I criteri di cui all'articolo 5, comma 6, in esame costituiscono, nel loro complesso, il parametro di riferimento tanto della valutazione relativa all'an debeatur quanto di quella relativa al quantum debeatur: l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi economici a disposizione del richiedente, prescritto ai fini della prima operazione, deve aver luogo mediante una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti che tenga conto anche del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all'eta' dello avente diritto, tutto cio' in conformita' della funzione non solo assistenziale, ma anche compensativa e perequativa dell'assegno divorzile, discendente direttamente dal principio costituzionale di solidarieta'.
In definitiva e' necessario operare una verifica causalmente collegata alla valutazione degli altri indicatori contenuti nella prima parte del citato articolo 5, comma 6, proprio al fine di accertare se l'eventuale rilevante disparita' della situazione economico-patrimoniale degli ex coniugi, all'atto dello scioglimento del vincolo, sia dipendente dalle scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio, con il sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti in funzione del ruolo svolto all'interno della famiglia, "in relazione alla durata, fattore di cruciale importanza nella valutazione del contributo di ciascun coniuge alla formazione del patrimonio comune e/o del patrimonio dell'altro coniuge".
Le Sezioni unite del 2018 hanno evidenziato come "l'autoresponsabilita' - cui nella sentenza della Prima civile del 2017 si era dato centrale rilievo - deve infatti percorrere tutta la storia della vita matrimoniale e non comparire solo al momento della sua fine: dal primo momento di autoresponsabilita' della coppia, quando all'inizio del matrimonio (o dell'unione civile) concordano tra loro le scelte fondamentali su come organizzarla e le principali regole che la governeranno; alle varie fasi successive, quando le scelte iniziali vengono piu' volte ridiscusse ed eventualmente modificate, restando l'autoresponsabilita' pur sempre di coppia.
Quando poi la relazione di coppia giunge alla fine, l'autoresponsabilita' diventa individuale, di ciascuna delle due parti: entrambe sono tenute a procurarsi i mezzi che permettano a ciascuno di vivere in autonomia e con dignita', anche quella piu' debole economicamente. Ma non si puo' prescindere da quanto avvenuto prima dando al principio di autoresponsabilita' un'importanza decisiva solo in questa fase, ove finisce per essere applicato principalmente a danno della parte piu' debole".In relazione al criterio specifico della durata del matrimonio, posto dalla legge n. 898/1970, art. 5, comma 6, quale "filtro" attraverso cui vagliare gli altri parametri indicati dalla norma, a fronte di un risalente orientamento secondo cui il criterio della durata del matrimonio poteva implicare l'azzeramento totale dell'assegno in casi eccezionali di brevissima durata del matrimonio (Sez. 1, Sentenza n. 7295 del 22/03/2013 relativa ad un matrimonio nel quale vi erano stati solo dieci giorni di convivenza e in cui erano passati meno di cento giorni tra la celebrazione del matrimonio e la separazione; Cass. n. 6164/2015), nella sentenza delle Sezioni Unite del 2018, si sono approfondite le ragioni in forza delle quali il criterio della "durata del matrimonio" ha la "cruciale importanza" riconosciuta nella pronuncia, precisandosi, come gia' detto, come la durata del vincolo non assume piu' rilievo solo ai fini della quantificazione dell'assegno, ma viene in considerazione, unitamente agli altri criteri, anche ai fini dell'accertamento del relativo diritto.
Come ribadito nella successiva sentenza n. 9004/2021 delle stesse Sezioni Unite, "tale accertamento non inerisce all'atto costitutivo del vincolo coniugale, ma allo svolgimento di quest'ultimo nella sua effettivita', contrassegnata dalle vicende concretamente affrontate dai coniugi come singoli e dal nucleo familiare nel suo complesso, anche nella loro dimensione economica, la cui valutazione trova fondamento, a livello normativo, nei criteri indicati dalla legge n. 898/1970, art. 5, comma 6, ai fini dell'accertamento della spettanza e della liquidazione dell'assegno".
L'arresto del 2018 delle Sezioni Unite ha poi evidenziato come "alla pluralita' di modelli familiari consegue una molteplicita' di situazioni personali conseguenti allo scioglimento del vincolo" (pluralita' di modelli familiari tra i quali rientra, pacificamente, anche quello delle unioni civili).
Nella successiva ordinanza del 30 agosto 2019, n. 21926, questa Corte ha ribadito che l'assegno di divorzio ha una funzione assistenziale, ma parimenti anche compensativa e perequativa, come indicato dalle Sezioni Unite, e presuppone l'accertamento di uno squilibrio effettivo e di non modesta entita' delle condizioni economiche patrimoniali delle parti, riconducibile in via esclusiva o prevalente alle scelte comuni di conduzione della vita familiare, alla definizione dei ruoli dei componenti della coppia coniugata, al sacrificio delle aspettative lavorative e professionali di uno dei coniugi.
Sul tema della pariordinazione dei criteri di cui alla alla legge n. 898/1970, art. 5, comma 6, si sofferma poi Cass. n. 4215/2021, a mente della quale, posto che l'assegno divorzile svolge una funzione sia assistenziale che perequativa e compensativa, il giudice: a) attribuisce e quantifica l'assegno alla stregua dei parametri pari ordinati di cui all'articolo 5, 6 comma, prima parte, tenuto conto dei canoni enucleati dalle Sezioni Unite del 2018, prescindendo dal tenore di vita godibile durante il matrimonio; b) procede pertanto ad una complessiva ponderazione "dell'intera storia familiare", in relazione al contesto specifico; in particolare, atteso che l'assegno deve assicurare all'ex coniuge richiedente - anche sotto il profilo della prognosi futura - un livello reddituale adeguato allo specifico contributo dallo stesso fornito alla realizzazione della vita familiare e alla creazione del patrimonio comune e/o personale dell'altro coniuge, accerta previamente non solo se sussista uno squilibrio economico tra le parti, ma anche se esso sia riconducibile alle scelte comuni di conduzione della vita familiare, alla definizione dei ruoli all'interno della coppia e al sacrificio delle aspettative di lavoro di uno dei due; verifica, infine, se siffatto contributo sia stato gia' in tutto o in parte altrimenti compensato, fermo che, nel patrimonio del coniuge richiedente, l'assegno non devono computarsi anche gli importi dell'assegno di separazione, percepiti dal medesimo in unica soluzione, in forza di azione esecutiva svolta con successo, in ragione dell'inadempimento dell'altro coniuge.
La sentenza delle Sezioni Unite del 5.11.2021 n. 32198, dopo aver chiarito l'impossibilita' di applicare analogicamente l'articolo 5, comma 10, della legge sul divorzio (che prevede l'estinzione automatica dell'assegno quando il soggetto richiedente passi a "nuove nozze"), ha affermato che l'instaurazione da parte dell'ex coniuge di una stabile convivenza di fatto, giudizialmente accertata, incide sul diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio o alla sua revisione, nonche' sulla quantificazione del suo ammontare, in virtu' del progetto di vita intrapreso con il terzo e dei reciproci doveri di assistenza morale e materiale che ne derivano, ma non determina necessariamente la perdita "automatica" ed integrale del diritto all'assegno in relazione alla sua componente compensativa. Nella suddetta decisione, per quel che rileva ai fini della questione in esame, le Sezioni Unite (al punto 24 e 24.1.) hanno precisato che "la considerazione del contributo dato da ciascun coniuge durante la comunione familiare, in funzione retributivo-compensativa, serve ad evitare, come segnalato da attenta dottrina, equivoci, condizionamento e commistioni rispetto alle successive opzioni esistenziali dell'interessato, assicurandogli, nel reale rispetto della sua dignita', il riconoscimento degli apporti e dei sacrifici personali profusi nello svolgimento della (ormai definitivamente conclusa) esperienza coniugale". Laddove, pertanto, in caso di nuova convivenza si puo' giustificare il venir meno della componente assistenziale dell'assegno, a diverse conclusioni deve giungersi per la componente compensativa: in presenza del presupposto indefettibile della mancanza di mezzi adeguati ed a fronte della prova del "comprovato emergere di un contributo, dato dal coniuge debole con le sue scelte personali e condivise in favore della famiglia, alle fortune familiari e al patrimonio dell'altro coniuge" (che rimarrebbe ingiustamente sacrificato se si aderisse alla tesi della caducazione integrale del diritto all'assegno), il coniuge beneficiario non perde automaticamente il diritto all'assegno (che potra' essere rimodulato o quantificato, in sede di giudizio per il suo riconoscimento, in funzione della sola componente compensativa). Nella decisione, la Corte di Cassazione si sofferma sulla questione dell'interferenza tra i vari modelli familiari, per affermare che "l'instaurazione di una nuova convivenza stabile... comporta la formazione di un nuovo progetto di vita con il nuovo compagno o la nuova compagna, dai quali si ha diritto di pretendere, finche' permane la convivenza, un impegno dal quale possono derivare contribuzioni economiche che non rilevano piu' per l'ordinamento solo quali adempimento di una obbligazione naturale, ma costituiscono, dopo la regolamentazione normativa delle convivenze di fatto, anche l'adempimento di un reciproco e garantito dovere di assistenza morale e materiale".Le Sezioni Unite hanno sottolineato come la situazione di convivenza non sia "pienamente assimilabile al matrimonio" (ne' sotto il profilo della, almeno tendenziale, stabilita', ne' tanto meno sotto il profilo delle tutele che offre al convivente, nella fase fisiologica e soprattutto nella fase patologica del rapporto) e che le situazioni "eterogenee sul piano del diritto positivo" e le diverse regolamentazioni dei due istituti (che non consentono il ricorso all'analogia) giustificano la diversa disciplina e, in particolare, la caducazione del diritto all'assegno di divorzio solo in caso di successivo matrimonio dell'avente diritto, ma non in presenza di una sua stabile convivenza.
Un ultimo richiamo giurisprudenziale (sollecitato anche dalla questione posta dal controricorrente, nel presente giudizio, esposta al par. 3) attiene al riferimento, ai fini del riconoscimento dell'assegno divorzile, alla durata del rapporto di coniugio, intesa non come limitata alla durata effettiva della convivenza, con esclusione del periodo di separazione personale tra i coniugi.
I criteri previsti dalla l. n. 898/1970, art. 5, comma 6, ai fini dell'attribuzione e della quantificazione dell'assegno dovuto all'ex coniuge, devono trovare applicazione in riferimento all'intera durata del vincolo matrimoniale, anziche' a quella effettiva della convivenza, dovendosi in particolare comprendere, nella nozione di contributo fornito da ciascuno dei coniugi alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di entrambi, non solo quello offerto nel periodo della convivenza (coniugale), ma anche quello prestato in regime di separazione, soprattutto per quanto riguarda il mantenimento, l'istruzione e l'educazione dei figli (cfr. Cass., Sez. I, 7/11/1981, n. 5874; 29/05/1978, n. 2684).
Il principio, affermato in risalenti pronunce, e' stato pacificamente applicato ma ha assunto recentemente particolare rilievo all'indomani dell'arresto delle Sezioni Unite del 2018, in quanto, nel nuovo contesto interpretativo della L.div., articolo 5, la durata del vincolo coniugale non assume piu' rilievo esclusivamente ai fini della quantificazione dell'assegno, come ritenuto in precedenza, ma viene in considerazione, unitamente agli altri criteri, anche ai fini dell'accertamento del relativo diritto, e cio' puo' quindi giustificarne l'esclusione, ove, per la sua brevita', non abbia consentito la prestazione di un significativo contributo o il sacrificio di apprezzabili aspettative professionali da parte del richiedente: anche in passato, d'altronde, la precoce interruzione della convivenza veniva ritenuta idonea a giustificare l'azzeramento dell'importo dell'assegno, nei casi eccezionali in cui avesse impedito l'instaurazione di una comunione materiale e spirituale tra i coniugi, e quindi il consolidamento di un comune tenore di vita (cfr. Cass. n. 6164/2015; Cass. n. 7295/2013; Cass. n. 8233/2000).
Riguardo ai temi della violazione dei doveri del matrimonio e della conseguente responsabilita' civile nell'ambito dei rapporti coniugali e familiari nonche' del rapporto tra convivenza e matrimonio, con riferimento agli obblighi gravanti sui coniugi, la Corte, nella sentenza n. 9801 del 2005 (cosi' massimata: "Il rispetto della dignita' e della personalita', nella sua interezza, di ogni componente del nucleo familiare assume il connotato di un diritto inviolabile, la cui lesione da parte di altro componente della famiglia costituisce il presupposto logico della responsabilita' civile, non potendo da un lato ritenersi che diritti definiti inviolabili ricevano diversa tutela a seconda che i titolari si pongano o meno all'interno di un contesto familiare (e cio' considerato che la famiglia e' luogo di incontro e di vita comune nel quale la personalita' di ogni individuo si esprime, si sviluppa e si realizza attraverso l'instaurazione di reciproche relazioni di affetto e di solidarieta', non gia' sede di compressione e di mortificazione di diritti irrinunciabili); e dovendo dall'altro lato escludersi che la violazione dei doveri nascenti dal matrimonio - se ed in quanto posta in essere attraverso condotte che, per la loro intrinseca gravita', si pongano come fatti di aggressione ai diritti fondamentali della persona - riceva la propria sanzione, in nome di una presunta specificita', completezza ed autosufficienza del diritto di famiglia, esclusivamente nelle misure tipiche previste da tale branca del diritto (quali la separazione e il divorzio, l'addebito della separazione, la sospensione del diritto all'assistenza morale e materiale nel caso di allontanamento senza giusta causa dalla residenza familiare), dovendosi invece predicare una strutturale compatibilita' degli istituti del diritto di famiglia con la tutela generale dei diritti costituzionalmente garantiti, con la conseguente, concorrente rilevanza di un dato comportamento sia ai fini della separazione o della cessazione del vincolo coniugale e delle pertinenti statuizioni di natura patrimoniale, sia (e sempre che ricorrano le sopra dette caratteristiche di gravita') quale fatto generatore di responsabilita' aquiliana. E siccome l'intensita' dei doveri derivanti dal matrimonio, segnati da inderogabilita' ed indisponibilita', non puo' non riflettersi sui rapporti tra le parti nella fase precedente il matrimonio, imponendo loro - pur in mancanza, allo stato, di un vincolo coniugale, ma nella prospettiva di tale vincolo - un obbligo di lealta', di correttezza e di solidarieta', sostanziantesi anche in un obbligo di informazione di ogni circostanza inerente alle proprie condizioni psicofisiche e di ogni situazione idonea a compromettere la comunione materiale e spirituale alla quale il matrimonio e' rivolto, e' configurabile un danno ingiusto risarcibile allorche' l'omessa informazione, in violazione dell'obbligo di lealta', da parte del marito, prima delle nozze, della propria incapacita' coeundi a causa di una malformazione, da lui pienamente conosciuta, induca la donna a contrarre un matrimonio che, ove informata, ella avrebbe rifiutato, cosi' ledendo quest'ultima nel suo diritto alla sessualita', in se' e nella sua proiezione verso la procreazione, che costituisce una dimensione fondamentale della persona ed una delle finalita' del matrimonio"), ha, in particolare, affermato, in una fattispecie nella quale il futuro coniuge aveva celato all'altro una patologia che impediva lo svolgimento di una normale vita coniugale, che "l'intensita' dei doveri derivanti dal matrimonio, segnati da inderogabilita' ed indisponibilita', non puo' non riflettersi sui rapporti tra le parti nella fase precedente il matrimonio, imponendo loro - pur in mancanza, allo stato, di un vincolo coniugale, ma nella prospettiva della costituzione di tale vincolo - un obbligo di lealta', di correttezza e di solidarieta'".
Nella decisione si e' evidenziato come "nel sistema delineato dal legislatore del 1975, il modello di famiglia-istituzione, al quale il codice civile del 1942 era rimasto ancorato, e' stato superato da quello di famiglia - comunita', i cui interessi non si pongono su un piano sovraordinato, ma si identificano con quelli solidali dei suoi componenti. La famiglia si configura ora come il luogo di incontro e di vita comune dei suoi membri, tra i quali si stabiliscono relazioni di affetto e di solidarieta' riferibili a ciascuno di essi".