Assegnazione e revoca casa coniugale
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Il d.lgs. 28.12.13 n. 154, all'articolo 55 disciplina l'assegnazione e la revoca della casa coniugale in caso di separazione, scioglimento e cessazione degli effetti civili del matrimonio, annullamento, nullità o procedimenti relativi a figli nati fuori dal matrimonio.
La giurisprudenza ha più volte chiarito che è interesse dei figli, minori o maggiorenni non economicamente indipendenti conviventi, mantenere il medesimo habitat goduto in costanza del matrimonio dei genitori. È intorno all'interesse che ruotano le sorti della casa coniugale, a prescindere dalla proprietà della stessa, dalle condizioni economiche di chi la debba lasciare e dalle conseguenze che dal provvedimento derivino. All'assegnazione non può procedersi in mancanza di figli minori o maggiori non economicamente autosufficienti.
Dell'assegnazione il giudice tiene conto in sede di regolazione dei rapporti economici tra genitori considerando l'eventuale titolo di proprietà, il che comporta che nella quantificazione dell'assegno di mantenimento a favore dei figli verrà valutato il godimento della casa coniugale da parte dell'altro genitore, soprattutto qualora l'immobile sia di proprietà del genitore obbligato al mantenimento.
I diritti dei terzi
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In nome dell'interesse dei figli minori o maggiori non economicamente indipendenti vengono sacrificati anche i diritti di terzi. Si pensi al caso in cui la casa familiare sia di proprietà di terzi quali i genitori della coppia genitoriale, che l'hanno concessa in comodato al figlio al momento della costituzione della nuova famiglia o all'ipotesi in cui i terzi creditori dell'uno o dell'altro genitore vorrebbero far valere i loro diritti sulla casa coniugale che potrebbe costituire l'unico bene del debitore.I terzi non potranno ottenere la restituzione del bene concesso in comodato ovvero aggredire il bene del debitore ed i loro diritti dovranno necessariamente "arretrare" di fronte all'interesse dei figli ed al provvedimento di assegnazione della casa coniugale.
Le Corti di merito e la Corte di Cassazione sono state diverse volte chiamate a dirimere il contrasto tra terzi comodanti e creditori e l'assegnatario della casa coniugale e si può affermare che si siano in punto cristallizzati principi giurisprudenziali ormai consolidati.
Per quanto concerne il comodato, più volte, si è precisato che quando un terzo abbia concesso in comodato un bene immobile di sua proprietà perché sia destinato a casa familiare, il successivo provvedimento, pronunciato nel giudizio di separazione o divorzio, di assegnazione in favore del coniuge affidatario di figli minorenni o convivente con figli maggiorenni non economicamente indipendenti, non modifica né la natura né il titolo di godimento dell'immobile.
Il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa coniugale, idoneo ad escludere uno dei coniugi dall'utilizzazione in atto ed a concentrare il godimento del bene in favore della persona dell'assegnatario resta regolato dalla disciplina del comodato negli stessi limiti che segnavano il godimento da parte della comunità domestica nella fase fisiologica della vita di coppia.
Comodato a termine
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La giurisprudenza è costante nell'affermare che il comodato che abbia ad oggetto un immobile destinato a casa familiare rientri nel comodato a termine, anche se le parti non abbiamo espressamente indicato una "scadenza". L'inquadramento della fattispecie nell'ambito del comodato a termine comporta che i titolari del bene non possono chiederne la restituzione ad nutum, ma, al contrario, devono dimostrare un bisogno urgente.
Pertanto, il proprietario (comodante) può ottenere la restituzione del bene nel caso la sua situazione economica vada peggiorando; infatti, in tale circostanza, egli può optare per la vendita o per una redditizia locazione (Cass. 17332/2018).
Secondo la Cassazione quindi, anche se le parti non indicano espressamente un temine, deve ritenersi che sussista un termine implicito. Infatti, la circostanza che la casa sia destinata al soddisfacimento delle esigenze abitative determina un vincolo di destinazione che conferisce all'immobile un termine implicito. Il fatto che il vincolo matrimoniale venga meno, non incide sulla durata del comodato, considerato che il termine non può considerarsi sciolto per effetto della crisi coniugale (Cass. S.U. 20448/2014).
Si sostiene che per effetto della concorde volontà delle parti di concedere in uso un'abitazione ad una coppia di partner, si è impresso al comodato un vincolo di destinazione (comodato di scopo) alle esigenze abitative familiari idoneo a conferire all'uso - cui la cosa deve essere destinata - il carattere implicito della durata del rapporto anche oltre l'eventuale crisi familiare e senza la possibilità di far dipendere la cessazione del vincolo esclusivamente dalla volontà ad nutum del comodante.
L' art. 337-sexies c.c.6 prevede che il provvedimento di assegnazione della casa coniugale sia trascrivibile ed opponibile ai terzi creditori. La giurisprudenza ha precisato che l'opponibilità è nel limite del novennio qualora il provvedimento non sia stato trascritto ed anche oltre detto periodo qualora lo sia stato. Ovviamente varrà la regola della priorità nella trascrizione per cui il provvedimento non sarà opponibile ai creditori che abbiano trascritto il loro titolo in data precedente alla trascrizione del provvedimento di assegnazione. L'opponibilità varrà nei limiti in cui perdura l'efficacia della pronuncia giudiziale, per cui al venir meno del diritto al godimento del bene, il terzo potrà agire con un'azione ordinaria di accertamento al fine di conseguire la declaratoria di inefficacia del titolo. È stata invece esclusa l'opponibilità dell'assegnazione ai terzi pur in presenza di provvedimento nato da concorde richiesta delle parti ed ispirato alla volontà di tutelare il coniuge debole, ma in assenza di figli minori o maggiorenni non economicamente indipendenti.