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Lotta all'inflazione e sviluppo nell'Unione Europea
Giovanni Scanagatta* e Stefano Sylos Labini**
Ai confini dell'Europa e sulla sponda meridionale del Mediterraneo stanno divampando diversi conflitti militari. Dapprima la guerra civile in Libia, poi la guerra in Ucraina ed infine l'attacco contro Israele di pochi giorni fa. Al di là delle responsabilità, delle ragioni delle parti in causa e dei motivi che hanno portato all'esplosione di questi conflitti, ciò che ci preme sottolineare è che sono coinvolte aree cruciali per l'offerta di gas e petrolio verso il continente europeo. Nonostante la retorica ecologista e gli irrealistici obiettivi stabiliti dall'Unione europea, dobbiamo essere consapevoli che gas e petrolio rappresentano le fonti energetiche che tuttora fanno girare l'economia del Vecchio Continente e dell'intero pianeta insieme al carbone. Uno shock energetico prolungato potrebbe alimentare ulteriori fenomeni inflazionistici che sarebbero devastanti per la nostra economia.
La restrizione monetaria perseguita dalla BCE per contrastare l'inflazione che si aggiunge alla fine dei programmi di acquisti dei titoli del debito pubblico dei paesi dell'euro ha già determinato una pressione aggiuntiva sui bilanci pubblici facendo crescere le spese per interessi sul debito. Il problema è che ci troviamo in un'economia di guerra, sebbene indiretta, che sta alimentando un'inflazione da costi su cui la Banca Centrale è totalmente impotente. Tutto ciò sta determinando un pesante rallentamento dell'attività economica che sta spingendo al ribasso il gettito fiscale mettendo ancora di più in sofferenza i bilanci pubblici.
La recente impennata del tasso sui BTP che ha raggiunto il livello del 5% è un segnale preoccupante che sta mettendo il nostro Paese sotto il tiro delle agenzie di rating le quali potrebbero decidere di procedere verso un declassamento dei titoli pubblici italiani.
Tasso sui BTP a 10 anni nel periodo 2010 - 2023. Ad ottobre del 2023 il tasso si aggira su valori del 4,8% simili a quelli del 2012 quando l'Italia rischiò di essere travolta dalla crisi del debito pubblico
E' vero che i recenti collocamenti di titoli alle famiglie e ai piccoli risparmiatori sono stati un successo e dunque rappresentano un evento incoraggiante considerando che il nostro Paese dispone di un ingente risparmio privato, ma se guardiamo alla distribuzione dei titoli del debito pubblico vediamo che circa il 25% è nelle mani delle banche, il 25% di Banca d'Italia / BCE, il 26% è detenuto da investitori esteri e circa l'12% è detenuto dalle famiglie. Dunque rimaniamo molto esposti in una fase di pesante rallentamento economico che potrebbe far peggiorare il rapporto debito/Pil creando dubbi sulla sostenibilità del nostro debito.
Nel 2012, in seguito alla crisi finanziaria esplosa negli Stati Uniti e poi propagatasi nel Vecchio Continente, si era verificata una situazione simile a quella attuale quando il tasso sui titoli a 10 anni dell'Italia e di altri paesi periferici dell'Unione monetaria aveva superato la soglia del 7% mettendo a rischio la stessa tenuta dell'euro. Oggi non siamo ancora arrivati a quel punto ma la tendenza in atto è preoccupante per i motivi sopra illustrati.
Nel 2012 la disintegrazione dell'euro era stata evitata grazie ad una politica ultraespansiva della BCE dapprima con il famoso annuncio del whatever it takes di Mario Draghi e poi con gli acquisti del Quantitative Easing. Oggi la situazione è radicalmente cambiata poiché la BCE di fronte all'inflazione alta e persistente sembra determinata a perseguire una politica monetaria restrittiva anche per un lungo periodo per riportare l'inflazione al 2%. Questa politica monetaria insieme all'inflazione energetica potrebbe essere molto dannosa all'economia europea in termini di sviluppo e di occupazione.
*Professore di Politica economica e monetaria all'Università di Roma
** Gruppo Moneta Fiscale
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