Qualunque collettività, diciamo in ragione della sua stessa conformazione organica, abbisogna, per funzionare correttamente, di alcune strutture comuni. Si tratta di strade, fognature, telefoni, acquedotti, istruzione, sanità, ecc.: utilità che potremmo definire fisiologiche e che, per la loro natura, è appropriato e pertinente vengano gestite dalla collettività medesima e che il relativo costo (contenuto il più possibile dovendo soddisfare reali esigenze collettive) sia ripartito tra i membri di questa.
In questi ultimi anni è spesso avvenuto invece che i rappresentanti della comunità, da questa delegati a gestirne e tutelarne gli interessi e le problematiche, abbiano sovente operato all'opposto favorendo centri di interessi privato cui hanno ceduto la gestione dei servizi in questione, consentendo loro di fissarne i relativi costi (e quindi di ricavarne lauti ricavi). La società civile ne ha subito gravi danni, con aumenti vertiginosi dei costi ed un peggioramento della qualità del servizio di cui in ogni caso abbisogna.Parliamo della telefonia, dell'acqua potabile, del servizio postale, dei trasporti e delle ferrovie, delle autostrade, ecc.: tutto ora in mani private.
1.- La telefonia, oltre che potenzialmente in grado di fornire introiti di rilievo per le casse pubbliche, riveste una precisa importanza strategica per il Paese e cederla a speculatori privati, addirittura stranieri, come è successo, rappresenta un errore macroscopico.
A titolo folcloristico rammentiamo che, a suo tempo, la privatizzazione di Telecom venne definita dal Financial Time "Una rapina in pieno giorno", e questo basta a dare un'idea del livello di saggezza della relativa cessione.In dipendenza dell'ampliamento delle funzioni dei telefoni, oggi divenuti altresì portatili, questi sono diventati degli accessori indispensabili particolarmente utili soprattutto in caso di catastrofi naturali o stati di crisi o difficoltà, anche personali, come incidenti o smarrimento. In ragione di ciò, il servizio telefonico assume una rilevanza sociale fondamentale che ne impone la gestione pubblica, anche per ragioni di sicurezza, affidabilità e riservatezza. Per questi stessi motivi, tra parentesi, sarebbe molto importante che lo Stato si occupasse di realizzare un sistema operativo Internet, sicuro e affidabile, a disposizione dei cittadini.
2.- E' poi evidente che il servizio sanitario nazionale non può funzionare senza medicinali e strumentazioni idonee e delle quali sia garantita la disponibilità.
L'importanza di disporre di forniture sicure e di un adeguato livello è sottolineata da un episodio accaduto negli Usa, che dimostra quanto sia pericoloso affidare ad aziende private commesse di elevato interesse pubblico.
In piena pandemia da coronavirus, si verificò una gravissima carenza di ventilatori polmonari, essenziali per far sopravvivere i malati, specie anziani. Successe invece che la ditta incaricata della relativa fornitura, la Covidien, rinunciasse esplicitamente con la motivazione che il contratto non era sufficientemente redditizio. Capitò così che molti pazienti, rimasti senza ventilatore, persero la vita.
La fabbricazione diretta di medicinali e vaccini per il SSN consentirebbe, tra l'altro, oltre a risparmi enormi, anche elevatissimi profitti: basti controllare i bilanci delle case farmaceutiche (molte delle quali estere...) per rendersene conto. Questo fruttamento sfrenato e scandaloso del disagio dovuto a stati morbosi, oltre a essere decisamente amorale, è una balordaggine totale, che ha come unico risultato di favorire dei centri di speculazione privata.
Tra l'altro, perfino inutile osservare che l'interesse dei produttori di farmaci non è di guarire il malato, perchè in tal modo perderebbero un cliente, bensì di mantenerlo in quello stato di precarietà che gli impone di continuare a consumare medicinali. Alcune malattie sono state di proposito rese croniche.
In questo quadro, risalta l'evidente interesse della collettività di realizzare istituti di ricerca per individuare nuovi farmaci veramente efficaci e che altresì provvedano a individuare vaccini non inquinati da sostanze nocive e in grado di garantire uno stato di salute soddisfacente alle nuove generazioni.
3.- Abbiamo assistito ad una parziale privatizzazione di un altro servizio fondamentale per la società: le Poste.
Anche qui gli esiti, evidenti a chiunque, sono stati catastrofici: il servizio è addirittura quasi scomparso. Il nmero degli uffici postali è stato ridotto del 90%, creando importanti difficoltà per coloro che hanno problemi di deambulazione. Le cassette per imbucare le lettere, già normalmente presenti in tutte le strade dei centri abitati, sono scomparse. Chi deve spedire una lettera ora è costretto a camminare chilometri per trovare uno dei rari uffici rimasti. Uffici tutti collocati in miserabili locali di dimensioni minimali e privi di spazi interni, così che gli utenti debbono attendere il loro turno all'esterno, sotto la pioggia o, d'estate, con un sole cocente.
I palazzi dove erano allocati gli uffici centrali, in pieno centro e spesso di pregevole architettura, sono stati tutti venduti per favorire le speculazioni immobiliari della trasformazione in appartamenti di lusso.
I costi sono poi almeno triplicati, (al pari dei tempi di consegna). Oggi, per spedire una raccomandata si spende quanto acquistare una pizza. Risalta evidente lo scandaloso sforzo esasperato di abbattere tutti i costi e aumentare i profitti. Esattamente il contrario di ciò che dovrebbe accadere per un servizio pubblico.
4.- Situazione speculare per le ferrovie: peggioramento del servizio ed aumento dei costi. Come nelle Poste, il personale è stato ridotto a meno dell'essenziale, con pesanti conseguenze sulla sicurezza. Scomparso ovunque il Capo stazione che sorvegliava il corretto svolgimento dei servizio. Nelle piccole stazioni è più facile vincere al Lotto che trovare un addetto. Perfino le biglietterie sono state appaltate a privati.
Anche qui gli edifici di maggior pregio sono stati venduti. Si ignora dove siano finiti i relativi ricavi. Non certo nel miglioramento del servizio. A volte, spostarsi da Milano a Roma può diventare un'odissea interminabile.
5.- E ancora: i nostri vecchi fecero importanti sacrifici per costruire acquedotti e dotare così i centri urbani di acqua corrente. Nonostante un referendum popolare esplicitamente contrario, l'acqua già ceduta ai privati, è rimasta, con vari sotterfugi, nelle loro mani. Inutile sottolineare che se esiste un bene pubblico per eccellenza, questo è proprio l'acqua, un bene essenziale per la vita stessa e che, in ragione di ciò, dovrebbe addirittura essere totalmente gratuito.
6.- Con i soldi dei contribuenti, lo Stato costruisce le autostrade. Ma se il cittadino vuole utilizzarle deve pagare il pizzo ai privati cui lo Stato stesso le ha cedute in gestione. Una demenza assoluta. Ed un incredibile regalo agli speculatori privati.
E' come se un Tizio qualsiasi costruisse un condominio e poi lo desse graziosamente da sfruttare ad un terzo, dietro modesto compenso. Ove capitasse una cosa simile, è certo che i parenti chiamerebbe immediatamente gli infermieri del neurodeliri.
7.- Troviamo una compagnia aerea nazionale praticamente in ogni Stato del pianeta. La nostra gloriosa Alitalia, in ottima salute e con eccellenti collegamenti in tutto il mondo, è stata inopinatamente affossata imponendole la fusione con una società aerea privata gravata da un enorme debito bancario. Il tutto, per evitare problemi alla banca coinvolta (e stupidamente concedente finanziamenti senza cautele e limiti).
Una catastrofe finanziaria che ha trascinato l'Alitalia in un abisso dal quale non si è più risollevata.
E così oggi il Paese è privo di un asset strategico.
8.- In un settore molto delicato ma di grande valenza economica e sociale, operava dal 1912 l'INA (l'Istituto Nazionale dele Assicurazioni). Nel tempo, aveva accumulato un colossale patrimonio immobiliare caratterizzato dal molto apprezzato stile "Novecento".
L'Istituto è stato gradualmente privatizzato (e gli immobili venduti) con un procedimento che si è concluso nel 1996. Eliminata la ingombrante presenza pubblica, gli operatori privati del settore hanno fruito di uno sviluppo eccezionale. Naturalmente con sensibile danno per gli utenti, che hanno visto aumentare i prezzi e peggiorare le condizioni contrattuali.
In sostanza, la collettività è stata privata di un servizio importante a costi ragionevoli.
9.- Il nostro Paese si è dotato nel tempo, dal 1923 ad oggi, (da ultimo, la legge 2/1/40 n. 2), di una serie di provvedimenti normativi contro il latifondo agricolo.
Ma, ciononostante, si è venuta a creare una situazione che presenta aspetti paradossali.
E' di comune esperienza rilevare nelle nostre campagne migliaia di ruderi di case coloniche, alcune anche di grande interesse storico. Un'intera classe sociale, quella contadina, è scomparsa. I terreni agricoli sono stati acquisiti da nuovi latifondisti, che nessun governo ha mai pensato di fermare a tutela dell'ordine sociale e del buon andamento dell'economia.
Gli acquirenti risultano essere dei fondi di investimento, in maggioranza stranieri, che - nel perseguimento del massimo profitto - hanno alterato completamente la produzione agricola, con una forte incidenza sulle nostre tavole.
L'adozione, per incrementare i ricavi, di monocolture a gestione industrializzata, consentita dalle grandi superifici ottenute accorpando i piccoli appezzamenti contadini, ha abolito la varietà produttiva, costringendo ad integrare l'offerta ortofrutticola con massicce importanzioni di prodotti da Paesi esteri nei quali potenti multinazionali (possedute dai soliti fondi di investimento) producono a basso prezzo e senza le dovute tutele. E così importiamo grano oltrechè inquinato dal nocivo glifosato, soprattutto geneticamente modificato per aumentarne il contenuto di glutine (con diffusione estesa della celiachia). Analoghi problemi con gli ortaggi, coltivati in Paesi poveri, dove il potere delle multinazionali non ha ostacoli istituzionali importanti, con esagerate dosi di pesticidi e fertilizzanti dannosi alla salute.
La nostra agricoltura è stata consegnata nelle mani di speculatori finanziari esteri a danno della popolazione che deve servirsi di prodotti non sicuri e a volte non graditi, dovendo necessariamente utilizzare ciò che trova in offerta sul mercato.
In sostanza è stata attuata, in spregio alla legislazione contro il latifondo, una sorta di privatizzazione surrettizia estremamente deleteria per la popolazione.
10.- Un altro incredibile, gravissimo, errore è stato compiuto con la liquidazione, nel 2000, dell'IRI.
Creato nel lontano 1933 per acquisire (e così mettere al sicuro) le industrie di particolare rilevanza nel contesto dell'economia nazionale (parliamo dell'industria di base, di quella pesante e delle infrastrutture), riuscì ad accelerare in misura decisiva lo sviluppo economico del Paese, particolarmente per ciò che si riferisce alla fondamentale produzione di acciaio, dei cantieri navali, dell'industria elettrica, di quella militare, nonchè, in campo finanziario, delle tre banche più importanti.
Questo sistema di partecipazioni statali, invidiato da tutti i Paesi occidentali e non, consentì uno straordinario sviluppo che portò l'economia italiana al 4° posto nel mondo.
Con il governo del noto Prodi del 1990, cominciò una sistematica privatizzazione, che iniziò, guarda caso, dalle banche. Successivamente, nel 1993, l'IRI venne totalmente liquidato, con disastrose ricadute per l'economia nazionale.
Significativamente da ricordare che la privatizzazione venne decisa, come è noto, sul panfilo Britannia, della regina inglese Elisabetta, dove erano stati invitati i solerti tutori degli interessi della finanza internazionale: Ciampi, Andreotti e il solito Draghi.
Come risultato della sciagurata operazione, il debito pubblico (al cui risanamento era ufficialmente dedicata), non solo non venne ridotto, ma risultò addirittura triplicato, l'occupazione subì un crollo disastroso (venne perso un milione di posti di lavoro), lo sperato abbassamento dei prezzi e delle tariffe diventò invece un deciso incremento.
Un fallimento totale, dunque, catastrofico e prevedibile, salvo che per le aziende estere (tra cui la Nestlè, resasi acquirente di Motta e Alemagna) e della finanza, ideatrice del progetto. Da notare che, a capo di questa era la nota Elisabetta, storico vertice della massoneria internazionale, a far tempo dal 1649, allorchè privatizzò la sterlina, affidandola ai banchieri locali e creando la prima banca centrale nazionale.
11.- Proseguendo nel nostro pur limitato panorama delle privatizzazioni, dobbiamo occuparci del settore bancario.
Con la nuova legge bancaria (1993), adottata nello stesso testo quasi contemporaneamente in tutto il mondo (e questo la dice lunga sul potere della finanza), l'attività bancaria da "servizio pubblico", come era definita in precedenza, è diventata esplicitamente "attività d'impresa", cioè avente per scopo il profitto, e tutto il sistema bancario è stato messo in mani private.
Un paradosso. Si è infatti in tal modo consentito ai gestori privati della banche di utilizzare i risparmi della collettività per effettuare lucrose speculazioni a proprio favore.
Non basta, ai cittadini che depositano i loro risparmi in banca, è sempre imposto anche un costo. Così, oltre a sfruttare il denaro altrui, il banchiere chiede anche che tale sfruttamento venga pagato. E se poi il depositante chiede un prestito, gli vengono addebitati interessi al livello stabilito dalla congrega.
Inoltre, se le speculazioni vanno male e la banca rischia il fallimento, interviene sollecitamente lo Stato che, con i soldi dei contribuenti (e depositari...), rimette in sesto la baracca, riconsegnandola in gran forma agli stessi che l'hanno disastrata.
Da notare che le banche non sono attività propriamente autonome. Sono parte di una consorteria (spesso caratterizzata da fitti e segreti incroci azionari).
A livello dei singoli Stati, questa camarilla formalmente fa capo alla relativa banca centrale (nella cosiddetta "Europa" la banda è stata posta sotto l'ombrello della Bce, un ente anomalo, banca centrale di uno Stato che non esiste e della cui creazione nessun popolo ha deciso se non gli stessi privati interessati). Una banca che oggi può anche dettare le regole in casa nostra...
Occorre ribadire che queste banche centrali sono enti totalmente privati, costituiti come società per azioni (partecipazioni) il cui capitale può essere posseduto solo da istituti bancari ed enti finanziari. Una abnormità deviante. Tralasciamo il fatto esilarante che a questo organismo è affidata la sorveglianza sulle banche, cioè sui suoi padroni, e soffermiamoci sui compiti che svolge.
I poteri della banca centrale sono vastissimi: parliamo della stampa della carta moneta e della potestà di fissarne il quantitativo circolante, della fissazione dei tassi di interesse, della dimensione globale del credito e quindi del controllo dell'inflazione, ecc.
Non occorre essere degli esperti di diritto costituzionale per rendersi conto che questi poteri consegnano alla banca centrale l'economia del Paese e, con essa, il livello di benessere dei suoi abitanti.
Si usa dire che, per amministrare un Paese, occorre poter gestire la sua economia. Principio valido anche per una bancarella al mercato rionale. Nel nostro caso, a gestire l'economia nazionale è un soggetto diverso dallo Stato. Come dire che in casa è il marito che comanda ma è la moglie che decide la spesa.
Il problema è che la banca centrale è un ente privato che istituzionalmente cura interessi privati. E' pertanto grottesco che sia dotato di poteri pubblici. Poteri che utilizza per perseguire le finalità proprie della camarilla di cui è parte. Ricordiamo un esempio significativo. Quando, all'epoca, il primo ministro Craxi, per rilanciare l'economia chiese al governatore Ciampi di abbassare i tassi di interesse, quest'ultimo semplicemente si rifiutò in quanto tale provvedimento era contrario agli interessi delle banche e, invece di essere immediatamente congedato, rimase al suo posto. Craxi non aveva il potere di rimuoverlo (!).
Si tratta evidentemente di una situazione assurda, incongruente ed inaccettabile per la nazione tutta, perchè contraria ai più elementari interessi del Paese ed alle esigenze reali della popolazione, titolare della sovranità nazionale e proprietaria in definitiva delle risorse gestite dal sistema bancario.
Inutile sottolineare altresì che il dettato dell'art. 47 della Costituzione, per il quale "la Repubblica (...) tutela il risparmio" e "disciplina (...) e controlla l'esercizio del credito", è totalmente estraneo alla realtà ed ancora attende di essere attuato nel concreto.
Nella situazione che abbiamo delineato, parlare di ulteriori privatizzazioni, oltreché anacronistico, è un grave insulto al buon senso ed all'interesse della nazione.
In realtà, come risalta con evidenza, sono invece necessarie e urgenti molte nazionalizzazioni in diversi settori di diretto interesse pubblico, tra i quali, in primo luogo, il comparto bancario.