- L'oblio: dall'era analogica all'era in cui Google ricorda sempre
- Excursus storico della disciplina in materia di oblio
- Una particolare species del diritto all'oblio: il diritto all'oblio oncologico
- Quadro normativo internazionale e nazionale
- Contenuto e ambiti di applicazione della L. n. 193/2023
- Conclusioni
L'oblio: dall'era analogica all'era in cui Google ricorda sempre
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Per parlare di oblio è necessario ripercorrere il significato, attribuito a tale sostantivo, molto ondivago e caratterizzato da periodi in cui all'oblio veniva associata una accezione positiva e da periodi in cui, invece, l'oblio aveva un significato negativo, che è rimbalzato nelle varie opere letterarie classiche ed è presente nella nostra cultura.
In particolare nelle opere classiche latine ed in quelle greche, in cui è stato possibile riscontrare forme embrionali di oblio, queste erano connotate da una forte negatività. Basti pensare alla damnatio memoria, nel diritto romano, consistente nella pena (inflitta nei confronti degli indegni e dei traditori) della cancellazione del nome nonché totale cancellazione del ricordo di qualsiasi traccia che potesse permettere ai posteri il riaffiorare nella loro memoria del soggetto tacciato da tale sanzione. Nell'Antica Grecia l'oblio, oltre ad avere una accezione negativa, era simbolicamente rappresentato dalle acque del fiume Lete, che i morti devono evitare per assicurarsi l'immortalità.
D'altro canto, nella dottrina aristotelica l'oblio assumeva una connotazione positiva ed era considerato lo strumento per dimenticare le offese passate e di riappacificazione tra i popoli.
Appare evidente la differenza tra la concezione che l'oblio assumeva in passato e quella che si ha invece al giorno d'oggi.
Se, come precedentemente illustrato, nell'oblio era ravvisabile una vera e propria pena, vuoi la cancellazione della persona dalla memoria collettiva nella società romana, vuoi la rappresentazione simbolica negativa che gli veniva affiancata nelle opere greche classiche, nella società moderna , invece, tramite la valorizzazione del diritto all'oblio, si vuole raggiungere l'effettiva possibilità di essere definitivamente dimenticati, quale espressione dei diritti della personalità garantiti dall'art. 2 della Costituzione.
Si tratta dunque di forme di garanzia contro quelle informazioni che possono distorcere le condizioni sociali attuali dell'individuo e che non ne offrono più una rappresentazione veritiera agli occhi della collettività, in particolare quando il dato risulta essere storicamente datato e non vi è più l'interesse della società per la conoscenza e la libera circolazione della notizia si scontra con l'interesse dell'individuo a tornare nell'anonimato.
Tuttavia nell'era 3.0, il diritto all'oblio non è solo uno schermo contro l'informazione, infatti la questione si è progressivamente complicata, la rete non dimentica. Internet e l'avvento di sempre più raffinati e performanti algoritmi di ricerca, hanno reso più difficili le cose, il vulnus risiede nel continuo permanere delle notizie, come se galleggiassero in un «eterno attuale»[1]
. In passato, nell'epoca della carta stampata, il problema sorgeva quando venivano pubblicate informazioni riferite ad accadimenti di molto tempo prima, riportando alla luce notizie di cui i protagonisti auspicavano piuttosto la dimenticanza e l'unico rimedio possibile era quello del risarcimento del danno reputazionale che la persona subiva per via della ripubblicazione di notizie riferite al passato; oggi invece il diritto all'oblio è «inteso come diritto dell'individuo a ottenere la rettifica, la contestualizzazione, l'aggiornamento progressivo nel tempo e, in taluni casi, addirittura la deindicizzazione e la cancellazione dei propri dati personali dal web, al fine di assicurare una rappresentazione corretta e attuale della propria identità»[2], e con riferimento all'ambiente online esso va considerato come «diritto alla c.d. identità dinamica dell'interessato, e cioè di diritto a che la propria identità, che viene resa pubblica attraverso i media, sia sempre costantemente aderente alla realtà, e dunque non solo aggiornata all'attualità ma eventualmente anche protetta attraverso la rimozione di informazioni non più attuali o di interesse pubblico»[3].Il termine oblio in questo senso suggerisce l'idea della dimenticanza e cozza sovente con la pretesa dell'individuo all'essere correttamente ricordato e rappresentato. Necessaria, dunque, è stata una revisione e risulta corretto parlare di diritto "all'identità personale digitale"[4], scopo del quale non è cancellare il passato, quanto piuttosto proteggere il presente[5].
Excursus storico della disciplina in materia di oblio
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Il concetto di oblio ha radici profondissime e risalenti nel tempo. Aristotele, già nel IV secolo a.C., affermava che "l'uomo è un animale sociale", ed aveva perfettamente ragione! Se però da un lato, caratteristica intrinseca dell'essere umano è l'associazionismo che lo porta a condividere e creare comunità, un impulso a lasciare un segno nel mondo, una testimonianza palpabile di una vita, da condividere con chi è presente, ma soprattutto con chi verrà: l'ambizione di voler essere ricordato, dall'altro si contrappone il bisogno di creare una sfera intima e privata che non sia esposta all'influenza esterna. E sarà proprio il filosofo di Stagira a portare la prima distinzione tra sfera pubblica, riguardante la vita politica, e la sfera privata, a cui associava casa e famiglia.
Nel 1763, in piena epoca illuminista, nell'Inghilterra prerivoluzionaria, William Pitt, Conte di Chatam, in un un discorso alla House of Lords, espose un'efficace metafora: «il più povero degli uomini può, nella sua casetta lanciare una sfida opponendosi a tutte le forze della corona. La casetta può essere fragile, il suo tetto può essere traballante, il vento può soffiare da tutte le parti, la tempesta può entrare e la pioggia può entrare, ma il Re d'Inghilterra non può entrare; tutte le sue forze non osano attraversare la soglia di tale casetta in rovina»[6]. Così, poté iniziarsi a delineare un diritto universale, di tutti gli individui, volto alla determinazione di limiti precisi che non potevano essere travalicati dallo Stato, che altrimenti avrebbe invaso la sfera del singolo.
Tuttavia secondo alcuni autori[7], per parlare di oblio bisogna attendere il 1890, anno in cui numerosi articoli di cronaca riguardavano fatti non solo di cittadini che non avevano specifiche responsabilità pubbliche, ma vicende che non avevano alcun tipo di rilevanza pubblica. In particolare, i numerosi articoli di cronaca riguardanti la vita privata di una donna, moglie di Samuel D. Warren, e la sua attività salottiera, pubblicati dalla Boston Evening Gazette, con molta probabilità, furono la causa che portò i due avvocati di Boston (Warren e Brandeis) a cercare di elaborare e definire in modo concreto gli spazi ed i limiti tra riservatezza, libertà di stampa e libera manifestazione del pensiero, richiamando i diritti fondamentali enucleati nel Bill of Rights, con la pubblicazione sull'Harvard Law Review del saggio The Right to Privacy, nel quale analizzarono in maniera approfondita le relazioni intercorrenti tra riservatezza da riconoscere ad un individuo, il diritto della stampa ad informare e al contempo quello dei cittadini ad essere informati.
I due giuristi in primo luogo si chiesero fino a che punto fosse corretto l'utilizzo della stampa per la divulgazione di notizie riguardanti la sfera privato. I due scrissero: «It is our purpose to consider whether the existing law affords a principle which can properly be invoked to protect the privacy of the individual; and, if it does, what the nature and extent of such protection is". Il loro lavoro sfociò nel riconoscimento di un vero e proprio diritto della persona: "the right to be let alone" che, secondo Stefano Rodotà [8], ex garante per la privacy, consiste nello ius excludendi alios.
Tuttavia, detto diritto creava le basi per far nascere un mezzo di protezione dei privilegi dei cosiddetti happy few [9], ossia riservata ai pochi eletti, lasciando fuori gli altri ceti. Ma, a onor del vero, questo fu solo un primo passo di un lungo percorso, a cui contribuì in gran parte anche lo stesso Brandeis, che ha acceso i riflettori sull'aspetto sociale di questo diritto, concepito non più esclusivamente come il diritto borghese ad essere lasciato solo, ma come «il diritto delle minoranze politiche culturali, sociali di non essere discriminate per le loro opinioni, abitudini, costumi. Lungo questa strada la privacy si rivela sempre più nettamente come una componente essenziale della libertà contemporanea»[10].
Anche in Germania, tra il XVIII e il XIX secolo, si iniziò ad intavolare un dibattito sugli "Individualrechte" [11],diritti di base filosofico-giuridica tedesca che riguardavano il diritto naturale, ma nonostante l'ampiezza di tale categoria di diritti, essi non trovarono riconoscimento nel periodo di positivizzazione che aveva caratterizzato l'ordinamento della Germania.
Gareis, Gierke e Kohler furono i primi ad essere determinanti per il riconoscimento dei diritti della personalità [12] in Svizzera. Sarà, però, Kohler a parlare dell'esistenza di un solo e generico diritto della personalità, articolato in varie espressioni, tra le quali è possibile individuare un "diritto alla segretezza" che tutela l'individuo dalla pubblicazione di fatti che riguardano la sua sfera privata e i suoi rapporti epistolari.
Sul medesimo argomento iniziarono a sorgere, anche in Francia negli anni sessanta, prime idee muovendo dalla creazione di un droit moral, attribuito ad un trattato di Boistel[13]. Ma parte della dottrina ha evidenziato come la paternità del droit à l'oubli, nonché il suo contenuto, sia da attribuire ad alcuni teorici del diritto francese, a seguito di una sentenza G. Lyon-Caen, relativa al caso Landru. La vicenda riguardava la misteriosa scomparsa di dieci donne e fu ritenuto colpevole Henri Désiré Landru, quarantenne, sposato con cinque figli. Il processo, uno dei più famosi del '900, si concluse con la sua condanna a morte. La cinematografia prese spunto da questo caso e molte furono le opere tra cui "Landru" di Claude Chabrol, realizzata in Francia all'inizio degli anni sessanta, che destò la reazione di una delle amanti del celebre personaggio, la quale lamentò in giudizio che il film ricordasse e rivelasse al pubblico un periodo passato e doloroso della sua vita privata, che voleva invece dimenticare. Il Tribunale di prima istanza francese (TGI) di Seine, in data 14 ottobre 1965, accolse la sua domanda.
Infine, parte della giurisprudenza italiana ritiene che prime forme di diritto all'oblio si ebbero in Italia sul finire degli anni cinquanta. Tra le prima pronunce della giurisprudenza di merito che riguardavano opere cinematografiche e pubblicazioni relative a vicende personali di personaggi noti che portarono gli interessati ad invocare il diritto alla riservatezza di fronte ai giudici, la controversia pilota in materia di riservatezza riguardò il tenore Enrico Caruso e la realizzazione di due film biografici riguardanti il suo personaggio, a seguito dei quali i suoi eredi lamentarono la divulgazione di dati riguardanti la vita personale del tenore e chiesero la pronuncia di un provvedimento diretto a porre fine alla proiezione del film, perché lesivo della riservatezza. Se i giudici di primo grado riconobbero un diritto alla privacy, quelli di secondo grado, invece, furono contrari e basarono la loro opposizione sulla mancanza di una norma ad hoc da poter applicare.
Il caso simbolo riguardante il diritto all'oblio, in senso stretto, però, è quello della famiglia Petacci, che concerne la richiesta avanzata dai genitori e dalla sorella di Clara Petacci di impedire la pubblicazione di una storia a puntate romanzata riguardante la relazione sentimentale tra Claretta Petacci e Benito Mussolini.
Tutto ciò fu scatenato dalla pubblicazione, sul settimanale il Tempo, della prima puntata di tale romanzo, a firma di Zita Ritossa, che "annunziava e andò di fatto svolgendo la narrazione della vita intima dell'amante del Duce, ad opera di una persona di famiglia che fino all'ultimo le visse accanto (spiegava il sottotitolo che la Ritossa, entrata di fatto nella famiglia Petacci nel 1937 e rimasta accanto a Marcello fino alla tragedia di Dongo, fu l'unica testimone diretta della vita intima di Clara e dei suoi familiari). Non mancavano, nel contesto del racconto, osservazioni ritenute offensive dai congiunti: il prof. Francesco Saverio Petacci vi era descritto come uomo abulico, con il collo tirato tra le spalle, pronto a zittire non appena la dispotica moglie gli lanciasse un'occhiata che non ammetteva repliche. Miriam veniva definita la piccola idiota di casa, e la signora Persichetti come regista dei figli, sempre addentro alle loro faccende amorose, fino a scegliere i pretendenti di Miriam. Si narrava un episodio da cui poteva desumersi che aveva sollecitato la figlia Clara a chiedere soldi all'amante; le si attribuivano altresì occhi (e mentalità) da roditore". [14]
La sentenza del 28 marzo 1958 del Tribunale di Milano, in primo luogo escluse una autonoma tutela del riserbo. I giudici della Corte di Appello di Milano, invece, ritennero esservi gli estremi della violazione del diritto alla riservatezza di Claretta Petacci. Entrando nel merito, i Giudici di secondo grado, fecero riferimento ad un "diritto alle vicende", riconducibile ad "una serie di atti umani storicamente individuati" [15], ossia un diritto alla personalità separato dal diritto all'onore e munito di una propria tutela giuridica. Gli ermellini non furono dello stesso avviso e dichiararono che "sebbene non sia ammissibile il diritto tipico alla riservatezza, viola il diritto assoluto di personalità, inteso quale diritto erga omnes alla libertà di autodeterminazione nello svolgimento della personalità dell'uomo come singolo, la divulgazione di notizie relative alla vita privata, in assenza di un consenso almeno implicito, ed ove non sussista, per la natura dell'attività svolta dalla persona e del fatto divulgato, un preminente interesse pubblico di conoscenza".
Insomma, anche negli anni successivi si continuava a ritenere che il tempo fosse ininfluente per far dimenticare accadimenti pubblici passati, stabilendo che le sole opere cinematografiche in cui la verità storica e la relativa ricostruzione scenica costituivano offese al decoro, all'onore ed alla reputazione delle persone ritratte, potevano essere considerate lesive di suddetti diritti.
La giurisprudenza mutò parzialmente il proprio orientamento nel 1963 con la sentenza n. 990, con la quale ritenne che il fondamento di un diritto che potesse avvicinarsi alla riservatezza, fosse riscontrabile nella nell'art 2 della Costituzione, e precipuamente nel passaggio in cui si ammette un diritto di libera autodeterminazione nello svolgimento della personalità. Nonostante questi primi e timidi passi, sia la giurisprudenza di merito che di legittimità erano concordi nel ritenere che non fosse riscontrabile una lesione nei confronti dell'individuo nei casi in cui la realtà storica fosse stata correttamente riportata.
Bisognerà aspettare gli anni Settanta per avere spinte, sia giurisprudenziali che dottrinali, verso una disciplina autonoma della tutela della riservatezza. Determinante fu il ruolo della Corte Costituzionale che era propensa a ritenere il diritto alla riservatezza come una situazione giuridica soggettiva da tutelare.
Con la sentenza n. 38/1973 si precisò che il riconoscimento dei diritti inviolabili della persona, tra cui anche il diritto alla privacy stabilito negli artt. 8 e 10 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, fosse già presente tra i fini degli articoli 21 Cost., art. 3 (comma 2), e l'art 13 (comma 1): "i fini dell'art. 2 affermati anche negli artt. 3, secondo comma, e 13, primo comma, (…) riconoscono e garantiscono i diritti inviolabili dell'uomo, fra i quali rientra quello del proprio decoro, del proprio onore, della propria rispettabilità, riservatezza, intimità e reputazione, sanciti espressamente negli artt. 8 e 10 della Convenzione europea sui diritti dell'uomo". Questo cambio di rotta ha permesso un cambiamento a livello legislativo, ed infatti degne di nota sono diverse norme emanate per la protezione della sfera personale del singolo individuo quali: la legge 300 del 1970 sula tutela dei lavoratori, la legge 14 aprile 1982, n. 164, sulla rettificazione del sesso dove all'art. 5 si riportava che "le attestazioni di stato civile riferite a persona della quale sia stata giudizialmente rettificata l'attribuzione di sesso sono rilasciate con la sola indicazione del nuovo sesso e nome", la legge 8 aprile 1974, n. 98 in materia di "Tutela della riservatezza e della libertà e segretezza delle comunicazioni", che introduceva nuove figure di reato nel codice penale e nuove regole per le intercettazioni nel codice di procedura penale.
La Suprema Corte, con la pronuncia n. 2129 del 1975, riconobbe per la prima volta il diritto alla riservatezza come diritto autonomo rispetto agli altri diritti della personalità e costituzionalmente fondato, individuandone le basi "nella tutela di quelle situazioni e vicende strettamente personali e familiari, le quali, anche se verificatesi fuori dal domicilio domestico, non hanno per i terzi un interesse socialmente apprezzabile, contro le ingerenze che, sia pure compiute con mezzi illeciti, per scopi non esclusivamente speculativi e senza offesa per l'onore, la reputazione o il decoro, non siano giustificate da interessi pubblici preminenti".
Gli anni settanta del secolo scorso, però, furono caratterizzati da un repentino sviluppo degli strumenti tecnologici e dunque iniziò a sentirsi sempre più forte l'esigenza di una tutela certa in riferimento alla dimensione sociale dell'individuo; le conseguenze furono molto importanti, infatti si giunse ad un vero e proprio diritto all'oblio e grazie al riconoscimento della Suprema Corte del diritto all'identità personale, fu possibile gettare le basi per attribuire importanza al fattore temporale, da sempre ignorato. Dopo i primi passi mossi sia dalla giurisprudenza che dalla dottrina, si arrivò ad un importante interrogativo: le informazioni datate e non più rilevanti da un punto di vista pubblico dovevano essere eliminate per garantire il diritto all'oblio dell'interessato" Si aprì la strada al diritto all'oblio inteso come diritto del quale un soggetto può avvalersi al fine di ritenere rientranti nella sua disponibilità e chiederne la cancellazione, fatti obsoleti e non più ritenuti utili per la società.
Il definitivo riconoscimento del diritto alla privacy e del diritto all'oblio come sua manifestazione, che si ebbe solo negli anni novanta, fu figlio di tale portato sia giurisprudenziale che dottrinale e fu possibile anche grazie alla normativa comunitaria.
Infatti tra il 1995 e il 1998 si ha la vera svolta per il riconoscimento del diritto all'oblio.
Nel 1995 la direttiva 46 dell'Unione Europea in materia di trattamento e libera circolazione dei dati personali, ha orientato gli Stati membri verso il concetto cardine secondo cui i sistemi di trattamento dei dati sono al servizio dell'uomo; si è dunque arrivati al rispetto, da parte degli Stati membri, della libertà e dei diritti fondamentali delle persone, in particolare la vita privata.
In Italia la legge n. 675 del 1996, che ha recepito la direttiva 46/95 e recante le disposizioni sul trattamento dei dati personali, ha permesso l'istituzione della figura del Garante per la protezione dei dati personali [16] ed anche e soprattutto la disciplina del diritto alla riservatezza e di quello all'identità personale.
Il testo legislativo tuttavia tentò anche di disciplinare il diritto all'oblio: in particolare l'art. 9, comma 1, lettera e), stabiliva che i dati personali oggetto di trattamento dovevano essere "conservati in una forma che consenta l'identificazione dell'interessato per un periodo di tempo non superiore a quello necessario agli scopi per i quali essi sono stati raccolti o successivamente trattati"; e l'art. 13 comma 1, lettera c), numero 1, stabiliva che "in relazione al trattamento di dati personali l'interessato [aveva] diritto (…) di ottenere, a cura del titolare o del responsabile, senza ritardo la conferma dell'esistenza o meno di dati personali che lo riguardano, anche se non ancora registrati, e la comunicazione in forma intellegibile dei medesimi dati e della loro origine, nonché della logica e delle finalità su cui si basa il trattamento (…)".
Contestualmente si è andati oltre la vecchia concezione del diritto alla privacy come "diritto ad essere lasciati soli" arrivando a consentire l'accesso alle informazioni personali, però controllandone la correttezza della acquisizione, correggendo eventuali errori e sorvegliandone l'impiego nel corso del tempo.
Il Tribunale di Roma, con una sentenza del 21 novembre 1996 cercò di dare una prima definizione del diritto all'oblio e lo definì come: "la situazione giuridica della quale si invoca la tutela cautelare appare identificabile in quello che nei paesi anglosassoni è definito "right to be let alone" e dalla giurisprudenza d'oltralpe come "droit à l'oubli" (diritto all'oblio). Il diritto all'oblio, pur rientrando nel generale ambito di tutela riservata alla vita privata (privacy), che trova fondamento nell'art. 2 della Costituzione, assume spiccata peculiarità rispetto al diritto alla riservatezza (…) in quanto, a differenza di questo, non è volto ad impedire la divulgazione di notizie e fatti appartenenti alla sfera intima dell'individuo e tenuti, fino ad allora, riservati, ma ad impedire che fatti già resi di pubblico dominio (e quindi sottratti al riserbo) possano essere rievocati - nonostante il tempo trascorso e il venir meno del requisito dell'attualità - per richiamare su di essi (e sui soggetti, altrimenti dimenticati, coinvolti in tali vicende) "ora per allora" l'attenzione del pubblico - sollecitato a fornire apprezzamenti e giudizi critici - proiettando l'individuo, all'improvviso e senza il suo consenso, verso una nuova notorietà indesiderata (e ciò indipendentemente dal contenuto positivo o negativo che - in relazione alla natura dei fatti narrati - può assumere la considerazione sociale".
La storica pronuncia della Corte di Cassazione, la sentenza n. 3679, fa sì che il 1998 è da considerare l'anno di nascita del diritto all'oblio. Il caso riguardava un soggetto imputato di reati di associazione mafiosa che, nonostante fosse stato assolto, aveva trovato pubblicato dopo molti anni un articolo rievocativo delle sue spiacevoli vicende passate, senza menzionare l'assoluzione. In primis la Corte ha stabilito che "la divulgazione di notizie che arrecano pregiudizio all'onere e alla reputazione deve, in base al diritto di cronaca, considerarsi lecita quando ricorrono tre condizioni: la verità oggettiva della notizia pubblicata; l'interesse pubblico alla conoscenza del fatto (c.d. pertinenza); la correttezza formale dell'esposizione (c.d. continenza)" e poi è ferma nell'evidenziare che "viene invece in considerazione un nuovo profilo del diritto di riservatezza recentemente definito anche come diritto all'oblio inteso come giusto interesse di ogni persona a non restare indeterminatamente esposta ai danni ulteriori che arreca al suo onore e alla sua reputazione la reiterata pubblicazione di una notizia in passato legittimamente divulgata. (…) Quando il fatto precedente per altri eventi sopravvenuti ritorna di attualità, rinasce un nuovo interesse pubblico alla informazione, non strettamente legato alla contemporaneità fra divulgazione e fatto pubblico che si deve contemperare con quel principio, adeguatamente valutando la ricorrente correttezza delle fonti di informazione".
In questa galassia di pronunce giurisprudenziali, molte tra il 2012 e il 2013 ed anche in ambito sovranazionale, sono state mosse dal bisogno di rendere sempre più pregnante la tutela intorno al diritto all'oblio.
In particolare il considerando n. 65 del regolamento emanato il 25 gennaio 2012 che sostituisce la direttiva 95/46 in materia di protezione di dati, ha stabilito che "un interessato dovrebbe avere il diritto di ottenere la rettifica dei dati personali che la riguardano e il «diritto all'oblio» se la conservazione di tali dati violi il presente regolamento o il diritto dell'Unione o degli Stati membri cui è soggetto il titolare del trattamento" e il considerando n.66 ha affermato che "per rafforzare il «diritto all'oblio» nell'ambiente online, è opportuno che il diritto di cancellazione sia esteso".
Tenuto conto degli straordinari sviluppi, sia dottrinali che giurisprudenziali, a livello nazionale e sovranazionale, è possibile giungere ad una definizione del diritto all'oblio, quale estrinsecazione del diritto alla riservatezza e del legittimo interesse a poter cancellare le tracce, dati e informazioni, ritenute fuorvianti rispetto alla rappresentazione veritiera di sé ovvero che hanno perso interesse con il trascorrere del tempo.
Una particolare species del diritto all'oblio: il diritto all'oblio oncologico
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Alla luce di queste considerazioni, può comprendersi come il diritto all'oblio, che sorge a tutela dell'identità personale e della reputazione individuale, assuma sempre più pervasività all'interno del nostro ordinamento, non limitandosi solo al campo della cronaca (spesso giudiziaria), ma toccando qualsiasi ambito della vita in identità personale e trattamento dei dati risalenti nel tempo rappresentano una sola situazione giuridica soggettiva. In campo delle evoluzioni del diritto all'oblio, una delle sue ultime declinazioni è quella del c.d. oblio oncologico, riguardante dunque la sfera sanitaria e precipuamente tutti quei casi in cui la malattia è stata superata, ossia quando scientificamente si può ragionevolmente ritenere che non si ripresenterà più.
La necessità di introdurre una nuova estrinsecazione del diritto all'oblio è data dal fatto che un paziente che ha sconfitto il cancro subisce svantaggi sia sociali che economici, dal momento che non si è mai preso in considerazione l'assunto che dal cancro si possa guarire. La differenza tra oblio (privacy storica) e oblio oncologico risiede nel fatto che il primo è da considerare come quel diritto volto a garantire che fatti un tempo resi pubblici con i media non tornino all'attenzione della collettività, mentre il secondo consente la cancellazione dei dati personali in ragione del tempo trascorso dalla fine dei trattamenti sanitari senza che la patologia sia ricomparsa, per consentire a tali soggetti l'adeguamento del dato personale all'identità medica attuale.
Per dare una definizione di oblio oncologico, si può affermare che esso consiste nel "diritto ad essere medicalmente dimenticato", dunque una sorta di privacy storica dei dati sanitari, basata però sul diritto dell'individuo ad essere rappresentato partendo solo dallo stato di salute attuale, senza che la malattia, da cui si è guariti, stigmatizzi il soggetto. Il diritto de quo ha come obiettivo evitare che sorgano discriminazioni, in ambiti come l'accensione di un mutuo, la stipula di un'assicurazione, l'accesso ad una procedura di adozione, la partecipazione ad un concorso lavorativo, derivanti dalla pregressa condizione patologica del soggetto, quando l'aspettativa di vita residua dell'individuo è una condicio sine qua non.
Volendo tentare di inquadrare una base costituzionale al diritto all'oblio oncologico, poiché il testo costituzionale rivela l'esistenza di un'intima connessione fra dignità ed uguaglianza, essa è dunque ravvisabile nell'art. 3 della Costituzione, dove viene in risalto la non discriminazione di chi ha avuto una malattia, e da cui è guarito, e la relativa pretesa ad essere considerato alla stregua delle persone non malate. L'art. 3 Cost. al comma 1, parlando di «pari dignità sociale» permette una importante distinzione tra principio di eguaglianza formale (specificato dal sostantivo «pari») e principio di eguaglianza sostanziale, indicato nel comma 2 (nella parte in cui si afferma che i pubblici potere debbano assicurare "il pieno rispetto ed il pieno sviluppo della persona, proprio in quanto portatrice di dignità")[17] .
Analizzando la figura dell'oblio oncologico, il focus passa dalla dignità all'uguaglianza, dal momento che esso costituisce uno strumento antidiscriminatorio prima di rappresentare uno strumento utile per fini di riservatezza[18]. Il diritto all'oblio dunque assume le vesti di un divieto di discriminazioni baste sulla condizione di ex malato oncologico, muovendo proprio dal principio di eguaglianza formale, permettendo ai soggetti sopravvissuti di essere " nella condizione di partecipare alla gara della vita... partendo da posizioni eguali " [19] e trattandosi quindi di una eguaglianza di opportunità. Per quanto concerne l'aspetto sostanziale del principio di eguaglianza, il diritto all'oblio oncologico gli si avvicina senza mai compiutamente incarnarlo, dal momento che esso è inquadrabile come strumento che tenta di porre rimedio alla situazione di oggettiva debolezza e vulnerabilità in cui versa l'ex paziente, non rimuovendo gli ostacoli presenti, ma cercando di evitare che il cancro lo diventi; in sintesi, non vi è un riequilibrio delle disuguaglianze tra sani e malati, ma una tutela dell'eguaglianza tra persone sane.
Nel diritto all'oblio oncologico è rintracciabile un argine al trattamento di dati relativi alla salute e la pretesa a non essere intrappolati nel giudizio di (ex) malato oncologico (pretesa racchiusa nello slogan "Io non sono il mio tumore" [20] della campagna di comunicazione realizzata dalla Fondazione AIOM).
Sempre sotto il profilo costituzionale, l'art. 32 assume grande importanza; ma, dal momento che non vi è una interpretazione immediata, tra il diritto alla salute e il diritto all'oblio oncologico, che tipo di relazione sussiste" Se è vero che l'art. 32 Cost. ha assunto un profilo dinamico, facendo sì che «venga in rilievo una condizione di equilibrio psicofisico che può peggiorare, rimanere tale o migliorare, in relazione a quella che è la percezione del soggetto o alla valutazione tecnica offerta dalla scienza medica»[21], non può però essere considerato quale comune denominatore la patologia oncologica (proprio perché si parla di oblio), il denominatore comune non consiste nella.
Ciò che salta all'occhio è la variabilità (dipendente dal tipo di tumore e dal sesso) della quantità di tempo necessaria per definire il paziente guarito. Dunque, da questo assunto, appare improbabile che possa esserci congruità fra tempo dell'oblio e tempo per la guarigione.
Necessaria per comprendere il rimando all'art. 32 Cost., è stata la definizione contenuta nella Costituzione dell'Organizzazione Mondiale della Sanità: «Health is a state of complete physical, mental and social well-being and not merely the absence of disease or infirmity». A tal riguardo, l'oblio oncologico incarnerebbe lo strumento utile per preservare il benessere mentale e sociale dei sopravvissuti, che potrebbe essere, altrimenti, leso nei casi in cui venga utilizzata la malattia da cui si è guariti per attuare disparità di trattamento (incidendo su rapporti familiari, contrattuali e lavorativi). E' stata proprio la Consulta, con alcune sue pronunce a permettere una diffusione di tale ampia nozione di tutela alla salute, precisando che « la tutela di cui all'art. 32 Cost. si articola in situazioni giuridiche soggettive diverse in dipendenza della natura e del tipo di protezione che l'ordinamento costituzionale assicura al bene dell'integrità e dell'equilibrio fisici e psichici della persona umana in relazione ai rapporti giuridici cui in concreto inerisce», e nella «difesa dell'integrità fisio-psichica della persona umana di fronte alle aggressioni o alle condotte comunque lesive dei terzi e nel diritto a trattamenti sanitari»[22]. Ciò ha permesso di comprendere che è proprio la duplicità strutturale (profilo pretensivo e oppositivo) ad accomunare diritto alla salute e diritto all'oblio: in particolare l'oblio oncologico impedisce il trattamento di dati personali relativi alla salute (profilo oppositivo) la cui indebita valorizzazione potrebbe ostacolare, in modo irragionevole e discriminatorio, l'accesso ad opportunità riconosciute dall'ordinamento, che divengono quindi fruibili (profilo pretensivo).
Nell'ambito del diritto all'oblio oncologico, sempre a livello costituzionale, trova applicazione anche l'art art. 47 Cost.; la Cassazione in particolare afferma che esso «enuncia un principio programmatico, al quale il legislatore ordinario deve ispirarsi, bilanciandolo con gli altri interessi costituzionalmente rilevanti, nell'esercizio di un potere discrezionale che incontra il solo limite [...] della contraddizione del principio stesso (sentenze n. 143 del 1995 n. 19 del 1994 e n. 29 del 2002)»[23]. Con questa norma si dà una tutela al risparmiatore quale "consumatore di prodotti e servizi bancari, finanziari e assicurativi".
Da qui è chiaro il rimando a tale dettato costituzionale; nel caso oggetto di questo lavoro, deve esservi un bilanciamento tra le due contrapposte esigenze: da un lato vi sono gli imprenditori che operano nel settore nel credito e i loro interessi ma dall'altro i c.d. "cancer survivors" e il loro interesse a non subire discriminazioni in virtù di uno stato di salute che, decorso un ragionevole lasso di tempo, può ormai essere considerato passato.
Quadro normativo internazionale e nazionale
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Dati alla mano, in Europa 2,7 milioni di persone avevano ricevuto una diagnosi di cancro e oltre 1,3 milioni avevano perso la vita a causa di questa malattia. Dunque i tumori costituiscono la seconda causa di morte dopo le malattie cardiovascolari. Il dato, però, che più preoccupa è l'incremento del 24% che dovrebbe aversi su tutte le diagnosi entro il 2035, ciò porterebbe il cancro a rappresentare la prima causa di morte nell'UE.
E' proprio in questo drammatico quadro che va ad inserirsi il Piano europeo di lotta contro il cancro (COM(2021) 44), emanato dalla Commissione europea il 3 febbraio 2021 e definito da Ursula von der Leyen "colonna portante di una solida Unione europea della salute". Tra le principali finalità del Piano oltre a quelle di far fronte all'onere che il cancro impone ai pazienti, alle loro famiglie e ai sistemi sanitari, vi è l'intento di migliorare la qualità della vita dei malati di cancro e dei sopravvissuti, mirando soprattutto a facilitare l'integrazione sociale e il reinserimento lavorativo. Il Piano, inoltre, mira ad affrontare tutte quelle diseguaglianze e discriminazioni, cui sono sottoposti soggetti che sono guariti dal cancro, presenti nell'accesso ai servizi finanziari e bancari come l'ottenimento di mutui, nella stipula di polizze assicurative, quali le assicurazioni sulla vita, e nelle richieste di adozioni di minori (servizi per la cui fruizione occorre dichiarare se si è avuto un cancro).
Uno strumento a tal fine proposto dal Piano e da successive raccomandazioni e risoluzioni dell'Unione europea, è l'emanazione di norme a supporto del diritto all'oblio "oncologico" in questi ambiti.
Proprio muovendo da tale assunto, negli ultimi anni alcuni Stati membri hanno emanato leggi e provvedimenti per tutelare coloro che hanno avuto una diagnosi di cancro e garantire loro il diritto di non dichiararlo e di non essere rappresentati dalla malattia.
La Francia è stata una delle prime a trattare la materia. Nel 2014 con il Piano quinquennale 2014-2019, sviluppato sulla base del rapporto del professor Jean-Paul Vernant, ematologo francese, ha mirato alla riduzione delle disuguaglianze e della perdita di opportunità di fronte al cancro.
Nel 2016 con la legge n. 41 sulla modernizzazione del sistema sanitario, poi modificata il 1° giugno del 2022 con la legge n. 270, si è garantito un accesso più equo, semplice e trasparente al mercato dell'assicurazione sui prestiti.
In particolare nel campo assicurativo, il Code de la santé publique all' art. L. 1141-5 ha previsto che il periodo oltre il quale gli assicuratori possono raccogliere informazioni mediche relative al cancro e all'epatite virale C non può superare i cinque anni dalla fine del protocollo terapeutico. Per i soggetti che non rientrano in questa ipotesi, l'art. L 1141-2 prevede che condizioni e termini, affinché essi non vengano bistrattati con l'aumento delle tariffe o l'esclusione della copertura dei contratti di assicurazione, sono stabiliti da un accordo nazionale concluso tra lo Stato, le organizzazioni professionali che rappresentano gli istituti di credito, le società finanziarie, le compagnie di assicurazione, le società di mutua assicurazione e gli istituti di previdenza, nonché le organizzazioni nazionali che rappresentano i pazienti e gli utenti del sistema sanitario. In caso di eventuali violazioni dell'accordo, il ricorso può essere presentato alla Commissione di mediazione.
Un percorso più lungo e travagliato ha riguardato la disciplina sul diritto all'oblio in materia assicurativa [24] del Belgio. Una prima bozza di legge c'è stata nel 2009, per poi aspettare il 29 ottobre 2019 con la legge C2019/40 Loi relative aux assurances, che ha modificato la legge C-2014/11239 del 4 aprile 2014.
L'art. 61/2 dà luce al diritto all'oblio con la previsione del divieto alle imprese di assicurazione di tenere conto della condizione oncologica dopo dieci anni dalla fine di un trattamento riuscito e in assenza di ricadute entro tale periodo. Sono inoltre previste dall'articolo 61/3 due griglie di riferimento che stabiliscono un termine diverso per alcuni tipi di cancro; definite nel Decreto Reale del 26 maggio 2019, la prima individua le patologie tumorali per le quali il termine di 10 anni può essere ridotto e la seconda elenca le malattie croniche (e alcuni altri tipi di cancro) per le quali sono previste specifiche discipline.
Con un accordo tra del Ministero della Salute e l'Associazione delle Imprese di Assicurazione e Riassicurazione, anche in Lussemburgo è stata tratta la disciplina del diritto all'oblio oncologico nell'ambito dell'assicurazione a favore di ex malati oncologici . Si è voluto così stabilire che i soggetti che hanno sconfitto una patologia cancerosa, non lo debbano dichiarare se il protocollo terapeutico è terminato da 10 anni (5 se il tumore è stato diagnosticato prima dei 18 anni) e non c'è stata alcuna recidiva. Il tutto è garantito da un comitato di monitoraggio e riesame, presso cui è possibile presentare reclami.
Progressi si sono avuti anche in Olanda con il decreto del 2 novembre 2020 in tema di polizze vita e funerarie. In particolare, l'art. 1 dà rilievo alla invasione della vita privata rappresentata dalla dichiarazione della malattia oncologica, ormai passata, nei casi in cui l' operatore sanitario che ha curato il paziente ritiene che vi sia stata una remissione completa e se non vi è stata recidiva in dieci anni decorrenti dalla data di guarigione (cinque anni se al momento della diagnosi il paziente aveva meno di 21 anni). Termini più brevi sono, invece, previsti quando per la forma di cancro da cui si era affetti, stando dati medici e statistici, vi è una piccola percentuale che il cancro si ripresenti dopo poco tempo.
Il governo portoghese, con la legge n. 75 del 18 novembre 2021, ha rafforzato l'accesso al credito e ai contratti assicurativi da parte di persone che hanno superato o attenuato situazioni di aggravamento del rischio di salute o disabilità, vietando pratiche discriminatorie e sancito il diritto all'oblio, modificando la legge n. 46/2006. Nello specifico è stabilito che nessun istituto di credito o assicurazioni può, in fase precontrattuale, raccogliere informazioni sanitarie se sono decorsi dieci anni dalla fine del trattamento terapeutico (5 se la patologia si è verificata prima dei ventuno anni). In caso contrario, la violazione costituisce un atto discriminatorio punibile a titolo di reato e comporta l'applicazione di sanzioni pecuniarie. Al fine di attuare un controllo è stata istituita l'Autorità di Vigilanza sulle Assicurazioni e sui Fondi Pensione (ASF) sulle pratiche e sulle tecniche di valutazione, selezione e accettazione dei rischi dell'assicuratore ai fini della conclusione, esecuzione e risoluzione del contratto di assicurazione. Ulteriore ed importante mossa, sempre in tale ambito, è stato l'Accordo nazionale sull'accesso al credito e alle assicurazioni stipulato tra lo Stato e le associazioni di categoria rappresentative degli enti creditizi, delle società finanziarie, delle mutue, enti pensionistici e compagnie di assicurazione e riassicurazione, nonché organizzazioni nazionali che rappresentano le persone a maggior rischio per la salute, le persone con disabilità e gli utenti del sistema sanitario. Con questo accordo non solo si è voluto mettere fine alle discriminazioni presenti nell'accesso al credito abitativo e al consumo da parte delle persone che hanno superato o attenuato situazioni di aggravamento del rischio di salute o di disabilità, ma anche prevedere strumenti di mediazione e una procedura per l'individuazione di una griglia di riferimento (da aggiornare ogni due anni) che permetta di definire i termini e le scadenze per ciascuna patologia o disabilità, in linea con l'andamento terapeutico, i dati scientifici e le conoscenze sul rischio sanitario.
Un periodo di sette anni, dopo il quale non è possibile chiedere, per la conclusione di polizze assicurative, informazioni su eventuali patologie oncologiche, è invece previsto dalla legge n. 200/2022, che ha integrato la Legge sui Diritti del Paziente n. 46/2003, in vigore dall'8 settembre 2022, in Romania.
A far sentire la sua onda d'urto è stato però il Parlamento europeo che il 16 febbraio 2022 ha approvato una risoluzione su Rafforzare l'Europa nella lotta contro il cancro - Verso una strategia globale e coordinata. Nello specifico al paragrafo 125 il Parlamento "ritiene che le compagnie di assicurazione e le banche non dovrebbero considerare la storia clinica delle persone colpite da cancro; chiede che la legislazione nazionale garantisca che i sopravvissuti al cancro non siano discriminati rispetto ad altri consumatori; prende atto dell'intenzione della Commissione di collaborare con le imprese per elaborare un codice di condotta che assicuri che i progressi compiuti in relazione ai trattamenti oncologici e la loro maggiore efficacia siano rispecchiati nelle pratiche aziendali dei fornitori di servizi finanziari; sostiene, nel contempo, la promozione dei progressi compiuti in Francia, Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi, dove i sopravvissuti al cancro godono del "diritto all'oblio" ; chiede che entro il 2025, al più tardi, tutti gli Stati membri garantiscano il diritto all'oblio a tutti i pazienti europei dopo dieci anni dalla fine del trattamento e fino a cinque anni dopo la fine del trattamento per i pazienti per i quali la diagnosi è stata formulata prima dei 18 anni di età; chiede l'introduzione di norme comuni per il diritto all'oblio nel quadro delle pertinenti disposizioni sulla protezione dei consumatori del trattato sul funzionamento dell'Unione europea, al fine di superare la frammentazione delle pratiche nazionali nel campo della valutazione del merito di credito e garantire la parità di accesso al credito per i sopravvissuti al cancro; chiede che il diritto all'oblio per i sopravvissuti al cancro sia incluso nella pertinente legislazione UE al fine di prevenire la discriminazione e migliorare l'accesso dei sopravvissuti al cancro ai servizi finanziari".
Anche sul fronte nazionale, acceso è stato il dibattito per introdurre una normativa sul diritto all'oblio oncologico. I primi timidi passi si sono avuti a cavallo tra il 2021 e il 2023, con un cospicuo gruppo di disegni di legge presentati: i d.d.l. n. 249, 413, 690 e 885, tutti di iniziativa parlamentare, sui quali è stato elaborato il Dossier del Servizio Studi della Camera n. 83 del 24 maggio 2023; gli ulteriori d.d.l. n. 744, 959 e 1013, sempre di iniziativa parlamentare; il d.d.l. n. 1066, presentato dal CNEL; da ultimo, i d.d.l. n. 1182 e 1200, ancora di iniziativa parlamentare.
Nonostante la fine della XVIII legislatura avesse lasciato senza l'esito sperato il disegno di legge 2548, presentato nel febbraio 2022, vuoi per fare fronte a tale situazione, vuoi per riallinearsi con quanto previsto in alcuni Stati membri e porsi in linea con le indicazioni europee, dapprima la XII Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati ha approvato il testo unificato del disegno di legge sull'oblio oncologico e poi il Parlamento italiano ha emanato la legge 7 dicembre 2023 n. 193 "Disposizioni per la prevenzione delle discriminazioni e la tutela dei diritti delle persone che sono state affette da malattie oncologiche".
Contenuto e ambiti di applicazione della L. n. 193/2023
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"Una legge di civiltà", è così che il ministro alla salute Schillaci definisce il nuovo testo legislativo sul diritto all'oblio oncologico. Tale legge prevede determinate tutele per ex malati oncologici sia in ambito assicurativo e finanziario, sia in ambito lavorativo (soprattutto in sede concorsuale) e nelle procedure di adozione.
Vedi anche la nostra guida Diritto all'oblio oncologico
L'art. 1 al primo comma precisa che la norma, attuando diverse previsioni costituzionali e sovranazionali riguardanti i diritti della persona, la tutela della vita familiare e la protezione dei consumatori: gli artt. 2, 3 e 32 della Carta costituzionale; gli artt. 7, 8, 21, 35 e 38 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea; l'articolo 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, è volta ad evitare che soggetti risultanti guariti clinicamente subiscano iniqui trattamenti e a rimuovere gli ostacoli che limitano l'eguaglianza di questi soggetti la cui aspettativa di vita è aumentata.
Al comma 2, invece, parla di diritto all'oblio e ne fornisce una definizione: «il diritto delle persone guarite da una patologia oncologica di non fornire informazioni né subire indagini in merito alla propria pregressa condizione patologica»
I diversi ambiti di applicazione del testo normativo vengono analizzati nello specifico dagli artt. 2, 3 e 4.
L'art. 2 regola l'accesso ai servizi bancari, finanziari ed assicurativi. Questo è un settore nel quale si è verificato il maggior rischio di penalizzazioni nei confronti degli ex malati oncologici. Per l'apertura o il mantenimento di un'assicurazione sanitaria per malattia o di una polizza vita, tali soggetti, dopo aver fornito, su richiesta, informazioni sulla loro precedente condizione patologica, ottenevano un responso negativo oppure l'imposizione di gravosi oneri, garanzie accessorie e/o condizioni[25].
A ribaltare la situazione è stato il comma 1 dell'art. 2, il quale stabilisce che ai fini della stipula o del rinnovo dei relativi contratti non è ammessa la richiesta di informazioni relative allo stato di salute (patologie oncologiche da cui si è guariti) della persona fisica contraente, se il paziente ha terminato il trattamento attivo, senza episodi di recidiva, da più di dieci anni alla data della richiesta; tale periodo è ridotto della metà nel caso in cui la patologia sia insorta prima del ventunesimo anno di età. Queste informazioni non possono essere estrapolate neanche da fonti diverse dal contraente, e nel caso in cui esse siano nella disponibilità dell'operatore o dell'intermediario, non possono essere utilizzate per la determinazione delle condizioni contrattuali.
E' poi precisato, nel comma 2, che il diritto a non fornire informazioni sulle pregresse condizioni di salute deve essere espressamente menzionato nei moduli o formulari predisposti e utilizzati ai fini della stipula o del rinnovo di detti contratti.
Sono vietati, per i casi di cui ai commi 1 e 2, limiti, costi ed oneri aggiuntivi, o trattamenti che pongano tali soggetti in una situazione diversa da quella della generalità dei contraenti (comma 3) e le richieste di visite mediche di controllo e di accertamenti sanitari, nei i casi di cui al comma 1, per la stipulazione dei contratti ivi indicati (comma 4).
Il comma 5 prevede che laddove siano state già fornite, le informazioni di cui sopra non possono comunque essere impiegate nella valutazione del rischio dell'operazione o della solvibilità della persona alla quale si riferiscono.
La violazione delle disposizioni testé menzionate, nei contratti riguardanti operazioni e servizi finanziari, bancari, di investimento o di assicurazione stipulati successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge, determina la sola nullità delle singole clausole difformi dai princìpi di cui al comma 1 e di quelle ad esse connesse, dunque l'intero contratto rimane valido ed efficace per il resto (comma 6).
Al comma 7 è stabilito che entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Comitato interministeriale per il credito e il risparmio, con propria delibera, sentito il garante per la protezione dei dati personali, individua le modalità di attuazione del comma 1 eventualmente predisponendo formulari e modelli. Entro il medesimo termine analogo provvedimento è adottato dall'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni, sentito il Garante per la protezione dei dati personali.
Un altro ambito, all'interno del quale gli ex pazienti oncologici necessitavano di tutela contro le disparità, è quello delle procedure di adozione di minori.
Viene in risalto l'art. 22, commi 3° e 4°, l. 4 maggio 1983, n. 184, che con riguardo all' affidamento preadottivo, delega al Tribunale per i minorenni lo svolgimento di indagini circa lo stato di salute dei richiedenti. Se, però, queste indagini sono necessarie per la valutazione dell'idoneità affettiva e della capacità dei coniugi di educare, istruire e mantenere l'adottando, può accadere che, ove dovesse risultare una pregressa malattia oncologica di uno o entrambi i richiedenti, anche se superata da tempo, ciò costituirebbe motivo di esclusione della coppia dall'adozione.
L'art. 3 della legge n. 193, ha come obiettivo principale modificare l'art. 22 del suddetto testo normativo: stabilisce che indagini riguardanti lo status di salute dei soggetti richiedenti, non possono avere ad oggetto patologie oncologiche trascorsi 10 anni dalla fine del trattamento terapeutico, in assenza di recidive o ricadute, ovvero 5 anni se la patologia è insorta prima del compimento del ventunesimo anno di età (così modificato in sede referente).
La tutela dei soggetti guariti da malattie oncologiche, non essendovi motivi per restringerla solamente a determinati settori della vita escludendone arbitrariamente altri, si estende anche all'ambito lavorativo e, più precipuamente, all'accesso alle procedure concorsuali. Ed è proprio qui che va ad inserirsi armoniosamente l'art. 4. Esso al comma 1 fa espresso divieto di richiedere informazioni su patologie oncologiche, ove sia maturato il diritto all'oblio, ai fini dell'acceso a procedure concorsuali per le quali sia previsto l'accertamento dello stato psicofisico e di salute dei candidati.
Il secondo comma in maniera generica si riferisce all'ambito lavorativo, stabilisce che, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali da adottare di concerto con il Ministro della salute, «sono promosse specifiche politiche attive per assicurare, a ogni persona che sia stata affetta da una patologia oncologica, uguaglianza di opportunità nell'inserimento al lavoro e nella permanenza al lavoro, nella fruizione dei relativi servizi e nella riqualificazione dei percorsi di carriera e retributivi».
Per quanto riguarda le disposizioni transitorie e finali, si rimanda all'articolo 5 il quale:
- rimette ad un decreto del Ministro della salute, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, la disciplina delle modalità e delle forme, senza oneri per l'assistito, della certificazione della sussistenza dei requisiti necessari ai fini dell'applicazione delle disposizioni in esame (comma 1);
- Il Ministro della salute è chiamato ad individuare, con proprio decreto, da emanare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge, le eventuali patologie oncologiche per le quali si applicano termini inferiori rispetto a quelli previsti dagli articoli 2, comma 1, 3, comma 1 e 4, comma 1. In assenza del citato decreto si applicano in ogni caso i termini previsti dalla legge in esame (comma 2);
- attribuisce al Garante per la protezione dei dati personali la funzione di vigilanza sulla corretta applicazione delle disposizioni di cui alla legge in esame (comma 4);
- inserisce la clausola di invarianza degli oneri finanziari (comma 5).
Conclusioni
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Proprio muovendo dall'auspicio, a mo' di monito, fatto nel febbraio 2022 dalla Commissione Europea, nell'ambito del Piano Oncologico Europeo, affinché tutti gli Stati membri adottassero una propria normativa sul diritto all'oblio oncologico entro il 2025, l'Italia non è rimasta a guardare e ha approvato una legge che è stata definita "una questione di civiltà, prima ancora che normativa". Mettendosi, dunque, al pari degli altri Stati Membri, che nel tempo hanno dato vita a provvedimenti normatavi in materia, il governo italiano ha fatto sì che tale norma fosse più avanzata rispetto a quanto stabilito negli altri Paesi.
Se però da un lato questa è stata una conquista, potrebbero sorgere dubbi, prima facie, tali da portare a chiedersi se la disciplina adottata possa essere passibile di incostituzionalità per violazione del principio di eguaglianza, laddove prende in esame le sole malattie oncologiche; tuttavia ciò potrebbe accadere solo se esistono anche altre patologie in grado di sollevare analoghe problematiche per coloro che ne sono guariti. Una tutela a tale inconveniente sarebbe trovare una base logica che possa giustificare la protezione riservata ai soli ex malati oncologici.
[1] S. SICA - V. D'ANTONIO, La procedura di deindicizzazione, in Il diritto all'oblio su internet dopo la sentenza Google Spain, G. RESTA - V. ZENO - ZENCOVICH (a cura di), Roma, 2015, p. 147.
[2] G.E. Vigevani, Identità, oblio, informazione e memoria in viaggio da Strasburgo a Lussemburgo, passando per Milano, in Federalismi.it, 2, 2014, 1 ss.
[3] F. Di Ciommo, Il diritto all'oblio (oblito) nel regolamento Ue 2016/679 sul trattamento dei dati personali, in Il Foro Italiano, 9, 2017, 1 ss., spec. 3.
[4] G. Pino, Il diritto all'identità personale ieri e oggi. Informazione, mercato, dati personali, in R. Panetta (a cura di), Libera circolazione e protezione dei dati personali, Milano, 2006, 257 ss.
[5] F. Pizzetti (a cura di), Il caso del diritto all'oblio, Torino, 2013.
[6] W. Pitt, The Elder, Lord Chatham, discorso del Marzo 1763, citato in Henry Peter Brougham, Historical Sketches of statesmen Who Flourished in the Time of George III, Charles Knights & Co, Londra, 1839, vol. 1.p. 52: "The poorest man may in his cottage bid defiance to all the forces of the Crown. It may be frail—its roof may shake—the wind may blow through it—the storm may enter—the rain may enter—but the King of England cannot enter!—all his force dares not cross the threshold of the ruined tenement!".
[7] S. Rodotà, Intervista su privacy e libertà, a cura di Paolo Conti, Editori Laterza, Roma-Bari, 2005, p. 8.
[8] S. Rodotà, Intervista su privacy e libertà, a cura di Paolo Conti, Editori Laterza, Roma-Bari, 2005, p. 8.
[9] S. Rodotà, Intervista su privacy e libertà, a cura di Paolo Conti, Editori Laterza, Roma-Bari, 2005, p. 9.
[10] S. Rodotà, Intervista su privacy e libertà, a cura di Paolo Conti, Editori Laterza, Roma-Bari, 2005, p.10.
[11] "Diritti dell'individuo".
[12] Art. 49 del Codice Svizzero delle Obbligazioni del 1881, Obligationerecht (OR). Oggi art. 28 Zivil Gesetzbuch del 1912: afferma che chiunque sia stato "leso nei suoi rapporti personali da un'altra persona, può richiedere la cessazione delle turbative e, qualora, l'altro abbia agito colposamente, ha diritto al risarcimento dei danni". Fondamentale dunque il ruolo svolto dalla giurisprudenza nella determinazione del significato di "rapporti personali" potendo così arrivare a tutelare l'onore e l'intimità di ciascuno.
[13] Boistel A., Cours de philosophie du dreoit, Parigi, 1899.
[14] Tribunale di Milano, con sentenza del 28 marzo 1958.
[15] E. Ligi, Il diritto alle vicende e la sfera della personalità, in Foro italiano, 1955, volume 1, pagg. 394 e ss..
[16] L'istituzione dell'Autorità Garante per la protezione dei dati personali è contenuta nella l.675/96, art. 30, e la sua entrata in vigore risale all'8 maggio 1997.
[17] M. BELLOCCI, P. PASSAGLIA (a cura di), La dignità dell'uomo quale principio costituzionale. Quaderno predisposto in occasione dell'incontro trilaterale delle Corti costituzionali italiana, spagnola e portoghese. Roma, Palazzo della Consulta, 30 settembre - 1° ottobre 2007, § 1 .
[18] In tal caso si vedano i riferimenti alla «parità di trattamento» (nel titolo del disegno di legge S.2548) e alla «prevenzione delle discriminazioni» (nei titoli delle proposte di legge C.3548, C.3561, C.3563, C.3611 e C.3666).
[19] N. BOBBIO, Eguaglianza e libertà, Einaudi, Torino, 1995, p. 26
[20] Presente anche nelle premesse delle proposte di legge C.3548, C.3561, C.3563 e C.3666.
[21] D. MORANA, La salute come diritto costituzionale. Lezioni, Torino, 2021, 27.
[22] Corte cost., sent. 16 ottobre 1990, n. 455.
[23] F. SCUTO, La tutela costituzionale del risparmio negli anni della crisi economica. Spunti per un rilancio della dimensione oggettiva e sociale dell'art. 47 Cost., in federalismi.it, numero speciale 5/2019, 25 ottobre 2019, 172.
[24] P. JONCKHEER, A. VAN GINCKEL, S. STORDEUR, Historique de la législation sur le droit à l'oubli en Belgique, sul sito web di KCE, 31 marzo 2022.
[25] Il tutto sarebbe avvalorato dalla disciplina delle dichiarazioni inesatte e delle reticenze dell'assicurato dettata dagli artt. 1892 e 1893 c.c., che in estrema sintesi consente all'assicuratore di interrompere il rapporto e rifiutare il pagamento dell'indennizzo all'ex-paziente oncologico che non abbia risposto in maniera completa ed esauriente alle domande rivolte dalla controparte prima della sottoscrizione della polizza.
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