La Cassazione afferma che è riciclaggio mettere a disposizione il proprio conto corrente per ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa del denaro

L'articolo 648-bis del codice penale

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Il reato di riciclaggio, come riformulato dal D.lgs. 8 novembre 2021, n.195, è disciplinato dall'art. 648 bis c.p. che attualmente recita: "Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni in modo da ostacolare l'identificazione della loro provenienza delittuosa, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da €5.000 a €25.000 […]".

E' un delitto contro il patrimonio che, come per i reati affini di ricettazione ex art.648, reimpiego ex art. 648-ter e autoriciclaggio ex art. 648-ter.1, nel corso del tempo ha subito modifiche. Si tratta di fattispecie rivisitate infatti anche sotto la spinta della Direttiva UE 2018/1673, che ha inoltre 'preteso' che venisse 'ampliata la gamma' dei reati presupposto anche alle contravvenzioni e ai delitti colposi.

Un cambiamento del codice penale necessario soprattutto in merito all'accertamento degli illeciti; modifiche infatti dovute anche all'"evoluzione" degli illeciti stessi.

Il diritto penale insegue i tempi del progresso tecnologico

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Modifiche necessarie infatti per impedire, contrastare illeciti in 'continua evoluzione', con la 'complicità' del progresso tecnologico, informatico, e di tutte quelle scienze che possono essere d'aiuto, per agevolare l'ingiusto profitto; e di supporto per mascherare, dissimulare, occultare, osteggiare la realizzazione di un reato e/o comunque la traccia dei proventi ottenuti tramite fatti illeciti "pregressi".

Un progresso che sotto l'aspetto della repressione dei reati deve essere inseguito dal diritto penale per attuare anche la funzione preventiva, per non restare indietro, per stare al passo con i tempi e allo stesso tempo però non ledere comunque il principio di legalità in generale che caratterizza uno Stato di diritto.

Riciclaggio "prestare" il conto corrente per occultare denaro illecito

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Con sentenza n. 29346 del 06/7/2023 la II Sez. pen. della Cassazione ha affermato che "mettere a disposizione il proprio conto corrente per ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa" equivale ad attività di riciclaggio.

Il ricorso che ha dato luogo alla sentenza de qua era volto alla riqualificazione del reato di riciclaggio.

I ricorrenti infatti contestavano l'addebito ex art. 648 bis c.p. e ne chiedevano la riqualificazione in delitto di frode informatica ex art.648 ter, quale reato presupposto al reato di riciclaggio contestatogli perché, secondo la loro percezione, la loro condotta avrebbe dato luogo all'"ingiusto profitto", elemento costitutivo della frode in questione.

Ma dai fatti emersi nel giudizio di merito i ricorrenti erano stati invece protagonisti nella fase successiva al reato presupposto, ovvero alla frode; fase che si era concretizzata con l'attività di riciclaggio, materializzando gli estremi del reato ex art. 648 bis c.p., 'prestando', mettendo a disposizione quindi, il proprio conto corrente al fine di farvi transitare bonifici bancari per 'ripulire' il denaro frutto della frode informatica; pertanto si erano adoperati - solo in un secondo momento - e solo per far perdere le tracce della provenienza illecita del denaro ricavato ingiustamente dalla frode.

Dalle considerazioni in fatto gli Ermellini così puntualizzano: "Gli autori dei delitti presupposto avevano autonomamente conseguito il profitto del loro reato, così che la successiva operazione di immissione del denaro sui conti correnti degli imputati è una condotta oggettivamente ulteriore e successiva, idonea a configurare il reato di riciclaggio" chiarimento questo che viene esplicato ulteriormente dalla Suprema Corte specificando che "integra il reato di riciclaggio la condotta di chi, senza aver concorso nel delitto presupposto, metta a disposizione il proprio conto corrente per ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa del reato da altri precedentemente ricavato quale profitto conseguito del reato di frode informatica, consentendone il trasferimento tramite bonifici bancari".

Le condotte del "reato di partenza", ovvero del reato presupposto e del reato successivo a quest'ultimo, risultavano autonome, sviluppatesi di fatto in un susseguirsi di azioni che seppur sequenziali risultavano appunto distinte e differenti in cui gli autori del reato di riciclaggio risultavano pertanto estranei - anche in forma di concorso - alle condotte poste in essere per la consumazione del reato di frode informatica.

La Corte nelle considerazioni in fatto premette invero che "al fine di risolvere la questione della qualificazione giuridica occorre guardare al fatto, così come descritto nell'imputazione e cristallizzatosi nel giudizio, con particolare riguardo alle modalità della condotta, non contestate dai ricorrenti".

Si macchia pertanto di riciclaggio ex art. 648 bis chi pur essendo estraneo al reato presupposto - reato che dà luogo alla produzione della somma di denaro o altre utilità - poi immette questi ultimi nel mercato in 'forma ripulita', al fine di far perdere le tracce della provenienza illecita, 'sporca'.

Trattandosi di un reato a forma libera, nel reato di riciclaggio, non vi è un vincolo nella condotta, la quale può espletarsi in qualsiasi forma, purché espressa nella sostituzione o trasformazione o nel compiere comunque altre operazioni, attività su capitali illeciti. Il fine è quello di dissimulare, di occultare, di far perdere le tracce di tali proventi illeciti, "sporchi" e "mescolarli" nel "mercato lecito", rimpiazzarli cioè in 'denaro pulito'.

Il dolo è generico essendo sufficiente per caratterizzarsi il reato de quo, la coscienza e volontà di compiere azioni contrarie al dettame della norma incriminatrice.

La Suprema Corte respinge i ricorsi e dichiara pertanto - sulla base delle considerazioni suesposte - la manifesta infondatezza degli stessi, condannando i ricorrenti "al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità" di una somma in favore della Cassa delle ammende.

Non può stupire in conclusione la soluzione della Suprema Corte: visto che non si poteva "riqualificare" e pertanto imputare in capo ai ricorrenti, nemmeno a titolo di concorso, il reato presupposto della frode, in quanto non commesso dagli stessi, entrati in azione successivamente alla consumazione della frode, in qualità di proprietari "soltanto" del conto corrente "prestato".


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