Diritto-dovere di difesa e accuse offensive
Il diritto di difesa non scrimina l'illiceità deontologica di espressioni esorbitanti, "perché non pertinenti né necessarie a sostenere la tesi adottata, gratuitamente offensive nei confronti del collega, e palesemente ispirate da un ardore vendicativo, che non è infatti aderente ai generali doveri di probità, dignità e decoro ai quali l'avvocato deve comunque conformarsi". E' quanto sottolineato dal Consiglio Nazionale Forense, nella sentenza n. 209/2022, pubblicata il 28 marzo 2023 sul sito del Codice deontologico (sotto allegata).
Nel caso di specie, un legale, nei propri atti difensivi aveva trattato sprezzantemente il collega avversario, descrivendolo come un "professionista incapace, riuscito ad avere accesso alla professione con metodi non leciti e screditanti" e si era visto comminare la sanzione disciplinare dell'avvertimento.
Per il CNF, le tesi dell'incolpato non reggono: le espressioni utilizzate infatti "appaiono oggettivamente offensive e per nulla attinenti alle esigenze difensive, e, dunque, non giustificate dal contesto, bensì gratuite e discriminatorie, con piena integrazione dell'illecito deontologico previsto dall'art. 20 del n.c.d. e all'art. 52 del previgente".
Non solo, conclude il Consiglio rigettando il ricorso, "il divieto di reformatio in peius impone a questo giudice di confermare la sanzione attenuata dell'avvertimento pur a fronte di una condotta che - anche a giudizio della Corte di cassazione - ha avuto come unica finalità, quella di descrivere la controparte processuale come un professionista incapace".
Scarica pdf CNF n. 209/2022• Foto: 123rf.com