La perdita del frutto del concepimento non costituisce danno alla salute ma lesione del diritto alla genitorialità per cui non è esperibile l'ATP con finalità conciliativa. Lo ha affermato il Tribunale di Agrigento con decreto del 21 settembre 2023 (sotto allegato).
Nella vicenda, veniva proposto ricorso per accertamento tecnico preventivo ai sensi della L. n. 24 del 2017, con il quale si chiedeva al Tribunale la nomina di un collegio peritale al fine di provvedere all'accertamento del nesso di causalità tra lo shock cardiocircolatorio subìto da una donna in stato di gravidanza, causato da embolia polmonare con conseguente aborto spontaneo e la negligente condotta sanitaria del ginecologo di fiducia. I ricorrenti chiedevano in particolare accertarsi i "danni patrimoniali e non patrimoniali subiti e, per l'effetto, qualificare e/o quantificare le lesioni subite".
I resistenti e l'assicurazione terza chiamata in causa contestavano la sussistenza dei presupposti per procedere con l'ATP di cui all'art. 696 bis c.p.c.
Il giudice rileva innanzitutto che è incontestato il verificarsi dell'evento consistito nello shock cardiocircolatorio subito dalla ricorrente, seguito da un breve stato di coma e successivo aborto spontaneo, in seguito a conclamata embolia polmonare, risultando tuttavia controverso se in tale accadimento possa ravvisarvi una colpa medica quale causa - o concausa - dell'evento. Nello specifico, rileva il giudicante, non sono stati specificamente allegati danni patrimoniali né tantomeno, neppur in via meramente presuntiva, danni non patrimoniali; né nella narrativa del ricorso e nella ctp versata in giudizio si discute di danno biologico permanente e/o temporaneo patito dalla donna; né inoltre si menzionano o documentano altri, eventuali, pregiudizi non patrimoniali di entrambi i coniugi ricorrenti in termini di peggioramento della qualità o delle abitudini di vita e/o agli assetti relazionali della persona (cd. danno esistenziale o danno alla vita di relazione) per effetto dell'asserito inadempimento contrattuale.
Peraltro la ricorrente, già alla terza gravidanza, al momento dell'aborto aveva circa 34 anni e, quindi, in età tale da potere comunque avere altri figli, non avendo, inoltre, perso la capacità di procreare e non essendovi allegazioni su ripercussioni negative sulla vita coniugale e/o sessuale della stessa.
Per cui, l'unico eventuale pregiudizio che potrebbe semmai rilevare per il tribunale è la perdita del frutto del concepimento che, tuttavia, non costituisce perdita di una vita ma la perdita di una "speranza di vita".
Tuttavia, lo svolgimento dell'A.T.P. con finalità conciliativa si rivela inammissibile in quanto, come pacificamente ritenuto dalla giurisprudenza, "la perdita del frutto del concepimento non costituisce danno alla salute ma lesione del diritto alla genitorialità (Cass, civ., sez. III, 11 marzo 1998 n. 2677); dunque una posta risarcitoria non suscettibile di valutazione medico legale, non potendosi ancorare alle tabelle di Milano in uso per la liquidazione da perdita del rapporto parentale, stante l'impossibilità di equiparare il danno conseguente alla perdita di una persona vivente, con la quale si aveva un legame affettivo, con la perdita del concepito (non nato), non ancora dotato di una sua autonomia soggettiva".
Aspetti dunque che, nell'eventualità, sarebbero semmai riservati alla valutazione del giudice che potrebbe svolgere in un giudizio a cognizione piena, una liquidazione equitativa tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto; e che, pertanto, non può essere demandata ad un consulente tecnico che non potrebbe assumere l'incarico di tentare la conciliazione della lite formulando una proposta transattiva.Da qui l'inammissibilità del ricorso.
Scarica pdf Trib. Agrigento 21.9.2023• Foto: 123rf.com