La violazione di sigilli si configura ogniqualvolta sussiste un utilizzo della res sottoposta a vincolo. Così la terza sezione penale della Cassazione, con la sentenza n. 46412/2023 (sotto allegata).
Nella vicenda, la Corte di appello di Napoli confermava la pronuncia emessa dal Tribunale di Noia, di condanna alla pena di mesi dieci di reclusione ed euro 600,00 di multa per i reati di cui agli artt. 81 e 349, comma 2, cod. pen., nei confronti dell'imputato, per avere, nella qualità di committente e di custode giudiziario, violato i sigilli apposti su manufatti edilizi dalla polizia giudiziaria, proseguendo lavori i lavori di edificazione su immobile sottoposto a vincolo di inedificabilità e in assenza della autorizzazione necessaria e collocandovi il mobilio.
L'uomo adiva il Palazzaccio lamentando, tra l'altro, che non erano emersi elementi dai quali si poteva desumere che il momento consumativo del delitto coincidesse con quello dell'accertamento e considerato che, nel caso di specie, l'accertamento era avvenuto ben oltre un anno dalla nuova apposizione dei sigilli. Eccepiva inoltre che in mancanza di prova certa sulla data di consumazione del reato, doveva applicarsi il principio del favor rei e dunque, considerata la data di più risalente, dichiararsi l'estinzione del reato per prescrizione.
Per gli Ermellini, tuttavia, le doglianze sono infondate.
"Il reato di violazione di sigilli - affermano infatti i giudici - si configura ogniqualvolta sussista un qualunque utilizzo della res sottoposta al vincolo, poiché la finalità di assicurare la conservazione della cosa sigillata, può essere frustrata anche mediante il semplice uso di essa". Costituisce infatti ius receptum, proseguono, "che, nel delitto di violazione dei sigilli previsto dall'art. 349 cod. pen. l'oggetto del reato va individuato nella tutela delle intangibilità della cosa rispetto ad ogni atto di disposizione o di manomissione, dovendosi in questa ricomprendere anche la interdizione dell' uso disposta dall'autorità (Sez. 3, n. 6417 del 12/01/2007)".
Ne segue che il rilievo difensivo, secondo cui le opere edilizie erano state già ultimate e che il ricorrente si sia limitato ad effettuare opere di mera rifinitura e di installazione della cucina, non sono pertinenti, posto che il ricorrente medesimo riconosce di aver fatto uso della res sottoposta a vincolo.
Quanto al profilo inerente al tempus commissi delicti, infine, "si osserva che costituisce altrettanto ius receptum che il momento consumativo del reato di violazione di sigilli può essere desunto non soltanto facendo ricorso ad elementi indiziari, ma anche a considerazioni logiche, fatti notori e massime di esperienza, in particolare potendosi presumere che tale momento coincida con quello dell'accertamento, salva l'esistenza di ipotesi anomale e particolari, oggetto di prova rigorosa, idonee ad intaccare tale presunzione e che rendano almeno dubbia l'epoca di commissione del fatto (Sez. 3, n. 47082 del 16/11/2007).
Da qui l'inammissibilità del ricorso, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila, determinata secondo equità, in favore della Cassa delle ammende.
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