Abuso del processo e condanna per responsabilità aggravata
Quando si abusa del processo, per la condanna ai sensi dell'art. 96 comma 3 c.p.c. non è necessario che la parte che subisce la condotta di controparte ne faccia richiesta o provi i danni. Basta la malafede o la colpa grave nel violare le regole minime di diligenza necessarie per acquisire consapevolezza della infondatezza o della inammissibilità della propria domanda.
Lo ha chiarito la Cassazione con l'ordinanza n. 5191/2023 (sotto allegata) al termine della vicenda che segue.
In una controversia di natura fallimentare due società, cedente e cessionaria di un credito, ricorrono in Cassazione contro il provvedimento del Tribunale, che ha rigettato il ricorso proposto contro il decreto di esecutorietà dello stato passivo.
Le società fanno presente di essere venute a conoscenza di una ricognizione del debito non esistente e frutto di un'attività fraudolenta, per cui la domanda di accoglimento al passivo in questione risultava viziata da falsità, errore e dolo.
Contro la decisione del Tribunale, che ha respinto il ricorso, ritenendo insussistenti i vizi denunziati, le due società ricorrono in Cassazione denunciando, con l'ultimo motivo, la violazione dell'art. 96 comma 3 c.p.c, ritenendo che nel caso di specie non sussistono le condizioni per la sua applicazione.
Motivo che viene respinto dagli Ermellini in quanto, come già spiegato, la responsabilità aggravata di cui al comma 3 dell'art. 96 c.p.c. non richiede la domanda di parte o la prova del danno, ma la mala fede o la colpa grave della parte soccombente, che sussiste se è stato violato quel minimo di diligenza tale da rendersi conto della infondatezza o inammissibilità della propria domanda.
La mala fede e la colpa grave devono riguardare l'esercizio dell'azione processuale nel suo complesso. Merita quindi la sanzione l'abuso del processo, senza che rilevi la sussistenza di un danno arrecato a controparte e che la stessa ne faccia richiesta, come previsto nel caso di azione pretestuosa per contrarietà al diritto vivente o alla giurisprudenza consolidata o per manifesta inconsistenza giuridica o palese e strumentale infondatezza dei motivi.
Il Tribunale ha quindi ben deciso quando ha sancito la condanna ex art. 96 c.p.c per infondatezza del ricorso e inconsistenza dei motivi dell'opposizione.
Scarica pdf Cassazione n. 5191/2023