, che si possano verificare eventi avversi anche gravi sulla salute del singolo, non rende di per sé costituzionalmente illegittima la previsione di un trattamento sanitario obbligatorio, ma costituisce semmai titolo all'indennizzo". E' quanto ha affermato la Corte Costituzionale, in uno dei passaggi più salienti del trittico di sentenze depositate il 9 febbraio 2023 (sotto allegate in pdf), in ordine alla tanto dibattuta questione della legittimità costituzionale dell'obbligo dei vaccini antiCovid. Si tratta di un passaggio che merita di essere riportato per intero perchè di fatto la Consulta, con queste parole sembra legittimare il sacrificio del singolo essere umano, in nome della collettività, ma con possibilità di indennizzo.
Non solo. Il giudice delle leggi, che in passato e su diverse questioni ha bacchettato senza remore l'operato del legislatore, nella vexata quaestio sui vaccini ne avalla in toto l'operato, ritenendo anche non fondate le doglianze sulla sospensione dello stipendio e di qualsiasi altro emolumento ai lavoratori sospesi per aver deciso di non vaccinarsi, non riconoscendo neanche il diritto all'assegno alimentare, riconosciuto, si badi bene anche a chi si macchia di una moltitudine di reati di oggettiva gravità.
Ne parliamo con l'avvocato Angelo Di Lorenzo, presidente di ALI, costituito, insieme al prof. avv. Augusto Sinagra, per alcuni medici sanitari nell'ambito della qlc del 30 novembre scorso presso la Consulta (v. Obbligo vaccinale incostituzionale?)
Avvocato, la corte ha considerato legittimo l'obbligo di vaccino per i lavoratori sanitari, perchè rispondente all'obiettivo, tra l'altro, di salvaguardare il sistema sanitario. Ergo, si sacrifica il singolo per il sistema? Si sacrifica il singolo in nome della collettività, con titolo a un indennizzo?
In effetti ci aspettavamo una motivazione che rendesse merito alla grande capacità della Corte costituzionale di argomentare in diritto le ragioni di una decisione storica, che si annunciava stravolgere completamente la concezione umanistica e umanocentrica connaturata alla nostra cultura giuridica ed alla nostra Costituzione, ma anche in questo caso, leggendo le poche pagine della sentenza 14 depositata il 9 febbraio 2023, ci si rende conto del totale fallimento della Corte, che ha dato dimostrazione della decadenza in cui la nostra società versa.
Da una prima lettura a caldo di questo scempio traspare la completa sovversione della giurisprudenza costituzionale più che trentennale in materia di vaccinazioni obbligatorie (e dei trattamenti sanitari obbligatori), dissimulata da sofismi argomentativi che tentano di sussumere nell'alveo di quella giurisprudenza la portata dei principi rivoluzionari da essa espressi.
La prima evidenza di questo meccanismo la si trova nel passaggio contenuto al "punto 5" del considerato in diritto ove, dopo aver riassunto le condizioni richieste dalla giurisprudenza per ritenere legittimo la vaccinazione obbligatoria già elencati nella sentenza n. 258 del 1994 (ricordiamo: a. se il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri; b. la previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze, che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario e, pertanto, tollerabili"; c. se sia prevista comunque la corresponsione di una "equa indennità" in favore del danneggiato), si afferma che "da una lettura complessiva degli indicati criteri si evince che il rischio di insorgenza di un evento avverso, anche grave, non rende di per sé costituzionalmente illegittima la previsione di un obbligo vaccinale, costituendo una tale evenienza titolo per l'indennizzabilità".
Si tratta di una distorsione interpretativa che aggiunge, da un punto di vista linguistico, un preciso contenuto ad un concetto che invece viene espressamente escluso dal principio enunciato, ossia che gli eventi avversi prevedibili in conseguenza di un trattamento sanitario obbligatorio che possa dirsi costituzionalmente legittimo debbano essere necessariamente lievi, transitori e tollerabili.
Invece la sentenza in questione arriva ad affermare che la "previsione di un indennizzo" - tradizionalmente riferito "alle sole conseguenze, che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario e, pertanto, tollerabili" - apra alla possibilità e giustifichi la sottoposizione dell'intera popolazione al rischio di sopportare eventi avversi gravi, e finanche la morte.
In questo crescendo presocratico, la Corte parte "dalla lettura complessiva da cui si evince" tale novità, per poi contestare al giudice remittente di non aver considerato "che la giurisprudenza costituzionale ha affermato con chiarezza (sulla base dei ricordati criteri) che il rischio remoto di eventi avversi anche gravi non possa, in quanto tale, reputarsi non tollerabile, costituendo piuttosto come si è detto titolo per l'indennizzo".
In pochi passaggi una lettura interpretativa si trasforma in una "chiarezza" consolidata, tale da essere rimbrottata al giudice a quo miope e non preparato.
Numerosi sono i passaggi di questo tipo, ma lasciando stare l'analisi formale, linguistica ed epistemologica del testo della sentenza, rimane l'inaccettabile conclusione che lo Stato possa pretendere il sacrificio umano se viene formalmente previsto una sorta di indennizzo per l'invalidità o la morte.
La Corte, in buona sostanza, legittima la pratica del sacrificio umano laddove ha ritenuto possibile che il legislatore, discrezionalmente, possa pretendere dall'intera popolazione - e non solo dai sanitari - di sacrificare la propria salute e la propria vita per "solidarietà sociale", per soddisfare una etica politica che di sanitario ha ben poco e che porterebbe una parte di cittadini, più o meno cospicua in una misura o percentuale, ad essere accantonati e destinati al sacrificio massimo nel nome di un beneficio collettivo.
Questo passaggio della sentenza fa venire i brividi ad un giurista moderatamente democratico: «poiché tale rischio (ndr di eventi avversi) non sempre è evitabile, è allora che la dimensione individuale e quella collettiva entrano in conflitto» (sentenza n. 118 del 1996). Ci si trova di fronte a un rischio, «preventivabile in astratto - perché statisticamente rilevato - ancorché in concreto non siano prevedibili i soggetti che saranno colpiti dall'evento dannoso. In questa situazione, la legge che impone l'obbligo della vaccinazione […] compie deliberatamente una valutazione degli interessi collettivi ed individuali in questione, al limite di quelle che sono state denominate "scelte tragiche" del diritto […]».
Dunque, sebbene "tragica", la scelta di sacrificare esseri umani è divenuta possibile grazie a questi 15 giudici che hanno stravolto il significato e la portata della giurisprudenza granitica della Corte, facendo passare la propria decisione come un segno di continuità coerente con gli insegnamenti da cui dice di aver attinto.
In un passaggio, la Corte sostiene che i dati scientifici disponibili durante la pandemia hanno imposto l'obbligo vaccinale non sostituibile con il tampone. Tuttavia, proprio sul tampone si sono basati i dati di due anni di pandemia e lo stesso è stato consentito in luogo del vaccino ad altre categorie di lavoratori? Come si giustifica tutto questo?
Il problema della "scienza" è un altro paravento dietro cui nascondere l'avallo della politica sanitaria attuata in Italia, poiché la sentenza in commento ignora completamente le evidenze scientifiche fornite alla Corte dalle numerose parti private - principali e intervenienti -, le decine di opiniones amicus curiae ammesse, le pubblicazioni sulle riviste scientifiche nazionali e internazionali accreditate, i moniti e gli allarmi lanciati dalla comunità medico e scientifica, per tenere in considerazione l'unica fonte di conoscenza possibile, ossia la "scienza" di Stato, che non solo è parte in giudizio, ma promana il proprio sapere attraverso due Enti, in particolare AIFA e ISS, i quali hanno confessato e dimostrato di non possedere alcuna attendibilità dei dati raccolti e delle rispettive analisi fornite.
Basterà qui ricordare che l'AIFA, nel suo ultimo report sulla farmacovigilanza passiva - fermo al settembre 2022 - si registravano decine di migliaia di eventi avversi gravi (peraltro nemmeno indennizzati) e circa un migliaio di decessi di cui 29 riconosciuti correlati al "vaccino" anti covid-19, mentre nel giudizio RG 8054/22 innanzi al TAR del Lazio ha dichiarati di non essere in possesso degli studi sulla sicurezza dei profarmaci definiti "vaccini" anti-covid.19 (PSUR).
Questa circostanza delegittima e sconfessa l'affermazione della Corte al punto 5.3. della sentenza 14/23 di essersi "sempre attenuta ai dati scientifici relativi alla sicurezza del vaccino, rispetto ai quali non conta in sé l'omogeneità della tipologia di eventi avversi" poiché tali studi non esistono in rerum naturae e non si comprende a cosa o quali studi si sia riferita.
Allo stesso modo l'ISS nell'ultimo report esteso del 23 gennaio 2023 prendeva atto che le "le stime di efficacia vaccinale non sono aggiustate per pregressa infezione e non prendono quindi in considerazione la protezione naturale data dalla pregressa infezione". In altri termini si ammetteva lo "sbilanciamento" dei dati raccolti - che quindi risultano falsati - con cui si sarebbe misurata l'efficacia preventiva di un farmaco somministrato ad un soggetto già immune per natura. Senza contare la recente dimostrazione della parzialità dell'ISS scesa in difesa della "propria posizione" contro gli studi scientifici pubblicati - e additati come "opinioni personali" - di propri ricercatori che hanno denunciato l'inefficacia e la pericolosità dei vaccini anticod-19.
Se la Corte costituzionale ha seguito una scienza, certamente ha seguito solo ed esclusivamente quella di Stato.
Sul fronte del rifiuto dell'assegno alimentare, la Corte ha ritenuto non comparabile la posizione del lavoratore di non vaccinarsi con quella del lavoratore sottoposto ad esempio a procedimento penale. In sostanza, sì all'assegno alimentare a ladri e assassini ma non a chi non si vaccina. Le sembra costituzionale?
Che debbo dirle, questa Corte costituzionale ha demolito ogni forma di certezza fino ad ora conosciuta, ha rinnegato sè stessa e la Costituzione italiana, tradendo tutto ciò che in oltre cinquanta anni di storia repubblicana ha costituito la fonte degli studi giuridici, sociologici e scientifici su cui ci siamo formati come persone civili, sociali e giuristi.
Sul punto, infatti, la decisione si pone in contrasto con numerosi principi consolidati di carattere etico, morale e giuridico che riguardano la persona e il lavoro. Anzitutto, ledendo la dignità della persona umana e il diritto al lavoro, andando a togliere i mezzi per assicurare alla persona e alla propria famiglia attraverso la retribuzione il diritto di vivere un'esistenza libera e dignitosa. Basta pensare che la sospensione dal lavoro e dallo stipendio ha riguardato anche nuclei di genitori separati con figli minori che quindi in quel periodo hanno dovuto provvedere al proprio sostentamento solo grazie ad eventuali risparmi o all'aiuto di familiari!
Non ultimo, tale decisione è in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, visto che l'assegno alimentare è riconosciuto anche al lavoratore coinvolto in procedimenti penali e disciplinari per fatti di oggettiva gravità.
Dunque, "partita" chiusa?
La partita non è chiusa affatto, almeno per quei giuristi ostinati come gli Avvocati Liberi che non possono accettare decisioni di questo tipo, poiché nè lo Stato nè la Corte costituzionale è padrone delle nostre vite e della nostra salute. Viviamo in una democrazia e non in un regno medioevale o una moderna dittatura, non c'è un tiranno che ha il potere di disporre del corpo e della volontà dei propri sudditi, salvo che il popolo italiano non si senta o comporti come un suddito. Noi certamente non ci sentiamo così e perciò abbiamo già denunciato alla CEDU la violazione dei diritti assoluti all'accesso alla giustizia e della parzialità della Corte costituzionale ed ora, viste le motivazioni di queste sentenze, andremo al giudice superiore per sentirci dire se tali decisioni violino o meno i diritti fondamentali dell'essere umano come sanciti dalla Carta europea e dalla convenzioni internazionali. La partita non è ancora finita.
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