La ratio delle incompatibilità per la professione di avvocato secondo le sezioni unite della Cassazione

"Fatte salve eccezioni espresse, l'art. 18 della legge professionale forense riconduce le varie ipotesi di incompatibilità della professione di avvocato sostanzialmente a quattro gruppi: l'esercizio di altra attività di lavoro autonomo (lettera a); l'attività commerciale (lettera b); l'assunzione di cariche societarie (lettera c); l'attività di lavoro subordinato (lettera d)". Lo hanno precisato le Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza n. 35981/2023.

Ratio delle incompatibilità della professione di avvocato previste dalla legge professionale è quella di "tutelare, assicurare e garantire l'autonomia e l'indipendenza dell'avvocato, anche per evitare condizionamenti di qualunque genere, al fine di permettere al professionista di svolgere la funzione di assicurare al cittadino la piena ed effettiva tutela dei suoi diritti e ciò in considerazione del rilievo costituzionale del diritto di difesa. Inoltre, la norma sulla incompatibilità è preordinata anche ad assicurare lo svolgimento della professione nel rispetto dei principi sulla corretta e leale concorrenza, come previsto dall'art. 3, comma 2, legge professionale".

Pertanto, la sussistenza di una delle cause di incompatibilità "determina la non iscrizione o, se si tratta di professionista già iscritto, la cancellazione dall'albo, salvo le eventuali violazioni di natura deontologica connesse e conseguenti".

Inoltre, un'altra importante ricaduta, derivante dall'esercizio della professione forense in situazione di incompatibilità, "è l'impossibilità di costituire un valido rapporto previdenziale con la Cassa Forense, con il conseguente venir meno di diritti del soggetto, illegittimamente iscritto, in riferimento al rapporto previdenziale, anche se l'incompatibilità non dovesse essere accertata".


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