Legittimo impedimento difensore
La malattia dell'avvocato deve essere tale da incidere sulla capacità di intendere e volere dell'interessato, impedendogli per tutta la sua durata qualsiasi attività. Così la Cassazione (terza sezione penale) nella sentenza n. 27483/2023 (sotto allegata).
I fatti hanno per protagonista un imputato per il reato di cui all'art. 44 lett. c) DPR 380/2001 che si era visto rigettare la richiesta formulata dal proprio legale di restituzione nel termine di impugnare la sentenza del tribunale di Roma che lo vedeva condannato insieme ad altri.
Avverso il provvedimento della Corte territoriale, veniva proposto ricorso per cassazione. In particolare, la difesa dava conto che l'imputato aveva ricevuto la notificazione dell'ordinanza di inammissibilità dell'appello, stante la tardiva proposizione del gravame, e che entro il termine di dieci giorni dalla effettiva conoscenza degli eventi processuali - era stata depositata l'istanza di restituzione. L'imputato infatti, sosteneva la difesa, "era stato ignaro dell'insorgenza della problematica di salute del proprio difensore, che aveva comportato il mancato rispetto del termine per impugnare". Per cui, il provvedimento impugnato doveva ritenersi censurabile, in quanto doveva essere apprezzata sia l'esistenza di forza maggiore tale da impedire al difensore il rispetto del termine di impugnazione, sia il momento di conoscibilità della circostanza da parte dell'imputato. Né rilevava l'osservazione della Corte territoriale, quanto alla possibilità per il difensore di incaricare altra persona per il deposito dell'impugnazione, senza verificare la possibilità di adempiere al proprio mandato a fronte del malore subito dal difensore stesso.
Per gli Ermellini, però il ricorso è inammissibile.
Come risulta dagli atti del fascicolo d'ufficio, l'appello da parte del legittimato difensore avvocato è stato presentato tardivamente. Con atto successivo, in esito peraltro all'intervenuta declaratoria di inammissibilità del gravame presentato dal proprio difensore, l'imputato ha proposto, tramite l'avvocato istanza per essere restituito nel termine per impugnare, assumendo l'impossibilità del difensore di curare la proposizione dell'appello atteso l'insorto stato di malattia e in ragione delle correlate ansie personali per le proprie condizioni di salute.
Ciò posto, affermano quindi i giudici della S.C., "costituisce orientamento risalente ma non smentito che, in tema di restituzione nel termine, non è consentito all'imputato far valere, sostituendosi al difensore, un impedimento che riguardi il difensore medesimo; ed invero è prevista la legittimazione del difensore in proprio e per causa propria alla richiesta di essere reintegrato in un diritto o facoltà, né può ritenersi sussistente alcuna funzione di rappresentanza del difensore da parte dell'imputato (cfr. Cass. n. 1763/1999.
In ogni caso, peraltro, anche a prescindere dai rilievi che precedono, "da un lato l'imputato ben avrebbe potuto tempestivamente presentare personalmente l'appello nei termini ex lege fissati (dovendosi presumere l'adempimento da parte del difensore del dovere deontologico di comunicare al proprio assistito l'esito del giudizio, ed in proposito infatti alcuna lamentela è stata avanzata, mentre comunque alcun incombente partecipativo incombeva all'ufficio, trattandosi di sentenza depositata nei termini), e d'altro canto alcun onere di diligenza risulta essere stato rispettato".
In casi analoghi, precisano ancora i giudici, "è stata esclusa la sussistenza della forza maggiore, sul rilievo che l'uso dell'ordinaria diligenza, sia da parte dell'imputato, sia da parte del difensore, avrebbe potuto impedire il vano spirare del termine" (cfr. Cass. n. 16763/2010).
E, al riguardo, "è stato ripetutamente ritenuto che integra un'ipotesi di causa di forza maggiore che giustifica la restituzione in termini, ai sensi dell'art. 175 cod. proc. pen., il solo stato di malattia che sia di tale gravità da incidere sulla capacità di intendere e volere dell'interessato, impedendogli per tutta la sua durata qualsiasi attività (cfr., ex multis, Cass. n. 51912/2019). Ipotesi certamente non ricorrente in specie, laddove la denunciata patologia del difensore, tra l'altro comportante l'esecuzione di accertamenti clinici di sostanziale routine, sarebbe insorta cinque giorni prima della scadenza del termine per impugnare.
"Tanto più che non integra un'ipotesi di caso fortuito o di forza maggiore l'impedimento fisico ad es. limitato al giorno di scadenza del termine, giacché è imputabile alla parte l'incapacità di organizzare i propri impegni in modo da neutralizzare il rischio di imprevisti dell'ultimo momento, ed in specie erano già comunque decorsi quaranta dei quarantacinque giorni utili alla proposizione del gravame" concludono gli Ermellini. Per cui, alla stregua dei rilievi che precedono, la manifesta infondatezza dell'istanza non può che comportare l'inammissibilità del ricorso.
Scarica pdf Cass. n. 27483/2023