LPU in smartworking
Ok ai lavori di pubblica utilità in modalità "smartworking", se l'attività da remoto è prevista dal progetto individualizzato frutto dell'accordo tra il condannato, l'ente e l'ufficio esecuzione penale esterna. Così la prima sezione penale della Cassazione nella sentenza n. 16055/2023.Nella vicenda, il tribunale di Cagliari revocava la sanzione sostitutiva dei lavori di pubblica utilità nei confronti di un soggetto condannato per guida in stato di ebbrezza ripristinando la pena carceraria.
La revoca era disposta perché dalla relazione conclusiva dell'ente presso cui erano stati svolti i lavori (una radio universitaria) risultava che il condannato aveva svolto i lavori da remoto firmando il registro presenze senza un controllo fisico da parte dell'ente e senza una specifica autorizzazione alla modifica delle prescrizioni dei lavori e all'autorizzazione al lavoro da remoto. L'uomo, tramite il proprio difensore, adiva il Palazzaccio non comprendendo quali fossero le discrepanze cui era stato attribuito rilievo e che in ogni caso non spettava certo a lui chiedere le modifiche alle prescrizioni del programma, oneri che spettavano semmai all'ente. Per nel ripristino della pena originaria non era stata scomputata neanche la parte del lavoro svolto.
Gli Ermellini gli danno ragione.
In effetti dall'ordinanza non si comprende quali siano le discrepanze rispetto al programma dei lavori di pubblica utilità che hanno determinato la decisione del GE di non tener conto della relazione conclusiva favorevole dell'ente, anticipano i giudici.
La lettura del progetto individualizzato concordato in origine tra l'interessato l'ente e l'UEPE, prevedeva espressamente anche la possibilità dello svolgimento di attività da remoto. Pertanto, ragiona la corte, non può essere questa la discrepanza tra il lavoro svolto e quello concordato in origine ad aver determinato il ripristino della sanzione originaria.
Dalla lettura del progetto emergeva che effettivamente le attività descritte (gestione archivio, operatore informatico anche da remoto e addetto alle pulizie) erano state svolte soltanto in parte perché l'attività di social media manager che la relazione conclusiva dell'ente sosteneva essere stata svolta dal ricorrente, poteva, al più rientrare in quella di operatore informatico ma non certo nelle altre due.
Tuttavia, nel provvedimento impugnato, affermano da piazza Cavour, "non vi è nessun riferimento alla differenza parziale tra le attività lavorative previste dal progetto individualizzato e quelle effettivamente svolte. Anzi il percorso motivazionale del provvedimento sembra concentrarsi non sulla tipologia delle attività svolte ma sulla questione della mancata possibilità di controllo dell'attività svolta da remoto, che però, come detto era ricompreso tra le possibilità di modalità di svolgimento dei lavori nel programma concordato all'origine".
Da qui, l'annullamento dell'ordinanza impugnata. Parola al giudice del rinvio.
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