"In materia di separazione e di divorzio, l'assegnazione della casa familiare, malgrado abbia anche riflessi economici, particolarmente valorizzati dalla L. n. 898 del 1970, art. 6, comma 6 (come sostituito dalla L. n. 74 del 1987, art. 11), risulta finalizzata alla esclusiva tutela della prole e dell'interesse di questa a permanere nell'ambiente domestico in cui è cresciuta e non può essere disposta, come se fosse una componente degli assegni rispettivamente previsti dagli artt. 156 cod. civ. e L. n. 898 del 1970, art. 5, allo scopo di sopperire all'esigenze economiche del coniuge più debole, alle quali sono destinati unicamente gli assegni sopra indicati; pertanto, la concessione del beneficio in parola resta subordinata all'imprescindibile presupposto dell'affidamento di figli minori o della convivenza con figli maggiorenni ad economicamente non autosufficienti". È questo il principio ricavabile dalla lettura di una recente Sentenza della Corte di Cassazione (n. 10994/2007) con la quale i giudici, tornando a pronunciarsi in tema di assegnazione della casa familiare, hanno confermato un consolidato orientamento giurisprudenziale respingendo il ricorso proposto da una donna cui veniva revocata l'assegnazione della casa familiare essendo convivente con un figlio che, sebbene in condizioni di turbamento psichico, era economicamente indipendente.
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