Introduzione atto d'appello dopo la riforma Cartabia
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La riforma Cartabia ha apportato una serie di innovazioni, frutto di una nuova concezione dell'appello tale da modellarne sia l'iter che lo svolgimento.
Da una prima disamina delle modifiche apportate dalla Riforma, è agevole rendersi conto che, a differenza della precedente novella del 1990, che aveva rivisitato il giudizio di secondo grado dando priorità alla concentrazione ed all'oralità con trattazione dell'intero procedimento innanzi al Collegio, oggi, sebbene il giudizio di secondo grado rimanga un procedimento a decisione demandata al Collegio, gli unici due interlocutori sembrerebbero rinvenirsi nella figura del Presidente del Collegio e, ove nominato, dell'Istruttore.
Entrata in vigore la nuova disciplina, non opera più il tradizionale criterio "vecchio rito con vecchio rito, nuovo rito con nuovo rito": in buona sostanza, non vale la regola che il processo che in primo grado abbia seguito il rito precedente, seguirà lo stesso rito nei gradi successivi. La norma transitoria fa riferimento alla nozione di "pendenza", che per l'impugnazione è riferibile, o meglio, coincide, con il momento in cui si perfeziona la notificazione dell'atto di citazione o, in caso di ricorso, con il deposito dello stesso nel grado di appello.
Nessuna modifica nell'ipotesi di integrazione del contraddittorio in cause inscindibili, atteso che, ai sensi dell'art. 331 c.p.c. il giudice ordina l'integrazione del fissando di conseguenza il termine nel quale la notificazione deve essere fatta " e se necessario, l'udienza di comparizione".
Invariata la notificazione dell'impugnazione relativa a cause inscindibili ex art. 332 c.p.c.
Esaminando il profilo del valore della causa, la novella ha esteso la competenza per valore del Giudice di Pace e, conseguentemente, viene ridotta la sfera della competenza che l'art. 341 c.p.c. assegna per funzione della Corte di Appello. Quindi, la norma opererà per le controversie introdotte innanzi al Giudice di Pace secondo la competenza per valore ai del disposto del nuovo art. 7 c.p.c., il cui provvedimento conclusivo dovrà essere impugnato dinanzi al Tribunale, rimodulando in tal modo la competenza della Corte di Appello.
Forma dell'atto d'appello
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Esaminando la forma dell'atto di impugnazione, l'art. 342 c.p.c., nella nuova formulazione, ne identifica tuttora, in modo ben chiaro, la "veste" con quella della citazione, principio, questo, che vale anche per le impugnazioni delle sentenze che vengono rese a conclusione del procedimento semplificato.
Precedentemente, nella configurazione del rito sommario di cognizione non era individuata la forma dell'atto di appello, e tutti i meno giovani - compreso lo scrivente - ricordano l'acceso dibattito tra coloro che ritenevano dovesse applicarsi l'art. 342 c.p.c, e quelli per i quali il principio di ultrattività del rito contenuto nell'art. 359 c.p.c. imponesse senz'altro l'introduzione dell'appello con ricorso.
A seguito della nuova Riforma, focalizzando l'attenzione al disposto di cui all'art. 342 c.p.c. "forma dell'appello", e alla interpretazione formatasi per il rito sommario, sembra non esserci dubbio che anche per la decisione resa a seguito del rito semplificato il giudizio di appello si introduca con atto di citazione; a conforto di questa tesi, ed eliminando ogni perplessità, si aggiunga che detto procedimento si definisce, ex art. 281 terdecies c.p.c., con sentenza, "da impugnare nei modi ordinari".
I termini
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Il termine per la comparizione è indicato in modo espresso all'ultimo comma dell'art. 342 c.p.c, nel rispetto di termini liberi non minori di almeno 90 giorni se il luogo della notificazione è in Italia e di 150 se si trova all'estero, non operando più il richiamo all'art. 163 bis dettato per la disciplina del giudizio di primo grado, atteso che in quella sede sono stati ampliati i termini di comparizione da 90 a 120 giorni liberi.
Per la proposizione dell'appello incidentale il termine è di 20 giorni prima dell'udienza di comparizione - o di quella differita di 45 giorni, ai sensi e per gli effetti dell'art. 349, u.c., c.p.c. Risulta evidente che detto termine è stato espressamente indicato, dato che la riforma ha modificato anche i termini dell'art. 166 c.p.c. verso il quale operava il richiamo della precedente disciplina.
Potrebbe porsi il problema di chiedersi poi se il termine di 20 giorni rimanga immutato anche nel caso si proceda ad impugnare una sentenza resa a definizione di un "rito semplificato", in quanto, in tal caso, sono previsti termini ridotti, dal momento in cui la formulazione dell'art. 347 c.p.c. "forme e termini della costituzione in appello" richiama espressamente i termini per il procedimento davanti al Tribunale, facendo per tal ragione ritenere che si possa propendere senza dubbio per la riduzione del termine di 20 giorni.
Sarebbe però auspicabile un miglio coordinamento tra le norme, essendo preferibile la lettura di un sistema con termini unificati.
Con riferimento al "termine breve" per l'impugnazione, la Riforma ha previsto che esso sia unico sia per il notificante e il notificato, con ciò prendendo a riferimento il momento in cui la notificazione si è perfezionata, andando così in senso opposto al principio di scissione temporale degli effetti della notifica, al fine di favorire il fondamento della simultaneità degli effetti della notificazione.
E la discrasia temporale tra il momento della notifica e quello della ricezione dell'atto ben potrà permanere anche per il caso di notifica a mezzo pec. Infatti, nel caso in cui la ricevuta di avvenuta consegna venga generata dopo le ore 21,00, la stessa si intenderà perfezionata il giorno successivo, alle ore 7,00, per entrambe le parti, ai sensi del novellato art. 147, comma 3, c.p.c. Poiché, come è ovvio, l'attività di notifica della sentenza - ai fini del decorso del termine breve di impugnazione - precede l'impugnazione, l'operatività della norma novellata si avrà solo per quegli appelli che sono stati proposti dopo il 28.2.2023, non dovendosi più avere riguardo al momento in cui si è perfezionata la notificazione stessa.
Il problema, come è noto, si pone con riferimento al procedimento con pluralità di parti dove opera la regola sancita dalla Suprema Corte per le cause inscindibili con le note Ordinanze 14722/2018 e 667/2021: "Nei processi con pluralità di parti, quando si configuri l'ipotesi di litisconsorzio necessario, ovvero di litisconsorzio processuale (cd. litisconsorzio "unitario o quasi necessario"), è applicabile la regola, propria delle cause inscindibili, dell'unitarietà del termine per proporre impugnazione, con la conseguenza che la notifica della sentenza eseguita da una delle parti segna, nei confronti della stessa e della parte destinataria della notificazione, l'inizio del termine breve per impugnare contro tutte le altre parti, sicché la decadenza dall'impugnazione per scadenza del termine esplica effetto nei confronti di tutte le parti".
Viceversa, nell'ipotesi di cause scindibili, resta ferma la regola generale fissata dall'art. 326 c.p.c. e, dunque, il termine per l'impugnazione proposta contro una parte fa decorrere il termine nei confronti dello stesso soccombente per proporla anche nei confronti delle altre parti.
Concludendo questa breve disamina, limitata esclusivamente ad alcuni articoli in materia di appello, viene naturale chiedersi se non si siano compressi i diritti delle parti all'interno del processo civile.
Avv. Giuseppe Puglisi
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