Assegno di divorzio e rinuncia al lavoro dopo il matrimonio
Con l'ordinanza n. 4200/2023 (sotto allegata) la Cassazione accoglie il ricorso di un marito a carico del quale la Corte di appello aveva posto l'obbligo di corrispondere alla ex moglie un assegno divorzile di 900 euro senza indagare le ragioni per le quali la donna, operatrice sanitaria, dopo il matrimonio, aveva deciso di non lavorare. Vediamo perché.
In sede di appello viene riconosciuto a una ex moglie il diritto all'assegno di divorzio di Euro 900,00.
Nel ricorrere in Cassazione il marito contesta alla Corte di Appello:
- di non aver indagato sulle ragioni per le quali la ex moglie aveva deciso di non lavorare dopo il matrimonio;
- di non avere motivato la fissazione dell'importo dell'assegno in 900 euro mensili;
- di non aver tenuto conto, nella quantificazione della misura, della durata del matrimonio, della qualifica della donna come operatrice sanitaria e della disponibilità, da parte della stessa, di un'abitazione dei genitori.
La Cassazione accoglie il ricorso esaminando congiuntamente tutti i motivi, rilevando come in effetti la cifra dell'assegno di divorzio sia stata determinata senza rispettare gli indici di valutazione imposti dalla legge sul divorzio e dalla Cassazione nella SU n. 18287/2018.
L'importo è stato riconosciuto senza tenere conto della rispettiva situazione economica e reddituale delle parti, della durata del matrimonio, delle potenzialità reddituali della moglie correlate sia alla sua qualifica professionale che alla sua disponibilità immobiliare. La quantificazione dell'assegno divorzile appare pertanto priva di argomentazioni sufficienti al suo riconoscimento.
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Scarica pdf Cassazione n. 4200/2023• Foto: 123rf.com