"In materia disciplinare, l'assenza o il risarcimento di un danno derivante da una condotta deontologicamente rilevante non ne fa venir meno l'illiceità (posto che il fine del procedimento disciplinare è quello di salvaguardare il decoro e la dignità dell'intera classe forense mediante la repressione di ogni condotta che sia contraria ai doveri imposti dalla legge), ma può essere valutato dall'organo disciplinare solo ai fini della commisurazione della relativa sanzione". E' quanto ha affermato il Consiglio Nazionale Forense nella sentenza n. 212/2023 pubblicata sul sito del Codice deontologico (sotto allegata), rigettando il ricorso di un avvocato avverso la decisione del Consiglio Distrettuale di Disciplina di L'Aquila, che gli aveva inflitto la sanzione disciplinare della censura.
A dire dell'incolpato, sottoposto a procedimento disciplinare per violazione dell'obbligo di informazione circa lo svolgimento del mandato, gli illeciti contestati erano insussistenti, posto che il mancato esercizio dell'azione civile in sede penale non aveva procurato alcun danno alla propria assistita.
Ma il CNF non è d'accordo. Intanto, "ai fini della sussistenza dell'illecito disciplinare - rammenta il Consiglio - è sufficiente la volontarietà del comportamento dell'incolpato e, quindi, sotto il profilo soggettivo, è sufficiente la 'suitas' della condotta intesa come volontà consapevole dell'atto che si compie, dovendo la coscienza e volontà essere interpretata in rapporto alla possibilità di esercitare sul proprio comportamento un controllo finalistico e, quindi, dominarlo. L'evitabilità della condotta, pertanto, delinea la soglia minima della sua attribuibilità al soggetto, intesa come appartenenza della condotta al soggetto stesso, a nulla rilevando la ritenuta sussistenza da parte del professionista di una causa di giustificazione o non punibilità (In senso conforme, tra le altre, per tutte Consiglio Nazionale Forense, sentenza del 21 novembre 2017, n. 181, Consiglio Nazionale Forense sentenza del 12 luglio 2016, n. 192)".
Quanto alla circostanza che, a dire del ricorrente, non si siano prodotti danni a carico della esponente, conclude il CNF, "non è utile a far venire meno l'illiceità della condotta in quanto il fine della del procedimento ha quale obiettivo quello di salvaguardare il decoro e la dignità della classe forense (così Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 249 del 28 dicembre 2020)".
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