Il Tribunale di Roma ha accolto il ricorso presentato e ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 6 c. 3 della l. 40/04 relativo alla irrevocabilità del consenso alla PMA dopo la fecondazione dell'ovocita.
La questione è oltremodo delicata e riguarda il diritto della donna separata o divorziata che assieme al marito o al compagno aveva precedentemente effettuato un percorso di procreazione medicalmente assistita, di utilizzare, dopo la separazione e/o il divorzio ovvero la fine del rapporto di convivenza, gli embrioni sovrannumerari eventualmente residuati per tentare una nuova gravidanza in solitaria. E ciò contro la volontà dell'ex partner.
Incrociando i dati Istat secondo i quali circa il 20% delle coppie in età fertile presenta problemi di sterilità; che circa la metà delle coppie entro i primi 5 anni si separa; che i nati da PMA sono nel nostro paese circa 17.000 ogni anno; che vi sono circa 85.000 embrioni sovrannumerari conservati nei centri di PMA, i numeri di donne che potrebbero invocare tale diritto sarebbero migliaia.
La giurisprudenza di merito a partire dalla sentenza del 2020 del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere del gennaio 2021 ha in maniera costante riconosciuto tale diritto alla donna che potrebbe dunque procedere anche contro la volontà dell'ex partner al transfer, obbligando lo stesso ad assumere tutti gli obblighi (morali ed economici) nei confronti del figlio nato anche a distanza di anni.
Il Tribunale di Roma ha sollevato la questione di legittimità costituzionale della norma dell'art. 6 c. 3 della legge 40/04 che prevede "l'irrevocabilità del consenso prestato dopo la fecondazione dell'ovocita".
"La decisione del Tribunale di Roma risulta assolutamente condivisibile. La prospettiva infatti che anche dopo dopo la fine della relazione di coppia e quindi il venir meno del comune progetto genitoriale si potesse, anche a distanza di molto tempo, procedere non solo all'uso degli embrioni sovrannumerari per tentare una maternità solitaria ma addirittura obbligare l'ex marito/compagno ad assumere tutti gli obblighi genitoriali nei confronti del figlio che eventualmente dovesse nascere, è una prospettiva francamente assurda.
E' per un paradosso tecnologico che, anche se la coppia e la famiglia non ci sono più, è possibile consentire l'utilizzo ad uno degli ex partner di embrioni congelati nel momento in cui vi era un comune progetto genitoriale che ora non c'è più.
In tutti i trattamenti sanitari il consenso è liberamente revocabile da parte dell'interessato, non si vede perché in questo caso non dovrebbe esserlo, con la conseguenza di affermare un consenso ad effetti perpetui e dalle conseguenze giuridiche incalcolabili (si pensi alla nascita dopo molti anni in presenza di nuove famiglie costituite ovvero anche dopo la morte del genitore biologico con conseguenze sul diritto degli altri eredi.Inoltre non c'è chi non veda anche un possibile problema di discriminazione nei confronti dell'uomo: infatti ci si chiede qualora fosse il partner maschile a voler utilizzare l'embrione dopo la fine della relazione come questo potrebbe avvenire...attraverso la nuova compagna o una madre surrogata in cui impiantare l'embrione forse? con quali conseguenze per la ex partner, madre genetica?"
Buona lettura!
Irrevocabilità del consenso e diritto della donna separata/divorziata di ricorrere alla PMA contro la volontà dell'ex partner
La legge 40/04 ritorna davanti alla Consulta
di Gianni Baldini
Avvocato e Professore associato (ab.) di Diritto Privato e docente d Biodiritto nelle Università di Firenze e Siena . Direttore della Fondazione PMA Italia
1. Premessa. 2 La tutela dell'embrione nella legge 40/04 e il suo affievolimento e il suo superamento a partire dalla sent. Corte Cost. 151/09. 3. Presupposti logici e giuridici del consenso informato. 4. Inquadramento del consenso informato e legge 40/04. 5. L'ordinanza 30294/17 della Corte di Cassazione sua inapplicabilità al caso de quo. 6 La prospettiva dell'abuso di diritto. .7. U.N. Economic and Social Council, Decision Casagrande c. Italia, 19 marzo 2019. 8. Considerazioni conclusive
1. Premessa
La formulazione dell'art 6 c 3 L.40/04 deve essere letta nel quadro sistematico di un ordito costituzionale di diritti e principi fondamentali, che anche alla luce delle intervenute pronunce di illegittimità costituzionale sulla L 40/04 riguardo specifici aspetti della normativa (cfr sent Corte Cost. 151/09;162/14;96/15) definisce un quadro nel quale i principi di piena revocabilità del consenso informato nell'ambito del trattamento sanitario (sintesi tra diritti fondamentali di cui agli art 2,13,32 cost); la libertà personale, l'autodeterminazione e la privatezza del diritto di costruire una famiglia e di diventare genitore; il necessario affievolimento della tutela dell'embrione nell'ottica di un bilanciamento di interessi costituzionalmente rilevanti, emerge in maniera netta e maggiormente definita rispetto ad un recente passato. Ciò evidenzia come la suddetta disposizione, non suscettibile di una interpretazione costituzionalmente orientate per le ragioni espresso nell'ordinanza di rimessione, del Tribunale Di Roma, si configura come un "residuo normativo" che deve essere ricondotto ad unità con il sistema.
Alla luce di quanto precede al fine di evitare una interpretazione distorta e abusiva della disposizione di cui all'art 6 c. 3 u.c. l. 40/04 che condurrebbe a risultati ragionevolmente improspettabili, contraddittori, abusivi (in quanto devianti dal fine della norma) e contrari oltre che alla stessa legge 40/04 a taluni principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale nazionale ed europeo - libertà individuale, diritto a formare una famiglia, libertà di autodeterminazione riguardo a diritti personalissimi, consenso informato quale sintesi di diritti fondamentali della persona e sua piena revocabilità, etc. - i rilievi sollevati dall'ordinanza del Tribunale di Roma devono ritenersi fondati.
2. La tutela dell'embrione nella legge 40/04: affievolimento della tutela a partire dalla sent. Corte Cost. 151/09
L'art. 6 c. 3 u.c. che prevede l'irrevocabilità del consenso dopo la fecondazione dell'ovocita, costituiva una disposizione che si inseriva in un corpus normativo la cui ratio era evidentemente quella di assicurare una tutela prevalente del diritto alla vita e allo sviluppo dell'ovocita fecondato (rectius l'embrione in vitro di cui la legge in nessuna parte fornisce peraltro una precisa definizione) rispetto a qualsiasi altro interesse proveniente dai vari soggetti coinvolti. In tal senso, senza pretesa di completezza si leggano le disposizioni che prevedevano: il divieto di qualsiasi indagine genetica di pre- impianto (per evitare il rischio di selezione di embrioni malati e quindi non trasferibili, art 13 c 1 e 2); la condotta terapeutica imposta al medico di produrre massimo tre embrioni e di procedere in tutti i casi senza alcuna possibile eccezione (neppure attinente la specifica condizione clinica della donna art 13 c 1) al loro contemporaneo trasferimento; il divieto assoluto di crioconservazione degli embrioni residuati a cicli di PMA (art 14 c 1); il divieto di PMA eterologa (art 9 c. 1).
Tali disposizioni, come è noto , sono state oggetto di declaratoria di incostituzionalità da parte della Consulta che ha ritenuto illegittimo il bilanciamento operato dalla legge 40/04 tra i vari diritti personalissimi implicati nella vicenda sulla base della nota e risalente massima del Giudice delle leggi -che apri la strada alla legge sull'interruzione volontaria di gravidanza n. 194/78- secondo la quale ""pur sussistendo una tutela costituzionale del concepito - secondo quanto può dedursi dagli artt. 31, secondo comma, e 2 della Costituzione - che di per se' giustifica l'intervento protettivo da parte del legislatore penale-, detto interesse puo' venire in collisione con altri beni che godono pur essi di tutela costituzionale, cui spetta adeguata protezione". In tal caso, ovvero in ipotesi di conflitto con il diritto alla vita o alla salute della madre, il Giudice delle leggi statui che "non esiste equivalenza fra il diritto non solo alla vita ma anche alla salute proprio di chi è già persona, come la madre, e la salvaguardia dell'embrione che persona deve ancora diventare" (Corte Cost. 27/75). Tale giudizio è stato ribadito anche successivamente in varie occasioni: cfr ex multis sent. Corte c. 26/81,35/97, 514/02, 151/09,162/14,95/15.
Significativo rilevare come in questo caso per concepito, il riferimento non fosse all'embrione in vitro ma al concepito inteso come feto già attecchito nel corpo della donna. Non c'è chi non veda la differenza, anche in termini di 'grado soggettività' cui ricondurre in termini tecnico-giuridici adeguata tutela, tra una blastocisti in vitro che deve scongelata ed evolvere (con rischi di estinzione calcolati intorno al 30%) quindi essere trasferita (con possibilità di attecchimento ottimali stimate tra il 20/25%) e un feto umano già avviato con la gravidanza alla nascita che tali fasi ha già superato…Senza considerare come, per pacifica dottrina e giurisprudenza sull'art 1 c.c. così come costituzionalmente interpretato alla luce dell'art 2 e 31 Cost, fino alla nascita non è comunque possibile configurare un soggetto di diritto destinatario di situazioni giuridiche soggettive quanto, semmai, un possibile centro di imputazione di aspettative di diritto che verranno a consolidarsi unicamente con la nascita.
Sulla base di tale principio/parametro di ragionevolezza tutte le pronunce sulla legge 40/04 della giurisprudenza civile ordinaria (con l'unica eccezione del Trib di Catania del 4 maggio 2004 che negò il diritto di una donna portatrice di betalassemia di effettuare la diagnosi pre-impianto sull'embrione da trasferire) e della Consulta sono andate nella direzione di un affievolimento della tutela dell'embrione riconducendo per questa via, la legge 40/04 a compatibilità col sistema costituzionale. In altri termini è stato in tutti i casi operato un bilanciamento in favore: -del superiore interesse alla salute della donna; -dell'autonomia professionale del medico circa le modalità terapeutica più adeguata da adottare nel caso concreto; delle legittime aspettative della procreazione cioè di successo delle tecniche di PMA (Sent. Corte Cost. 151/09); -dell'interesse al superamento della condizione patologica di sterilità radicale che impedisce la realizzazione per via naturale di un progetto genitoriale espressione del più generale diritto alla libertà personale ricorrendo alla donazione anonima di gameti di terzi (Sent Corte Cost. 162/14); - del diritto a conoscere lo stato di salute dell'embrione (Sent Corte Cost 95/15). Tutto ciò, come è noto, ha portato alle declaratorie di incostituzionalità della legge 40/04 e al superamento del divieto di crioconservazione degli embrioni sovrannumerari nonché all'affermazione da parte della Giurisprudenza che la previsione di cui all'art 6 3 c. u.c. L.40/04 è una sorta di norma programmatica dal contenuto incoercibile.
3. Presupposti logici e giuridici del consenso informato
Ciò premesso e precisato, nel caso in esame attesa la diacronia temporale intercorsa tra momento della prestazione del consenso al trattamento ed esecuzione dello stesso, non c'è chi non veda come il venir meno a distanza di molto tempo dell'unione familiare da cui il progetto genitoriale -espresso nella prestazione del consenso di entrambi i coniugi alla PMA con ovodonazione che ha dato luogo alle blastocisti crioconservate - traeva origine fa venir meno il presupposto logico- giuridico sul quale tale consenso si fondava assumendo validità ed efficacia. Negare ciò, significherebbe obbligare due estranei a condividere un progetto genitoriale, in un contesto di fatto e diritto completamente diverso da quello originario, contro la propria volontà. Paradossali gli effetti sul piano giuridico: non potendosi applicare le presunzioni di nascita in costanza del matrimonio ci si chiede se il nato dovrebbe essere considerato qualificato come legittimo o naturale? Il padre biologico sarebbe costretto ad assumere anche la paternità giuridica del nato o potrebbe decidere di rimare anonimo prestando solo il mantenimento? La madre potrebbe promuovere azione di accertamento giudiziale della paternità naturale? Quale incidenza sugli eventuali diritti successori? A tacer d'altro, grave e irreparabile la violazione di diritti personalissimi (libertà personale, diritto di costituire una famiglia, autodeterminazione terapeutica, etc..) per il convenuto.
Senza considerare l'evidente contraddizione rispetto al paradigma proposto dalla L. 40/04 che all'art 4 non consente la realizzazione di un progetto genitoriale fuori dalla coppia eterosessuale in età potenzialmente fertile escludendo la possibilità per il single di procedere alla PMA.
4. Inquadramento del consenso informato e legge 40/04
Sotto diverso profilo di indagine anche riguardando la questione nell'ottica di contestualizzare lo strumento del consenso informato come modalità autorizzativa del paziente al trattamento medico, si rileva come il consenso all'atto medico in PMA si configura come una sorta di surrogato dell'atto sessuale. Come questo costituisce l'elemento individuativo della responsabilità: 1. dell'avvio del procedimento sanitario di PMA; 2.dei soggetti responsabili di tale avvio; 3. delle conseguenze morali e giuridiche del procedimento ove si arrivi al concepimento e alla nascita di un bambino (sia consentito il rinvio a G. BALDINI, Riflessioni di Biodiritto. Profili evolutivi e nuove questioni, Cedam 2019 p. 32 ss).
Proprio per tale ragione particolare significato assume la questione dell'attualità del consenso e la connessa esigenza del permanere dello stesso in ogni fase del procedimento. Ciò ha portato, come prassi comune dei centri di PMA, di richiedere, ove tra un tentativo di transfer e l'altro intercorrano più di 3 o 4 mesi, che la coppia rinnovi il proprio consenso al trattamento indipendentemente che siano stati già prodotti e crioconservati gameti o blastocisti con l'iniziale stimolazione.
La questione dell'attualità del consenso e della sua piena revocabilità oltre a costituire principio generale dell'ordinamento, non sussistendo trattamenti sanitari fuori dal TSO che risultino coercibili per legge (cfr. art 32 cost.; art 3 Carta diritti fondamentali UE, 2001; art 2,3 Convenzione di Oviedo , 1997) risulta oggi espressamente disciplinato all'art. 1 della L. 2019/17 Norme su consenso informato e DAT che detta disposizioni generali in tema di consenso informato assicurando la piena revocabilità dello stesso in qualsiasi momento (art 1 c 4: " Ha, inoltre, il diritto di revocare in qualsiasi momento, con le stesse forme di cui al comma 4, il consenso prestato, anche quando la revoca comporti l'interruzione del trattamento.").
D'altra parte la permanenza del consenso del soggetto in tutte le fasi del trattamento sanitario, non da oggi si configura come principio fondamentale del sistema: " Il consenso informato deve essere presente sia nella fase di formazione del consenso, sia nella fase antecedente che in quella di esecuzione del contratto, riconducibile (come in altri settori) alla clausola generale di buona fede del nostro ordinamento civilistico ex artt. 1175, 1337, 1375 c.c." (Cass 10741/2009).
Nel caso di specie il consenso alla realizzazione del progetto genitoriale mediante l'accesso alle tecniche di PMA, è di molti anni precedente.
Correttamente il Centro di PMA ha dunque richiesto che la coppia esprimesse ex novo il consenso al trattamento sanitario di PMA al fine di accertare la sussistenza delle condizioni che hanno dato avvio anni prima ad un trattamento sanitario poi interrotto per volontà di due soggetti, allora coppia che condivideva lo scopo di un progetto comune che oggi venuti meno i presupposti , non esiste più.
5. L'ordinanza 30294/17 della Corte di Cassazione sua inapplicabilità al caso de quo
Alla luce di quanto precede e del lineare e non contestabile percorso compiuto riguardo al bilanciamento tra situazioni soggettive operato dalla legge 40/04 ed oggi ritenuto superato per effetto degli interventi del Giudice delle Leggi, deve essere presa in esame la ricordata ordinanza 30294/17 della Corte di Cassazione.
Sul punto deve preliminarmente rilevarsi come trattasi di ordinanza e non di sentenza adottata peraltro prima dell'approvazione della legge 2019/17 che proprio riguardo al consenso ne afferma la revocabilità assoluta.
In tutti i casi risulta di palese evidenza come la fattispecie concreta sottoposta all'attenzione del Giudice di legittimità, ad un esame più attento, risulta sensibilmente differente da quella in esame su almeno due punti. Il primo attiene alle cause giustificatrici della revoca del consenso da parte del partner. Mentre nel caso di cui all'ordinanza della S.C. non risulta che la revoca, effettuata rispetto ad un trattamento di PMA appena avviato ovvero in fase di svolgimento sia giustificata dal venir meno della relazione coniugale e familiare nell'ambito della quale il progetto genitoriale trovava fondamento, nel caso de quo è proprio il venir meno di tale presupposto logico-giuridico peraltro su iniziativa della moglie, a giustificare la decisione.
Il secondo verte sulla questione dell'attualità e del legittimo affidamento di entrambi i partecipanti al trattamento di PMA. Come sopra accennato , risulta agli atti come nel caso deciso dalla richiamata ordinanza il partner dopo aver prestato il proprio consenso alla PMA eterologa della donna con conseguente creazione dell'embrione in vitro, revocò qualche giorno dopo , a trattamento avviato, la propria volontà al transfer della blastocisti. Non c'è chi non veda come una siffatta situazione risulti profondamente diversa da quella esposta nel ricorso de quo nella quale a distanza di diversi anni dalla prestazione del consenso al trattamento da un lato si sia avviato un procedimento per separazione giudiziale tendente alla disgregazione della famiglia (e di tutti i relativi progetti condivisi in quella sede: dalla casa, al lavoro, al figlio…) e dall'altra venga invocato un presunto diritto (quello alla maternità, qualificato come assoluto!!??) a realizzare un comune progetto genitoriale …che venendo meno sia sotto il profilo formale che sostanziale il rapporto di coppia non c'è più! A ciò si aggiunga l'indeterminatezza della pretesa non essendo chiaro se ove il transfer embrionario avesse successo la donna assumerebbe lo status di madre single ovvero madre coniugata o ancora madre naturale con ogni implicazione sullo status del nato e sui relativi diritti/obblighi del padre biologico (ormai ex marito)…!
Ad abundantiam si osserva infine come ulteriore elemento che differenzia le fattispecie in esame è individuabile, sotto il profilo tecnico giuridico, sulla qualificazione dell'atto richiesto: mentre nel primo caso siamo in presenza di revoca di un consenso prestato ad un trattamento sanitario attuale, nell'ipotesi di cui oggi è causa all'odierno convenuto viene richiesto di rinnovare ovvero di esprimere nuovamente un consenso al trattamento di PMA non potendosi all'evidenza ritenere quello espresso anni fa ancora valido ed efficace.
Precisata l'inapplicabilità al caso di specie della invocata ordinanza siano consentiti alcuni rilievi critici. Accertato che la tutela costituzionale dell'embrione risulta oggi, per effetto delle intervenute pronunce della Consulta sulla L. 40/04 che ne affermava l'assoluta preminenza rispetto ad ogni altro contrastante interesse, rientrando la stessa all'interno del parametro di ragionevolezza di cui alla Sent Corte Cost n 27/75, a nostro avviso, risulta in tutti i casi non corretta l'equivalenza operata tra divieto di disconoscimento di paternità previsto all'art 9 l. 40/04 per i nati da PMA eterologa operata dal partner che in tal senso avesse inizialmente espresso il proprio consenso e la revoca rectius la prestazione di nuovo consenso per il trasfer dell'embrione.
Nel primo caso l'atto facendo leva sulla mancata derivazione biologica del figlio dal padre sociale sarebbe diretto, del tutto strumentalmente e abusivamente, a far perdere allo stesso lo status di figlio nato nel matrimonio o riconosciuto con ogni implicazione consequenziale riguardo ad oneri e responsabilità morali ed economiche sul genitore.
Nel secondo, non è in discussione la derivazione biologica del nato posto che il materiale utilizzato è della coppia. Si tratta di revoca o meglio, pretesa alla prestazione di un nuovo consenso alla prosecuzione di un procedimento sanitario avviato anni prima, finalizzato a realizzare un progetto genitoriale che risulta incerto nell'an, nel quando, nel quantum e nel quomodo. Invero non si tratta, per effetto di capriccioso ripensamento, anche a prescindere dalle ragioni che lo fondano, di sottrarsi alle proprie responsabilità genitoriali (economiche e morali) nei confronti di un minore, bensì di riprendere un trattamento sanitario al quale anni prima in condizioni personali e relazionali completamente diverse, era stato dato l'avvio . E che il fattore tempo risulti dirimente per l'assunzione e la conservazione degli status è dimostrato anche dagli stringenti termini di decadenza per l'esercizio dell'azione di disconoscimento di paternità da parte del padre che nella novella legislativa è stata stabilita (in luogo dell'imprescrittibilità dell'azione) in un termine massimo di 5 anni.
In altri termini, la presunta aspettativa al trasferimento erroneamente qualificata come diritto (in tutti i casi non certo diritto alla vita posto che le blastocisti per la legge italiana devono essere crioconservate a tempo indeterminato, non possono essere distrutte e potrebbero, ad esempio, col consenso di entrambi i partner, essere donate ad altre coppie per effettuare la PMA eterologa) non può giustificare la pretesa di un partner contro l'altro, terminata la relazione che giustificava il comune progetto genitoriale, di diventare genitore contro la sua volontà assumendosi tutte le responsabilità conseguenti.
6. La prospettiva dell'abuso di diritto
In altra e differente prospettiva, gli esiti che l'interpretazione della norma di cui all'art 6 c 3 u.c. nel senso prospettato dal ricorrente potrebbe condurre, risulterebbe finanche idonea a configurare una ipotesi di abuso del diritto intesa come esercizio ovvero realizzazione di un diritto contraria alle sue finalità, valutando complessivamente gli interessi incisi dall'esercizio della situazione soggettiva, in una prospettiva dinamico relazionale.
Risulta di palmare evidenza infatti come la pretesa della donna oggi di far valere in forza delle invocate disposizioni della L. 40/04 il consenso espresso anni prima assieme al marito ad un trattamento sanitario finalizzato alla realizzazione dell'interesse dei coniugi di coronare il proprio progetto genitoriale in un contesto attuale nel quale la relazione coniugale è venuta meno (e con essa tutti i progetti comuni che dalla stessa si originavano, in primis quello genitoriale) configura un uso anormale del diritto, che conduce il comportamento del singolo (nel caso concreto) fuori della sfera del diritto soggettivo esercitato, per il fatto di porsi in contrasto con gli scopi etici e sociali per cui il diritto stesso veniva riconosciuto e protetto dall'ordinamento giuridico positivo. Senza entrare nel merito della vexata questio del fondamento giuridico nel nostro ordinamento di una siffatta categoria generale, è possibile individuare già negli artt. 1175 e 1375 c.c. le clausole generali atte a sanzionare come abusivi comportamenti contrastanti con le regole della correttezza e buona fede nei rapporti obbligatori.
7. U.N. Economic and Social Council, Decision Casagrande c Italia, 19 marzo 2019
La recente decisione del Comitato per i Diritti sociali ed economici dell'ONU che su ricorso di una coppia che lamentava, tra le altre, la violazione del proprio diritto a disporre liberamente delle blastocisti crioconservate all'esito di trattamenti di PMA, ha condannato l'Italia per la presenza di una normativa che impone illegittime restrizioni alla libertà "di ritirare il proprio consenso al trasferimento di embrioni per la procreazione". Il Comitato ha in tal senso trasmesso specifiche raccomandazioni all'Italia affinchè adegui la propria normativa in conformità con le disposizioni di cui al cap. II e III della Convenzioni sulle Biotecnologie, c.d. Convenzione di Oviedo del 1997. Più precisamente il punto b) delle Raccomandazioni all'Italia prevede: "Adottare misure legislative e/o amministrative appropriate per garantire l'accesso a tutti i trattamenti riproduttivi generalmente disponibili e per permettere alle persone di ritirare il proprio consenso al trasferimento di embrioni per la procreazione, assicurando che tutte le restrizioni all' accesso di questi trattamenti soddisfino i criteri forniti dall' articolo 4;".
Inoltre, il COMITATO SUI DIRITTI ECONOMICI, SOCIALI E CULTURALI ha esaminato la sesta relazione periodica dell'Italia alla 38esima e 39esima riunione, tenutesi il 29 e 30 Settembre 2022, e ha adottato una serie di osservazioni conclusive alla 60esima riunione, tenutasi il 14 Ottobre 2022. Al punto 66 il Comitato raccomanda allo Stato parte di rivedere la Legge 40/2004 al fine di rimuovere tali restrizioni irragionevoli.
8. Considerazioni conclusive
Alla luce di quanto precede risultano sicuramente fondati i rilievi di costituzionalità sollevati dall'ordinanza in epigrafe. Mantenere il residuo normative di cui all'art 6 c 3 significherebbe confermare una asserita prevalente tutela dell'ovocita fecondato riguardo al proprio interesse alla vita e allo sviluppo e negare l'intervenuto ragionevole affievolimento in forza del bilanciamento con i principi di autodeterminazione e consenso informato collegati in questo caso non solo e non tanto alla salute del paziente (art. 32 Cost.) che si sottoporrà al trattamento, quanto ad aspetti fondamentali attinenti la propria sfera esistenziale , quali, ad esempio, il diritto a costituire una famiglia (cfr.in tal senso artt. 2, 3, 13, 29, 31 Cost.).
La previsione inerente l'irrevocabilità assoluta del consenso (fuori dai casi attinenti la tutela della salute della donna già oggetto di declaratoria di incostituzionalità) oltre a risultare contraria con i dettami costituzionali di cui agli artt. 2, 3, 13, 29 1° comma, 32 primo e secondo comma, ove interpretati restrittivamente, presentano rilevanti vizi di ragionevolezza e una intrinseca illogicità e contraddittorietà. In particolare ove nel caso di specie non venisse ritenuta possibile la revoca del consenso al trattamento di PMA risulterebbero violati i parametri costituzionali di cui agli artt. 2,3,13, 29 1 comma e 32; l'art 8 della Convenzione EDU e l'art 3 e 7 della Carta diritti fondamentali UE, disposizioni espressamente richiamabili ai sensi dell'art 10 Cost e disattesa la richiamata raccomandazione rivolta all'Italia di adeguamento delle limitazioni alla revocabilità del consenso come prevista dall'art 6 c 3 u.c. L. 40/04.
Più precisamente non c'è chi non veda come ove l'art 6 c 3 u.c. della legge 40/04 venisse interpretato nel senso di legittimare la pretesa di diventare genitore -riavviando un procedimento sanitario iniziato anni prima e poi per varie ragioni non coltivato fino ad oggi in una situazione di famiglia e relazione coniugale anche formalmente superata - e implicitamente con essa tutti i vari progetti ivi condivisi nella logica di una vita comune cui si intende porre fine - contro la espressa volontà del partner - che in tal senso ha negato il consenso alla ripresa del trattamento sanitario-, darebbe luogo alla aberrante prospettiva di una coercizione alla genitorialità tra soggetti divenuti formalmente e sostanzialmente estranei in assenza di un figlio nato ma per la semplice prospettiva di un figlio possibile ed eventuale (l'ovocita fecondato in vitro da trasferire).
Evidente la violazione dei principi di ragionevolezza posto che la fattispecie del figlio nato che il padre sociale vorrebbe disconoscere sulla base della mancata derivazione biologica strumentalmente invocata per superare il consenso precedentemente prestato alla PMA eterologa della moglie (cfr le numerose sentenze della giurisprudenza di merito prima della pronuncia della Consulta del 1995 e della Cass. civ. del 2000), è situazione ben differente da quella di un embrione in vitro creato con i materiali biologici della coppia nell'ambito di un procedimento sanitario non coltivato per decisione comune della coppia per 5 anni, avviato in presenza di un progetto genitoriale che per effetto della separazione personale tra i coniugi è venuto meno, e che uno dei partner contro la volontà dell'altro intende comunque portare a termine!.
Si tratta di ipotesi che presentano differenze evidenti negli elementi essenziali che le costituiscono e non consentono pertanto di essere oggetto di una disciplina analogica.
Altrettanto evidente l'abusività della pretesa con evidente distorsione dei fini protettivi e del bilanciamento di interessi programmato dall'ordinamento.
Parimenti dicasi riguardo alla conseguente violazione di fondamentali diritti della persona che sarebbe costretta a subire tutte le conseguenze di una genitorialità non voluta: grave limitazione della propria libertà personale con conseguente coartazione nelle decisioni attinenti la sfera più intima della propria vita personale e familiare; violazione del proprio diritto a costituire (e sciogliere) una famiglia; libertà di autodeterminazione riguardo a trattamenti sanitari (propri o condivisi) sempre e comunque revocabili in violazione del consenso informato inteso come sintesi dei diritti fondamentali alla libertà personale e alla salute (cfr. Sent Corte Cost 438/2008).
D'altra parte si osserva come il bilanciamento tra i richiamati interessi qualificabili come diritti fondamentali della persona non opererebbero nei confronti di altra persona (l'embrione persona deve ancora diventare , Corte cost sent 27/75) bensì di una entità titolare di aspettativa di diritto che potrà consolidarsi in diritto soggettivo unicamente con l'evento futuro e incerto della nascita. A ciò si aggiunga come il predetto bilanciamento opererebbe non nei confronti di una aspettativa alla vita riconducibile all'ovocita fecondato, che in tutti i casi mai potrebbe essere per espresso disposizione di legge distrutto (art 13 L. 40/04) ma rimarrebbe comunque crioconservato in vista di futuri differenti utilizzi, ma con la differente aspettativa al trasferimento in utero o allo sviluppo al fine di realizzare un originario progetto genitoriale che venendo meno la coppia non c'è più.
In tal senso significativa pure la violazione, che una interpretazione non costituzionalmente orientata potrebbe determinare riguardo ai principi generali in tema di consenso informato. Infatti il fatto che l'art. 6 c.3 u.c. L. 40/04 risulti norma sprovvista di sanzione, non fa venir meno, in linea di principio la portata della disposizione che introduce un vulnus nel sistema, sistema che, come suvvisto, esclude la stessa prospettabilità di un consenso ad effetti perpetui ovvero suscettibile di configurarsi fuori dalle direttrici di spazio e tempo e dalla necessità di una sua persistente attualità (e nel caso di specie anche una convergenza) e risulta ben definito entro le coordinate stabilite dalle pronunce delle Supreme magistrature che oggi trovano definitiva conferma nella legge 219/17. Come è noto, in tal senso, molteplici sono gli arresti del Giudice di legittimità e di quello delle leggi secondo i quali "la circostanza che il consenso informato trova il suo fondamento negli artt. 2,13 e 32 della Costituzione pone in risalto la sua funzione di sintesi di due diritti fondamentali della persona: quello all'autodeterminazione e quello alla salute (…)" (Corte Cost. 438/08); "Il diritto al consenso informato, in quanto diritto irretrattabile della persona, va comunque e sempre rispettato dal sanitario, a meno che non ricorrano casi di urgenza (…) Tale consenso è talmente inderogabile che non assume alcuna rilevanza per escluderlo che l'intervento absque pactis sia stato effettuato in modo tecnicamente corretto(…)," (Cass. Sez III, 28 luglio 2011, n. 16543); " Il consenso informato deve essere presente sia nella fase di formazione del consenso, sia nella fase antecedente che in quella di esecuzione del contratto, riconducibile (come in altri settori) alla clausola generale di buona fede del nostro ordinamento civilistico ex artt. 1175, 1337, 1375 c.c." (Cass. 10741/2009).
La recente decisione del Comitato per i Diritti sociali ed economici dell'ONU (v. doc. 4), che ha condannato l'Italia per la presenza di una normativa che impone illegittime restrizioni alla libertà "di ritirare il proprio consenso al trasferimento di embrioni per la procreazione", nel confermare gli assunti della recente normativa e della giurisprudenza costituzionale e di legittimità in materia pare risultare in linea con quanto fin qui sostenuto.
Alla luce delle considerazione che precedono non manifestamente infondata risulta la questione di legittimità costituzionale dell'art. 6 c. 3 u.c. 40/04 attesa l'irragionevolezza e l'illogicità di tali disposizioni rispetto agli artt. 2,3, 13,29 c 1, 30, 32; 8 della Convenzione EDU, 3 e 7 della Carta diritti fondamentali UE, disposizioni espressamente richiamabili ai sensi dell'art 10 Cost.