Le valutazioni delle corti di merito
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Una recente decisione della Corte di cassazione (ordinanza n. 33939/2023), se da una parte appare relativamente condivisibile nei contenuti (quanto meno non nuovi), e quindi non meritevole di commento, tuttavia presenta spunti di notevole interesse per quanto riguarda la struttura formale del ragionamento con la quale viene costruita e, di conseguenza, per i principi di diritto che sottintende.
La problematica è di frequente ricorrenza. In sintesi, ad una figlia maggiorenne studentessa universitaria, la madre, già genitore collocatario, procura un alloggio nella sede dove è iscritta senza concordare l'iniziativa con il padre, al quale rimette per la di lui parte l'onere per il canone di locazione, aggiungendo anche le spese per un soggiorno di studio all'estero, le spese mediche e la retta di un corso di equitazione. Questi si oppone, risultando sconfitto sia in primo che in secondo grado così da dover ricorrere alla Suprema Corte. In particolare, il Tribunale di Treviso accolse parzialmente la domanda, limitando il rimborso al costo per la locazione dell'alloggio universitario e per il corso di equitazione. Quanto alla Corte di Appello di Venezia, questa ebbe a dichiarare che: "l'effettuazione delle stesse [spese] non richiede la previa informazione o concertazione con l'altro genitore, il quale può rifiutarne il rimborso soltanto nel caso in cui non rispondano all'interesse del figlio o risultino incompatibili con le sue condizioni economiche".
Una decisione sconcertante, non tanto per l'applicazione al caso particolare, poiché in caso di disaccordo comunque la decisione deve essere rimessa a un soggetto terzo, ovvero al giudice - e le conclusioni alle quali arriva non possono essere oggetto di discussione - quanto per il principio di diritto enunciato, che non considera che esonerare il genitore che intende effettuare una certa spesa dall'obbligo di darne informazione preventiva all'altro significa impedirgli in assoluto di esprimere la propria opinione, magari suggerendo modulazioni della scelta che potrebbero renderla più valida ed efficace. Le condizioni di ammissibilità della contestazione non rispettano, a parere di chi scrive, un aspetto sostanziale del diritto-dovere in capo a ciascuno dei genitori che attiene alla funzione educante di ciascun genitore; a prescindere dalla compatibilità con le risorse e dalla plausibilità di per sé della spesa.
Non esiste, infatti, solamente la misura di un investimento, ma anche la modalità con la quale lo si effettua.
L'intervento della Suprema Corte
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Quel padre, dunque, si rivolge alla Corte di cassazione. Salta agli occhi, tuttavia, che neppure lui sembra avere idee chiare in merito ai propri diritti e doveri, poiché sviluppa i propri argomenti mescolandoli in modo ambiguo e contraddittorio, circostanza che la Corte giustamente rileva.
Afferma infatti che la spesa per l'alloggio universitario non può essere considerato spesa straordinaria in quanto prevedibile e non necessaria. Ma al tempo stesso sostiene che la sua effettuazione debba essere rimessa alla valutazione del giudice, cosa che avviene proprio per la categoria delle spese straordinarie contestate, che lui esclude. Con ancor maggiore autolesionismo, definisce se stesso "genitore non convivente" classificazione per lui decisamente penalizzante e di regola impropria per un figlio che ha appena raggiunto la maggiore età dopo un affidamento condiviso, nel momento in cui sostiene che "Il genitore non convivente dev'essere posto in grado di esprimere la propria opinione al riguardo … "Resta il fatto, comunque, che se, la decisione della Corte di Appello appare discutibile ancora più profondo è il dissenso rispetto alle valutazioni della Suprema Corte e a ciò che implicitamente se ne deduce. Questa inizia richiamando la decisione del secondo grado, che riesce plausibilmente a confermare grazie al fatto che nel primo passaggio la cita in modo diverso da come è stata formulata, ovvero riducendone la portata grazie ad una maggiore precisazione delle circostanze: "la sentenza impugnata si è attenuta all'orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità in tema di spese straordinarie sostenute nell'interesse dei figli secondo cui il genitore convivente non è tenuto a concordare preventivamente e ad informare l'altro genitore di tutte le scelte dalle quali derivino tali spese, qualora si tratti di spese sostanzialmente certe nel loro ordinario e prevedibile ripetersi e riguardanti esigenze destinate a ripetersi con regolarità, ancorché non predeterminabili nel loro ammontare (come ad esempio le spese scolastiche e le spese mediche ordinarie), giacché il preventivo accordo è richiesto soltanto per quelle spese straordinarie che per rilevanza, imprevedibilità ed imponderabilità esulano dall'ordinario regime di vita della prole". Una sintesi che - a prescindere dall'ormai inveterato riferimento alla sola modalità del mantenimento indiretto, senza divisione degli oneri per capitoli di spesa - nella quale appare sconcertante la discriminazione fra genitore "convivente" e "non convivente", della quale non è dato sapere se fosse già presente nel provvedimento di appello. Tuttavia ogni dubbio viene spazzato via da quanto la Suprema Corte sostiene più avanti in prima persona sposando alla lettera l'enunciato della Corte di Venezia. Difatti, dopo avere riportato la relativa tesi si sofferma a rammentare vari risalenti precedenti di legittimità ai quali aggiunge una recentissima pronuncia ((cfr. Cass., Sez. I, 10/07/2023, n. 19532) che la conducono ad una adesione completa alla tesi del diritto al rimborso per uno solo dei genitori: "la mancanza di un preventivo accordo con l'altro genitore o il dissenso da quest'ultimo manifestato in ordine alla loro effettuazione non esclude il diritto al rimborso del genitore collocatario".
Con l'unico limite della "conformità della scelta compiuta all'interesse della prole e dell'adeguatezza della stessa allo standard socio-economico della vita familiare".
Motivi di perplessità
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Una affermazione nella quale alla discutibilità dei contenuti si sommano le non secondarie perplessità destate dall'attribuzione al solo genitore collocatario (figura che peraltro in regime condiviso neppure dovrebbe esistere) di facoltà speciali negate all'altro genitore. E non meno degna di nota è l'estensione all'intero insieme dei figli di genitori separati, a prescindere dalla loro età e status, di ciò che, al limite, poteva avere senso per i soli figli maggiorenni che avessero fatto una scelta dichiarata e completa a favore della convivenza con un solo genitore. Si noti infatti che il soggetto qui coinvolto, una studentessa universitaria, non poteva avere che una maggiore età. Ma la Cassazione non si ferma a quel caso ed estende la tesi all'intero universo dei figli di genitori separati.
In definitiva, si tratta, in effetti, della conferma di una antica e non superata affezione degli Ermellini (ma non solo) per il modello monogenitoriale, una sorta di Idra le cui teste risulta impossibile, o inutile, tagliare, visto che il sistema legale, con la magistratura in primis, le fa rispuntare nelle più impensate occasioni.
Una constatazione oggi ancor più dolorosa, rammentando alcuni apprezzabili recenti riconoscimenti degli aspetti che concretamente caratterizzano la bigenitorialità (Cass. 26685/2023 e Cass. 29387/2023), provvedimenti che avevano destato entusiasmo, ma che pronunce come l'ordinanza qui esaminata costringe a considerare né affidabili né indicativi di un cambiamento di rotta.
Il che conduce ad invocare che quanto prima il Parlamento voglia porre mano alla materia e dettare una formulazione ineludibile dei diritti dei figli di genitori separati.
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