- Figlia collocata presso la madre sta più tempo con papà e nonni
- I motivi del reclamo
- Le tesi della Cassazione e le relative obiezioni
- Il "tradimento" dei principi
Figlia collocata presso la madre sta più tempo con papà e nonni
[Torna su]
il giudice di prime cure (tribunale di Varese) dispone l'affidamento condiviso di una ragazzina con collocazione prevalente e residenza anagrafica presso la madre, attribuendo al padre un diritto di visita e imponendogli la corresponsione di un assegno di mantenimento di € 250, in aggiunta al 50% delle spese straordinarie.
Successivamente, tuttavia, la situazione di fatto muta, nel senso che la figlia prende a trattenersi prevalentemente presso il padre, il quale si appoggia alla famiglia di origine.
Di conseguenza, le spese relative alla convivenza con i nonni sono coperte direttamente da questi ultimi. Il padre pertanto in sede di divorzio espone la nuova situazione di fatto e chiede una riduzione del proprio contributo. Richieste, tuttavia, respinte anche dalla Corte d'appello di Milano con motivazione che non convince la parte reclamante, in sostanza sostenendo che con quel tipo di organizzazione domestica non c'era stato aggravio di spesa per essa e quindi l'assegno non doveva essere toccato.
Di qui il ricorso alla Suprema Corte e la conseguente ordinanza n. 30411/2022 (sotto allegata).
Leggi anche Assegno mantenimento si riduce se il figlio trascorre più tempo con papà e nonni?
I motivi del reclamo
[Torna su]
A quest'ultima il padre fa notare che, pur essendo la figlia ancora formalmente collocata presso la madre, di fatto trascorreva la maggior parte del tempo presso di lui o i nonni paterni, "talché il carico del mantenimento gravava quasi interamente sul padre e sul nucleo familiare paterno che se ne prendeva cura". Inoltre, come secondo motivo di reclamo, intrecciato al primo, osservava che la Corte d'appello non aveva considerato che già direttamente presso di lui la figlia trascorreva una notevole quantità di tempo, classificando come irrilevanti gli oneri sopportati dai nonni nell'ospitarla, quale soggetto terzo. Lo stringato resoconto dei fatti da parte della Suprema Corte non consente di ricostruire con esattezza quale sia stata la distribuzione degli oneri nella fattispecie, sia per quanto attiene la ripartizione del tempo tra il padre e i suoi genitori, sia per la qualità degli oneri, distinguendo fra quelli legati alla convivenza e quelli di tipo straordinario, di diversa valenza e spettanza.
Di questo nulla viene esplicitamente riferito e soltanto dai giri di parole utilizzati nell'ordinanza si può desumere che il contributo degli ascendenti si sia limitato ai costi domestici, legati alla convivenza e quindi direttamente proporzionali al tempo trascorso presso di loro.Naturalmente anche sotto questo aspetto il ragionamento di Corte d'appello e Cassazione (che la conferma in toto) appare già di per sé discutibile. È ben noto, infatti, che per un figlio adolescente i costi legati alle sue attività esterne, indipendenti dalla convivenza, sono di gran lunga più pesanti e rilevanti che per le spese ordinarie. Ciò significa che non appare condivisibile avere considerato solo queste ultime, trascurando il complessivo aumento dei costi a carico del padre, a causa della marginale ospitalità diurna dei nonni. Circostanza, si può aggiungere, che spessissimo si verifica a vantaggio del genitore collocatario senza che ciò produca alcun effetto di tipo economico a suo danno.
Comunque sia, anche l'impostazione data al reclamo, così come viene riferita, appare carente. Non perché non sia stato corretto contestare la motivazione della Corte d'appello che ha ritenuto "irrilevante il contributo fornito dai nonni paterni, in quanto derivante da "soggetti terzi"." Ma piuttosto per la sua incompletezza e riduttività, avendo rinunciato in questo modo al più incontestabile degli argomenti, che ovviamente resta valido anche nei confronti della Cassazione, che ha convalidato le tesi del secondo grado (v. infra).
Le tesi della Cassazione e le relative obiezioni
[Torna su]
La Cassazione, ovviamente, si è limitata a prendere in considerazione solo quanto esposto dal reclamante. E pur tuttavia le argomentazioni addotte non appaiono convincenti: "La corte distrettuale ha ampiamente motivato in ordine alle spese di mantenimento della minore da parte del padre e dei nonni, ritenendo correttamente che questi ultimi sono soggetti diversi dal padre che, spontaneamente e senza alcun obbligo, si fanno carico delle spese della minore nel tempo in cui la stessa si trova presso la loro abitazione; pertanto non è possibile revocare o ridurre l'assegno a carico del padre in considerazione del tempo trascorso da A presso i nonni paterni." Un ragionamento che soffre di non pochi scompensi. Infatti, mentre in un rapporto fra estranei (i "soggetti terzi" cui si riferisce la Corte di appello) se nulla viene chiesto certamente nulla viene dato, non così quando il gruppo familiare è lo stesso (anche se non "il nucleo", inteso in senso burocratico). Il favore di tenere un nipote presso di sé e nutrirlo di regola viene compensato dal figlio in mille altri modi. E come non ha senso monetizzare il piatto di pasta che viene dato al nipote, così non avrebbe senso monetizzare le continue e varie forme di sostegno ai propri genitori anziani che un figlio offre loro: come accompagnarli dal medico, svolgere pratiche burocratiche defatiganti, compilare la dichiarazione dei redditi, rappresentarli nelle sedute di condominio… E così via. Quindi l'espressione "senza alcun obbligo" è vera e falsa allo stesso tempo, trattandosi di obblighi morali, che molto spesso viene osservato più rigorosamente di quelli materiali, il cui rispetto è del tutto plausibile nella fattispecie, visto l'ampio grado di collaborazione.
Questo argomento, che già di per sé potrebbe sembrare decisivo per non condividere la scelta della Cassazione, impallidisce, tuttavia, di fronte ad un'altra osservazione. Comunque si svolgano i fatti presso il padre, ovvero comunque questo provveda, direttamente o indirettamente, a prendersi cura del figlio, fuori discussione è il lucro, il guadagno, che ottiene la madre dalla minore presenza della figlia. Una forma di gratuito arricchimento. Pertanto, il/i reclamo/i avrebbe/ro potuto essere impostato/i sulla nuova situazione di fatto che avvantaggiava quella madre, esattamente come quando si instaura una nuova convivenza, o uno dei genitori ottiene un sostanzioso aumento di stipendio; ovvero, al contrario, perde il lavoro. Così non è stato, ma la Cassazione avrebbe potuto tenere conto di tale oggettiva circostanza, anche se non esplicitata, all'interno del principio di equità.
Il "tradimento" dei principi
[Torna su]
A questo punto, tuttavia, è come se la Suprema Corte mettesse le mani avanti con una seconda considerazione, ancora meno convincente della prima, benché ad essa si affidi con ancor maggiore fiducia: "Tanto meno è meritevole di accoglimento la richiesta di riduzione dell'assegno per il maggior tempo che la minore trascorrerebbe presso il padre in quanto il rapporto di B con la figlia è pur sempre regolato nei termini del diritto di visita e la minore risulta collocata presso la madre presso la quale risiede e che quindi risulta il soggetto cui sono imputabili le principali spese correnti correlate alla minore".
In altre parole, è come se la Cassazione dicesse "Non m'importa qual è la situazione di fatto. È stato nominato un genitore collocatario e si deve presumere - anche di fronte all'evidenza ovvero segnalazioni non contestate - che il mantenimento della prole sia prevalentemente a suo carico". Come se il titolo di "genitore collocatario" non potesse corrispondere che ad una mera definizione amministrativa, burocratica, corrispondente alla residenza anagrafica. Come se non fosse possibile dividere i concreti sacrifici della quotidianità in modo sostanzialmente paritetico, senza relazione con la residenza. Come se il già solo presunto maggior carico per le spese ordinarie fosse estensibile automaticamente anche agli oneri esterni; come se per un figlio adolescente, come nel caso di specie, questi non fossero prevalenti rispetto alla coabitazione.
Ancora una volta, dunque, siamo di fronte alle inique conseguenze della invenzione del genitore prevalente. Se si pensa che l'affidamento condiviso nasce proprio per mettere fine alle discriminazioni tra i genitori - ovvero alla loro conseguente elevata conflittualità di sicuro nocumento per i figli - ecco un lampante esempio di ciò che comporta rifiutarne la sostanza.
Scarica pdf Cass. n. 30411/2022• Foto: Foto di Michael Schwarzenberger da Pixabay.com