La procedibilità dei reati di maltrattamenti in famiglia e violenza sessuale secondo la Suprema Corte

Maltrattamenti in famiglia e violenza sessuale sulla moglie

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Con sentenza n. 32951/2023 (dep. 28/07/2023), i Giudici di legittimità della III sez. penale, tornano di nuovo, ma in "unico pezzo", ad occuparsi del delitto di maltrattamenti in famiglia ex art. 572 c.p. insieme a quello di violenza sessuale ex art. 609-bis c.p., consumatisi tra le mura domestiche.

Procedibilità dei reati di maltrattamenti in famiglia e violenza sessuale

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Innanzitutto - come premessa - va ricordato che per il reato di maltrattamenti in famiglia è prevista la procedibilità d'ufficio, essendo quindi ininfluente il consenso della persona offesa ai fini dell'accertamento dell'illecito. Mentre per il reato di violenza sessuale monosoggettiva, la procedibilità d'ufficio scatta soltanto alla presenza di determinate circostanze, previste dall'art. 609 septies, co.4; altrimenti è procedibile a querela di parte, querela però che una volta esposta diviene irrevocabile, al fine di evitare che potenziali condizionamenti familiari e sociali, cui potrebbe essere esposta la vittima, possano portare la parte offesa appunto a ritirare la querela.

La decisione della Cassazione

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La sentenza in oggetto emessa a seguito del ricorso "su doppia conforme" del difensore di fiducia dell'imputato che lamentando più vizi, alcuni legati alla all'applicazione delle circostanze attenuanti ex art.62-bis; e altri invece all'"interpretazione" dei capi di imputazione relativi ai reati di maltrattamenti in famiglia ex art. 572 cp e violenza sessuale ex art. 609 bis, quest'ultima ai danni della moglie; fornisce una serie di conferme dell'orientamento giurisprudenziale riguardo i reati contestati.

Il ricorrente in merito sosteneva una linea difensiva alquanto singolare, "costringendo" la Corte ad argomentare - tramite un susseguirsi di "richiami al passato" , come "sostegno aggiuntivo" - le motivazioni del rigetto di tutti i punti del ricorso stesso.

I Giudici di legittimità infatti rigettano 'in blocco' tutti i motivi posti a fondamento del ricorso, richiamando come già anticipato anche una serie di pronunce dei Capitolini, ' a corollario della sentenza' in oggetto.

Mettendo da parte gli altri punti e soffermandoci, focalizzando quindi quelli strettamente relativi all'interpretazione degli articoli 572 e 609 del codice penale: sull'addebito del reato di maltrattamenti in famiglia il ricorrente manifestava doglianze in merito ad una 'erronea applicazione' dell'art. 572 c.p. con riferimento al requisito dell'abitualità della condotta.

La linea difensiva del ricorrente davvero sui generis, 'proponeva' infatti a sua discolpa, e 'incolpando' invece i giudici d'appello per non aver esaminato , valutato "l'allegazione difensiva secondo cui a volte i due coniugi si picchiavano vicendevolmente".

Come se la reazione all'offesa neutralizzasse "di per se un'offesa".

Gli Ermellini in merito, però, ricordano la pronuncia n. 46043 del 20/03/2018, la quale specifica che "in tema di maltrattamenti in famiglia, lo stato di inferiorità psicologica della vittima non deve necessariamente tradursi in una situazione di completo abbattimento, ma può consistere anche in un avvilimento generale conseguente alle vessazioni patite, non escludendo sporadiche reazioni vitali ed aggressive della vittima la sussistenza di uno stato di soggezione a fronte di soprusi abituali".

E inoltre l'abitualità richiesta dalla norma dei maltrattamenti ex art. 572 era stata provata dai giudici di I e II grado 'conformemente' "in modo non manifestamente illogico o contraddittorio". (Si veda in merito anche Sent. sez. 6, n.6126 del 09/10/2018, Rv. 275033-01; Sez.4, n.18826 del 09/02/2012 - dep.16/05/2012, Pezzo, Rv.253849).

Passando oltre, al capo d'imputazione ex art. 609 bis il ricorrente lamentava l'errata applicazione dell'articolo de quo, non avendo i giudici di merito valutato il fatto che la moglie in realtà intratteneva regolarmente rapporti sessuali all'interno della relazione matrimoniale.

Avallava pertanto un 'consenso implicito' sulla base di quello prestato in altre occasioni.

Come se il consenso fosse "fisso" e " valesse una tantum", ma "per sempre".

I Capitolini, però, pure su questo punto, in Risposta - e anche attraverso l'eco della recente Sentenza della Cass.pen. sez. III n. 19599 del 19/03/2023 - puntualizzano che "in sostanza, nei reati contro la libertà sessuale, il dissenso è sempre presunto, salvo prova contraria" e con un richiamo "a collage" di altre sentenze - poste a fondamento della cristallina argomentazione - smontano le pretese del ricorrente, affermando che "del tutto generica e privo di pregio appare poi la censura secondo cui i due coniugi avessero avuto nel tempo anche rapporti consensuali, avendo la Corte ritenuto che tale prassi costituisca, al contrario, la manifestazione da parte della persona offesa di intrattenere, per il resto, una ordinaria relazione interpersonale (Sez III, n. 40607 del 16/06/2022, Parziale), ma che certo non elide la necessità di raccogliere, di volta in volta, il consenso del partner per il compimento di rapporti sessuali".

Inoltre, la Corte, rammenta la prostrazione di chi è assoggettato a violenza o minaccia; intimidazioni che spiega appunto la Corte influiscono "negativamente sul processo mentale di libera determinazione della vittima, senza necessità di protrazione nel corso della successiva fase esecutiva (Sez.3, n.19611 del 04/03/ 2021; Sez.3, n.149085 del 24/01/2013, Rv. 2559022; Sez.3, n. 967 del 26/11/2014, dep. 13/01/2015, Rv.2612637)".

E ancora - non si ferma la Suprema Corte - ma riafferma che "ai fini della configurabilità del delitto di violenza sessuale, non si richiede che la violenza sia tale da annullare la volontà del soggetto passivo, ma è sufficiente che la volontà risulti coartata".

E' incessante la Cassazione nel contestare le argomentazioni del ricorrente e così continua - riferendosi anche alle modalità della condotta che configurano il reato ex art. 609 bis - ricordando che "neppure è necessario che l'uso della violenza o minaccia sia contestuale al rapporto sessuale per tutto il tempo" e che quindi si integra il reato di violenza sessuale anche "solo approfittando dello stato di prostrazione, angoscia o diminuita resistenza in cui la vittima è ridotta (Sez.3, n.3141 del 25/02/1994 Ascari, Rv. 1989709; Sez.3, n.3969 del 04/10/2022, dep. 2023)".

Ed esplicando ancora le ragioni per cui tale motivo a sostegno del ricorso è manifestamente infondato - sulla base delle prove di costrizione subite dalla parte lesa - conclude fermamente rimarcando che "il dissenso della vittima può essere desunto da molteplicità di fattori anche a prescindere dalla esistenza di riscontri fisici sul corpo della vittima, essendo sufficiente la costrizione ad un consenso viziato (Sez.3, n.249298 del 12/05/2010, Rv.2472877)".

E' evidente ormai, concludendo, che la linea tracciata dalla giurisprudenza in merito non lascia margine ad opache interpreazioni confermando invece il traguardo raggiunto a sostegno della necessità di un consenso non coartato, non ‘velato', ma libero, ‘ chiaro' anche all'interno del rapporto di coniugio.


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