Reato di istigazione alla violenza per motivi razziali
Un'insegnante scrive su Facebook che i musulmani sono tutti delinquenti e vanno estirpati alla radice, bambini compresi. Nessun dubbio sulla condanna per il reato di istigazione alla violenza per motivi razziali. E' quanto si legge nella sentenza della prima sezione penale della Cassazione n. 9656/2023 (sotto allegata).
Nella vicenda, l'imputata, condannata in appello, adiva il Palazzaccio, denunciando la violazione della norma incriminatrice in quanto veniva configurata come istigazione una manifestazione di pensiero non orientata a determinare azioni di violenza, diversamente dalla nozione di istigazione fatta propria dall'art. 604-bis c.p., e veniva ritenuto il concreto pericolo di atti discriminatori o violenti come condizione obiettiva di punibilita?.
Inoltre, a suo dire, era stata documentata l'assenza di idoneita? all'istigazione in quanto l'imputata era stata denunciata proprio dagli studenti; il collegamento dei commenti con notizie di cronaca non li rendevano maggiormente visibili, in quanto si trattava di post di un profilo facebook che era necessario appositamente consultare.
Per la Cassazione, tuttavia, il ricorso propone motivi infondati.
Innanzitutto, precisa la S.C., "l'originaria norma incriminatrice (art. 3 legge n. 654/1975) e? ora trasfusa nell'art. 604-bis cod. pen., introdotto con d.lgs. 1° marzo 2018, n. 21. In particolare, la fattispecie ascritta e? quella della istigazione a commettere atti di violenza e/o della commissione di atti di provocazione per motivi razziali, etnici e religiosi, fattispecie descritta dalla lettera b del menzionato art. 3 (" b) chi incita in qualsiasi modo alla discriminazione, o incita a commettere o commette atti di violenza o di provocazione alla violenza, nei confronti di persone perche' appartenenti ad un gruppo nazionale, etnico o razziale") e, ora, dalla lettera b del nuovo art. 604-bis cod. pen. ("b) chi in qualsiasi modo istiga a commettere o commette atti di violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi)".
Entrando nel merito dei motivi di ricorso, che la Corte esamina congiuntamente, non regge secondo gli Ermellini, la tesi secondo cui non era sussistente l'elemento oggettivo del reato, in quanto trattavisi di mera "esternazione di commenti" e non di "un incitamento/istigazione/mandato al compimento di atti di violenza". Correttamente il giudice d'appello ha "orientato la propria valutazione sulle esternazioni, inerenti a motivi razziali, etnici o religiosi, che avessero uno specifico riferimento ad atti di violenza, verificando se dette esternazioni avessero capacita? di istigazione alla violenza". Invero, la nozione di istigazione fa riferimento ad un'unica manifestazione di pensiero volta a convincere l'ascoltatore e a indurlo ad un'azione. La Corte d'appello ha motivato il giudizio, secondo il quale le esternazioni della donna "avevano effettivamente il carattere di istigazione alla violenza per motivi razziali, etnici o religiosi, sul rilievo del contenuto di esse, che esprime un esplicito riferimento alla necessita? di compiere atti di violenza motivata dalla religione di coloro che dovrebbero essere vittime, della pubblicita? dell'esternazione, e dell'autorevolezza, in ragione del ruolo di insegnante, di colui che invia il messaggio".
Risulta, dunque, "esattamente posto il confine tra le mere manifestazioni di pensiero che, vuoi per il contesto vuoi per il contenuto, si limitano a esternare una posizione culturale, per quanto non condivisa dal comune sentire, e l'istigazione alla violenza riscontrabile in quelle manifestazioni di pensiero dirette a persuadere e muovere all'azione l'ascoltatore".
Il ricorso è, dunque, respinto.
Scarica pdf Cass. n. 9656/2023• Foto: Foto di Pete Linforth da Pixabay.com